Incastrati

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Prime minister Giuseppe Conte (L) with Beppe Grillo (R) during the presentation of the 2019 Blue Book at the Customs and Monopolies Agency, Rome, Italy, 11 September 2020. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Il giorno dell’incertezza e della paura. Quando Luigi Di Maio si infila di buon mattino a casa di Giuseppe Conte tutto il Movimento 5 stelle trattiene il respiro e aspetta trepidante. Dopo un’ora il ministro degli Esteri esce, ma si trincera dietro il più inossidabile dei mutismi. Intanto Beppe Grillo nonostante i fuochi d’artificio di ieri non dà seguito alla minaccia-ultimatum, quella di dare il via entro oggi all’iter per votare il Direttorio a cinque, come prevede lo statuto approvato agli Stati generali, anche se Vito Crimi gli ha comunicato di aver predisposto tutti gli adempimenti del caso – modalità, tempistiche, candidature – per poter procedere sulla piattaforma SkyVote (e non su Rousseau, come chiesto dal fondatore). Anche Conte del resto non scopre le sue carte. Si spande una calma densa di nervosismo, nella convinzione che l’uno aspetti un segnale dall’altro per cercare di riannodare una trattativa che al momento non c’è: i due, confermano più fonti, hanno smesso di parlarsi.

I pochi che sono riusciti a contattare Di Maio in questi giorni riportano che il messaggio dell’ex capo politico è sempre stato solo uno: bisogna preservare il Movimento, una spaccatura sarebbe un disastro. È questo anche il succo del tentativo mattutino di Di Maio, che fino all’ultimo prova a intestarsi una mediazione che pare impossibile. Non avrebbe trovato terreno fertile: “Tu da che parte stai?”, sarebbe stata la poco accomodante risposta dell’ex premier.

Conte continua a lavorare al suo progetto, non ha alcuna intenzione di “metterlo nel cassetto”, come ha spiegato chiaramente ieri. Vito Crimi, Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri, i tre componenti del Comitato di garanzia che potrebbe indire la votazione per sfiduciare il garante, non sarebbero disposti al parricidio, né d’altra parte è una soluzione che convince l’avvocato. Si lavora alla costruzione di gruppi parlamentari, anche se tanti tra i peones Contiani iniziano a provare dubbi man mano che il tempo passa e la situazione non evolve: “Si tratta comunque di uscire dal Movimento” spiega uno di loro, pur addossando tutte le colpe a Beppe Grillo per quanto successo, “non è una scelta facile”.

Il problema di Conte sta tutto qui, sa di avere una larga maggioranza dentro M5s, uscendone la faccenda acquista tutt’altra incertezza. Vorrebbe al suo fianco i big di peso, primi fra tutti Di Maio e Roberto Fico, ma i due dioscuri, che hanno avuto un colloquio di una decina di minuti a un evento all’Accademia dei Lincei, si sono detti finora indisponibili a qualunque soluzione che non preservi l’unità del partito.

Uscendo da casa, l’ex premier non risponde a chi gli chiede se resterà nel Movimento, tanto meno se è disposto a incontrare Grillo. Spiega di essere disponibile a presentare lo Statuto ai parlamentari, “se c’è un invito volentieri, ci mancherebbe, io sono sempre a disposizione dei deputati e senatori”. Oggi Davide Crippa, il capogruppo alla Camera, ha formalizzato la richiesta di un chiarimento sia a lui sia al garante (anche da quest’ultimo ci sarebbe disponibilità al confronto), e ha avanzato una sorta di accesso agli atti. Nelle paradossali dinamiche pentastellate, il partito sta infatti deflagrando intorno a una cosa, lo Statuto, che i due contendenti si tirano in faccia accusandosi reciprocamente, ma che tengono ben chiuso nel cassetto, spaventati dal farlo circolare anche solo tra le truppe che cercano di arruolare per paura di scottarsi le dita. E così Crippa, seguito da un buon numero di senatori, ha chiesto che lo Statuto e la Carta dei valori vengano finalmente disvelati, per poter almeno capire su cosa diamine si stanno accapigliando.

È evidentemente anche un modo di prendere tempo, perché le Aule oggi e domani sono deserte, il Parlamento come spesso accade non lavora, i parlamentari sono tornati a casa e prima di lunedì sera non se ne parlerebbe. I contiani di stretta osservanza continuano a spingere per la forzatura: mettiamo lo Statuto ai voti. L’ex premier frena, perché oltre al gran casino della piattaforma su cui votare, dei cavilli e dei ricorsi, delle diffide e delle carte bollate, ancora tentenna nella speranza di prendersi il Movimento senza un atto ostile. “Basterebbe un segnale di distensione da Grillo”, commenta un fedelissimo, coltivando la speranza che il non aver indetto la votazione debba pur significare qualcosa. “Bisogna che i due si parlino, in qualsiasi modo, per tenere unito il gruppo”, spiegano i mediatori con inguaribile professione di ottimismo. Ma sono pochi, la pancia del gruppo è sfibrata e sfiduciata, convinta che ormai la frittata sia fatta. Le previsioni che il sondaggista Fabrizio Masia ha consegnato all’Adnkronos fanno tremare le vene ai polsi: il partito di Conte sarebbe quotato in una forchetta non esaltante tra il 10% e il 15%, M5s si ridurrebbe a un partitino tra il 5% e il 7%.

 Il terremoto ha fatto crollare già il primo cornicione: quattro consiglieri comunali hanno lasciato il partito a Roma, certificando la fine di una maggioranza a sostegno della sindaca Virginia Raggi. “Il mio riferimento è quello del governo Conte. Quella è la soluzione per mettere insieme le forze per trovare le soluzioni anche per la città”, dice Marco Terranova, uno dei fuoriusciti, Roberto Gualtieri non apre ma nemmeno esclude che possano essere candidati con il Pd. Il trailer di un film che rischia di durare per tutta l’estate.

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