DAZI USA: “INCERTEZZA TOTALE HA GIA’ FATTO DANNI”, ESPORTATORI VINI ABRUZZO, “CERCARE ALTRI MERCATI” | Notizie di cronaca


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L’AQUILA  – Sono partite ieri le lettere di Donald Trump con l’annuncio di dazi dal 25% fino al 40% a sette Paesi ritenuti “non collaborativi”, per le merci dal loro importate negli Usa.  Ancora nessuna missiva invece  recapitata a Bruxelles per i Paesi europei.

Ora si aprirà l’ennesimo round di negoziati, ma quello che sta mandando in tilt l’economia italiana è soprattutto l’incertezza, la logorante attesa per capire come reagire, quali piani B adottare, quali mercati su cui puntare.

Emblematici a questo proposito le opinioni raccolte da Abruzzoweb nel corso della terza edizione di Abruzzo in bolla, organizzata da Virtù Quotidiane, con il patrocinio del Consorzio di tutela vini d’Abruzzo e il sostegno del Gal Gran Sasso Velino, che ha visto  con quasi cinquanta cantine protagoniste della spumantizzazione in Abruzzo e in Italia.

Rappresentativi dell’export agroalimentare europeo, un settore che vale 7,8 miliardi di euro per l’Italia e importantissimo anche per l’Abruzzo, con i suoi 183 milioni di euro di fatturato. E quello  vitivinicolo abruzzese rischia di essere il settore tra i più colpiti dai dazi targati Trump

Ha spiegato a questa testata Federico Faraone della cantina Faraone vini di Giulianova, realtà operativa da inizio anni ’70.

“L’export per noi copre un 10% del fatturato, abbiamo una bella relazione in Oregon  negli Stati Uniti, e un’altra piccola parte a Londra. Quest’anno con l’Oregon anche noi abbiamo avuto dei problemi, a causa dell’incertezza e l’instabilità determinata dalle minacce di applicazione dei dazi Una prima spedizione era stata fermata per circa tre settimane e poi comunque l’hanno ritirata quando un po’ la situazione sembrava essersi calmata, altri due bancali pronti in partenza, sono in stoccaggio in cantina perché i clienti l’hanno fermata, perché non si sa se e quali dazi saranno applicati, sballando completamente il mercato”.

Aggiunge Faraone: “per tranquillizzare i nostri clienti importatore abbiamo fatto un ulteriore sconto sul vino, ci siamo venuti incontro, in un rapporto di fiducia”.

In prospettiva anche per Faraone, la soluzione potrebbe essere “quella di diversificare, trovare altri mercati per esportare, alternativi agli Stati Uniti, in Europa sicuramente è da battere e poi bisogna andare verso l’Asia,  Giappone e Cina sono ancora da scoprire”.

Preoccupazione non serpeggia solo Nicodemo Iaconi della Bellenda di Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, una delle patrie del prosecco, e per cui l’export rappresenta il 60% della produzione.

“Il 40% è l’Italia. 60% all’estero, ovvero Giappone, Inghilterra, Francia e gli Stati Uniti, sono un mercato importante – spiega Iaconi -. Da quando Trump ha cominciato a parlare di dazi, noi ci siamo preparati ad affrontare il nuovo scenario, ma dopo mesi ancora non ci sono certezze. Trump non sta facendo una politica chiara per il mercato mondiale. Perché una cosa o lo fai o non lo fai. Il paradosso è con questi continui annunci, seguiti da dietrofront e rinvii, è che il danno è stato fatto anche senza dazi e basta vedere che cosa è successo in borsa”.

Significativa invece la testimonianza di Alberto Bellini, del Uma Casa Natura, azienda vinicola di Cellino Atanasio, in provincia di Teramo:  Noi di problemi non ne abbiamo, perché non esportiamo negli Stati Uniti, principalmente i nostri mercati sono Germania ed Italia. Abbiamo però intenzione di farlo, e nonostante i dazi credo che il gioca vale la candela, perché il nostro è un prodotto di nicchia e di alta fascia, e un prezzo relativamente elevato troverà una clientela”.

Sulla questione dazi, si registra infine la posizione di Alessandro Nicodemi, presidente del consorzio Tutela vini d’Abruzzo, che già aveva evidenziato. il costo del vino negli States diventerebbe inaccessibile con un conseguente crollo delle vendite, visto che l’80% del vino esportato è Montepulciano d’Abruzzo che si inserisce nel segmento definito ‘popular’ e con i dazi e l’aggravio di prezzi si troverebbe fuori mercato.

“Non può che essere una cattiva notizia, soprattutto se arriviamo a una tassazione del 17%. Quello americano è un mercato maturo e ricco. Noi abbiamo iniziato a investirci sugli 50 anni fa e stiamo raccogliendo ora i frutti. Impossibile oggi trovarne un altro. Sono circa 500 le aziende abruzzesi che affrontano il mercato, ma la filiera del vino conta complessivamente 15mila produttori d’uva. Numeri che raccontano l’entità del rischio”.

 

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