La scissione è partita, Di Maio resta con Grillo

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Il segnale che Luigi Di Maio dà ai colleghi e al mondo pentastellato è nell’intervento del suo fedelissimo Vincenzo Spadafora, che irrompe nell’assemblea dei deputati M5s convocata d’urgenza e fino a quel momento timida e prudente. A Giuseppe Conte – dice l’ex ministro dello Sport – va riconosciuta certamente una “visione politica” nell’azione di governo ma non una propensione alla leadership M5s, che sono “due mestieri differenti”. Con queste parole viene dato il via al grande posizionamento dei parlamenti in vista di una scissione annunciata. Con l’ex spin doctor di Di Maio, ai tempi in cui era capo politico, che scarica l’ex premier per salire per primo sul carro di Grillo in questa giornata segnata da una tensione altissima che culmina con le assemblee dei gruppi.

Prima delle rispettive riunioni, ai deputati e ai senatori è arrivato il messaggio di Beppe Grillo prima e quello di Giuseppe Conte dopo. Come a dire: “Scegliete da che parte stare”. I presupposti della scissione si manifestano così, con il Garante che appare in video in versione non rabbiosa, anzi veste i panni del papà ferito e non “padre padrone” come invece lo aveva definito Conte. Tenta la mozione degli affetti per tenere con sé quanti più parlamentari possibili, ricorda le battaglie grilline, la traversata dello Stretto di Messina a nuoto e il giro dell’Italia in camper. Infine ribadisce che Conte non è più la persona adatta per il Movimento. A strettissimo giro replica appunto l’ex premier, breve e diretto: “Non terrò il mio progetto nel cassetto”. Appare chiaro, malgrado ci sia ancora chi immagina una mediazione in extremis e spiragli aperti da Grillo, che l’avvocato del popolo stia già arruolando le truppe per nuovo partito. Truppe che si palesano, seppur in misura ridotta, durante le assemblee dei gruppi parlamentari.

Il gruppo dirigente è spaesato, i deputati e i senatori lo sono ancora di più. Difficile scegliere se stare con il fondatore del Movimento che ha dato loro la possibilità, dal nulla, di entrare in Parlamento, un po’ come chi ci capita per caso, o se stare con un ex premier, che lo stesso fondatore fino a poche settimane fa considerava un eroe.

Quindi l’assemblea dei senatori M5s decide di diffondere una nota, poco dopo disconosciuta da una parte di loro, in cui si ringrazia Conte “per lo sforzo profuso nella redazione del nuovo statuto, che tuttavia ad oggi gli iscritti e gli eletti non conoscono ed hanno tutto il diritto di vedere ed esaminare”. In pratica chiedono di votare su una qualche piattaforma online: “In un Movimento che della democrazia diretta e della trasparenza ha fatto i propri principali pilastri è indispensabile che sia condiviso con l’intera comunità 5 Stelle. Si ritiene inoltre che una sintesi e una mediazione siano ancora possibili” per non disperdere “l’ambizioso progetto”. A Palazzo Madama si trovano i più grandi sostenitori di Conte anche se solo giovedì scorso si sono fatti fotografare con Grillo e il nuovo logo con il simbolo 2050.

I deputati invece hanno difficoltà a schierarsi così apertamente e dall’assemblea arriva “una forte richiesta di unità, serve uno sforzo conciliativo da parte di entrambi per il bene del Movimento e del Paese”. Anche a Montecitorio gli eletti hanno manifestato la mancanza di coinvolgimento rispetto agli ultimi avvenimenti e una mancanza di elementi specifici sui motivi dello scontro. “Lo statuto non l’abbiamo neanche visto”, hanno lamentato alcuni ma non c’è stato uno schieramento netto né da una parte, né dall’altra. A differenza di Palazzo Madama, dove Paola Taverna, Vito Crimi ma anche Stefano Patuanelli hanno detto apertamente di stare con Conte, a costo di lasciare il Movimento. Ma verso cosa? L’ex premier non ha un simbolo, né può creare un gruppo parlamentare autonomo senza l’appoggio di qualcuno già nelle Aule di Camera e Senato. Significherebbe un liberi tutti, con parlamentari che finirebbe all’interno di partiti che al momento appaiono più in salute. Cosa peraltro già successa soprattutto verso Fratelli d’Italia e Lega.

Di Maio continua a non parlare apertamente perché sa che la sua parola è quella più attesa per capire da che parte stare. Anche Roberto Fico tace. Di loro si dice che siano mediatori, ma è un silenzio pesante quello di un ministro degli Esteri e della terza carica dello Stato, entrambi con un passato che li ha visti con ruoli di peso all’interno del Movimento. Secondo alcune indiscrezioni, nella nuova struttura del Movimento che Grillo vuole mettere quanto prima ai voti su Rousseau, se Vito Crimi glielo permette, potrebbe esserci posto proprio per loro due, perché sarebbe ciò che vuole il Garante.



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