Focus – Scuola e pandemia, dad e difficoltà! Spiega il direttore Laura Scalfi

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(di Anna Ammanniti) Come è noto l’Italia è uno dei Paesi che da decenni investe meno nella scuola e nell’istruzione. La pandemia da Covid 19 ha portato alla luce una serie di preoccupanti lagune.

Laura Scalfi

Le scuole italiane necessitano di un veloce ammodernamento. Come è cambiata la scuola con la pandemia? Le difficoltà ad adeguarsi al Covid, l’introduzione degli strumenti digitali potrà nel futuro post pandemia diventare o essere ancora una risorsa? Cosa ci riserverà il futuro nell’ambito scolastico? Abbiamo parlato di questo con Laura Scalfi, direttore generale dell’Istituto G. Veronesi e Liceo Steam International di Rovereto (TN).

Come è cambiata la scuola con la pandemia?

Sicuramente a oltre un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, ritroviamo una scuola italiana più povera, vuota e isolata dal resto del mondo. In termini didattici e di valorizzazione del capitale umano, il sistema scolastico non è stato in grado di adattare la sua funzione alle limitazioni imposte dalle restrizioni e dal contenimento del contagio. Oltre 200mila studenti hanno abbandonato gli studi, oltre il 30% delle competenze che avrebbero dovuto maturare nei lunghi mesi di lockdown è stato perso, con un impatto economico in termini di lungo periodo sul Paese di oltre – 1.5% di perdita di Pil annuo per il resto del secolo. Quanto fatto, o meglio, quanto non fatto, non solo dall’amministrazione di Azzolina, ma da decenni di mancati investimenti nell’ammodernamento della scuola, rischia di pesare sul futuro dell’Italia per molto tempo, a meno che non ci sia un veloce cambio di rotta.

Le difficoltà della scuola ad adeguarsi al Covid.

La digitalizzazione “forzata” a cui è stata sottoposta la scuola è stata e resta la vera sfida, che ha senz’altro evidenziato le gravi crepe già presenti nel sistema italiano. Sono fiera di quanto con i colleghi abbiamo fatto al Liceo Steam e all’ Istituto Veronesi ma sono altresì consapevole che è stato possibile sia per il grande investimento fatto negli anni nella formazione dei docenti, sia per l’acquisizione delle competenze digitali in una metodologia didattica che ha trasformato la lezione frontale meramente trasmissiva e ha abbracciato in modo convinto un metodo di lavoro basato sull’ analisi e la soluzione di “problemi”. Coi nostri studenti abbiamo utilizzato una piattaforma di e-learning per la didattica a distanza, come avviene negli atenei universitari. Abbiamo lavorato con la realtà aumentata, investendo nelle sperimentazioni che già stavamo mettendo in atto. Abbiamo utilizzato webinar, format, blog tarati sul rispetto delle soglie di attenzione degli studenti, ma anche regole. Abbiamo stabilito un codice di condotta per allievi e docenti su come presentarsi davanti allo schermo e partecipare alle lezioni. Insomma, abbiamo cercato di normare e normalizzare la scuola anche se da remoto, mettendo al centro le necessità psicologiche e di apprendimento dei ragazzi. Non in tutte le scuole italiane è stato possibile farlo, molte hanno scontato anni di immobilismo sia nell’edilizia scolastica sia nell’aggiornamento dei docenti.

Guardando anche al resto del Paese, di fatto è stata imposta a milioni di studenti la Dad, quando l’82% di loro non aveva mai utilizzato prima della pandemia un tablet a scuola e oltre il 30% non ne possedeva uno. Abbiamo richiesto loro di apprendere senza che molti avessero gli strumenti per farlo: quasi il 30% degli studenti, tutt’oggi, non sa scaricare un file da una piattaforma digitale – come riportato da un recente sondaggio di Save the Children – e oltre il 32% non sa utilizzare un browser per l’attività didattica. Ad aggravare la situazione, poi, la mancanza di formazione digitale dei docenti italiani. Ricordiamo che l’Italia è al 72° posto su 79 Paesi industrializzati e non, per competenze tecnologiche dei propri insegnanti (Rapporto Ocse-Pisa).

L’introduzione degli strumenti digitali potrà nel futuro post pandemia diventare o essere ancora una risorsa?

Solo se saremo in grado di investire finalmente seriamente nella scuola, mettendola al centro del progetto di rilancio dell’Italia e rendendola protagonista del Recovery Fund. Con Istituto Veronesi e Liceo Steam stiamo cercando di sistematizzare il metodo usato in questi mesi perchè ha funzionato. L’Italia però resta uno dei paesi in Europa che investono meno in istruzione, anche se siamo tra quelli che ne avrebbero più bisogno. Per ridare competitività alla nostra istruzione occorrerebbe, innanzitutto, ripensare radicalmente il sistema di manutenzione e ammodernamento delle strutture fisiche e non degli istituti: a cominciare dall’investimento in infrastrutture di rete capillari che non lascino nessuno senza connessione, ma anche strumentazioni digitali permanenti e formazione per i docenti.

Cosa ci riserverà il futuro nell’ambito scolastico.

Per il nostro futuro questo è il momento di un “all in” sulla scuola che non può prescindere dalla ridefinizione completa di cosa significa fare “scuola” in Italia. A cominciare dall’orientamento che deve diventare, come stabilito dalle strategie di Lisbona 2010 ed Europa 2020, un orientamento permanente, per ogni individuo, in ogni momento della vita: in una società e, soprattutto, in un’economia sempre più fluida la capacità di reinventarsi deve diventare funzionale al mercato e al risanamento di quello scollamento tra competenze richieste e offerte (skill mismatch) che è uno dei principali problemi del mercato del lavoro italiano: oltre 1 italiano su 2 possiede oggi competenze obsolete, o che lo diventeranno presto, e necessita quindi di una riqualificazione immediata. Fornire agli studenti gli strumenti per affrontare la complessità di queste sfide è il compito della scuola: per questo dobbiamo legare l’istruzione a una visione più moderna e umanistica della formazione, che metta al centro lo sviluppo del senso critico dell’individuo, la coscenza civica e le sue capacità personali di apprendimento non solo culturale, ma anche e, soprattutto, professionale.

Anna Ammanniti

 

 



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