Il Senato discuterà tra mercoledì e giovedì il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia, dopo che nel pomeriggio di martedì la Lega aveva provato a far tornare il testo in commissione Giustizia, dove la legge era rimasta per mesi a causa dell’ostruzionismo dei partiti di destra dopo essere stata approvata lo scorso novembre alla Camera. La conferenza dei capigruppo – cioè dei rappresentanti dei partiti – convocata dalla presidente del Senato Elisabetta Casellati su richiesta del leghista Andrea Ostellari ha però deciso di procedere con la discussione.

Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia volevano che la legge contro le discriminazioni e le violenze per orientamento sessuale, genere, identità di genere e abilismo (cioè quelle verso le persone con disabilità) tornasse in commissione Giustizia, cioè l’organo del Senato dove si svolge il passaggio precedente al voto in aula, per lavorare a un testo di compromesso che mettesse d’accordo tutti i partiti. La discussione a riguardo è stata particolarmente dura e animata: il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, i principali promotori del ddl Zan, hanno protestato accusando la destra di voler allungare ulteriormente l’iter di approvazione della legge.

La maggioranza a sostegno della legge è abbastanza risicata, da quando sono in dubbio i voti di Italia Viva, che ha deciso di sostenere la linea del compromesso e della mediazione con la destra. Martedì però Renzi aveva detto di essere contrario al ritorno della legge in commissione.

La discussione vera e propria del ddl Zan sarà preceduta dal voto sulle cosiddette pregiudiziali di costituzionalità, con le quali si chiede che un certo argomento non debba essere discusso perché in contrasto con la Costituzione: potrebbero essere presentate da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Il voto sulle pregiudiziali sarà però palese, e si prevede che verranno respinte. Se andrà così, a quel punto dovrebbe iniziare la discussione generale sul ddl, che potrebbe proseguire almeno fino a giovedì.

Poi verrà fissato il termine massimo entro il quale saranno ricevuti gli emendamenti: e dovrebbero essere presentati dalla destra, che sull’opposizione alla legge ha investito molte risorse, ma anche da Italia Viva, il partito di Matteo Renzi, che aveva proposto di cambiare la legge in vari punti, in particolare su quello che inserisce il concetto di “identità di genere” tra i motivi di discriminazione per cui sono previste aggravanti.

Da giorni, Matteo Renzi dice che le modifiche sono necessarie per trovare un compromesso con la destra, senza il quale secondo lui sarà impossibile arrivare all’approvazione. Chi sostiene il ddl così come è già stato approvato alla Camera (PD, Movimento 5 Stelle, Liberi e Uguali e altri senatori sparsi) accusa invece Renzi di voler affossare la legge: se mancheranno i numeri, dicono, è perché lo stesso Renzi li avrà fatti venire meno attraverso i suoi 17 senatori, sfruttando il fatto che il voto sarà molto probabilmente segreto, come previsto per regolamento per le leggi che «che incidono sui rapporti civili ed etico-sociali».

Se dovessero passare degli emendamenti, il ddl tornerebbe alla Camera e si dovrebbe in sostanza ricominciare da capo. Per completare il proprio iter parlamentare e per arrivare all’approvazione definitiva, il testo dovrebbe invece passare così com’è, senza modifiche.

Il voto segreto potrebbe mettere a rischio la compattezza della maggioranza che sostiene il ddl nella sua attuale formulazione. I dubbi riguardano principalmente Italia Viva, ma ci sono dei senatori scettici anche all’interno del PD e del Movimento 5 Stelle. Dalla parte opposta si pensa invece che ci sia qualche senatore di Forza Italia che potrebbe sostenere il ddl.

La conta sui voti favorevoli al ddl è comunque molto incerta. Molto dipenderà da Italia Viva e dalle Autonomie, se decideranno di votare insieme al centrodestra per modificare il testo: come ha riassunto il Corriere della Sera, la somma dei due gruppi vale 25 senatori e anche al netto dei cosiddetti “franchi tiratori“, senatori che votano contro l’indicazione del proprio partito, per motivi personali ma anche per adesione a strategie politiche più ampie, i voti favorevoli sarebbero solo 143, dunque non sufficienti. Se invece Italia Viva e Autonomie votassero con PD e M5S, la maggioranza, sempre a meno di franchi tiratori, sarebbe di 168.

– Leggi anche: Perché si dice “franchi tiratori”



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