Paolo Mieli, che idea ti sei fatto dell’incontro tra Mario Draghi e Giuseppe Conte? Sia la lunghezza, o meglio la brevità del colloquio, sia le parole pronunciate dall’ex premier all’uscita non raccontano di un conflitto.
Mi è parso ottimo, perché i due hanno mostrato intenzioni collaborative e Conte ha smentito tutti coloro che dicevano che andava lì per strappare, non ho capito bene cosa. E annunciavano clamorose sconfessioni dei suoi ministri che avevano dato il via libera al provvedimento. Ho visto che è uscito soddisfatto, se ci fossero stati problemi immagino che avrebbe scelto un altro registro.
E che dici della coreografia di Conte all’uscita, che evoca il famoso banchetto di quando lasciò palazzo Chigi?
Potete pubblicare la vignetta di Giannelli? C’è tutto. Il mio commento è quello.
Quella dove c’è Conte che “dopo sei mesi rivede la poltrona che non è la sua”. E la bacia. Ho capito. Se è così come sembra, però, e cioè le intenzioni collaborative, questa è l’ennesima bandiera ammainata dai Cinque stelle.
A me sembra che il tema sia un altro. L’altro giorno il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha spiegato che con questa riforma andrebbero al macero 150mila procedimenti in corso. Beh, allora evidentemente Conte è riuscito a far sì che al macero non ci vadano, altrimenti, immagino, Santalucia punterà il dito d’accusa. Magari ne vanno al macero di meno, o magari nessuno. Ce lo dirà Santalucia. Tra l’altro questa cosa avviene proprio in concomitanza dell’avviso di garanzia a Piercamillo Davigo.
Non capisco il nesso.
Davigo ha messo in ballo la sua onorabilità perché gli sembrò che una deposizione di Amara del dicembre 2019 sulla cosiddetta “loggia Ungheria” fosse una cosa molto allarmante. Ieri, in una coraggiosa intervista a Giuseppe Salvaggiulo sulla Stampa, ha rivelato che ritrovò, in quelle carte, dei nomi tra cui quello di un noto piduista – di cui non faccio il nome perché a differenza di Davigo non ho letto le carte, ma lui lo ha fatto – che aveva conosciuto anni prima perché Cosimo Ferri lo aveva portato a una cena. Davigo racconta che, addentati due antipasti, se ne andò terrorizzato. Quando poi vide che nelle carte di Amara compariva quel nome, ha ritenuto di smuovere le acque nei modi che ben conosciamo.
Quindi?
Di questa loggia non si è più saputo niente. La vicenda è nelle mani del procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone e nessuno sa che fine ha fatto. I nomi coinvolti quanti erano? E quali? Boh. Insisto: magari lì dentro ci può essere di tutto, magari personaggi che potrebbero correre per il Colle, personalità in attesa di una qualche designazione…. Da profano, suggerirei a Cantone di render noto al più presto il risultato del suo lavoro oppure di rinviare il tutto a dopo l’elezione del capo dello Stato, perché se la grana scoppiasse a ridosso del cambio al Quirinale sarebbero dolori. Capisci che voglio dire? Già c’è un enorme caos: le correnti, la magistratura screditata, eccetera, ci manca solo questa ciliegina sulla torta.
Cioè, tu dici: occhio al contesto, più che alla riforma in sé. E in particolare agli effetti su questa magistratura che affoga nei veleni.
La riforma in sé non è la “grande riforma”. È ciò che serve a voltare mezza pagina e ad avere i finanziamenti dall’Europa. Vediamo se i magistrati la contrasteranno, ma mi pare che il problema sia più lì che in Parlamento. Lì presumo che Draghi metterà la fiducia su un maxiemendamento dove saranno recepite modifiche minime. Almeno a sentire Conte è così.
Come ne esce il ministro Cartabia da questa vicenda? I maliziosi dicono che comunque il malessere cova nelle forze politiche e questo può avere ricadute in un’eventuale candidatura al Quirinale.
Come un gigante, nel senso che le sue chance di avere un ruolo anche maggiore di quello che ha attualmente aumentano. Sempre che i Cinque stelle reggano, vatti a fidare, di questi tempi. Diciamo: al minuto prima che esca questa intervista, Cartabia ha messo insieme tutti. Mi sembra perciò che il piano messo in campo da Mattarella la sera del fallimento di Fico stia tenendo. E forse da oggi si può dire che l’uomo che riuscì a transitare il Movimento dalla Lega al Pd riuscirà a fargli rinnegare in buona sostanza anche la riforma Bonafede.
Tu ci vedi un’operazione politica. Non pensi che, al contrario, siamo ancora dentro quella crisi di sistema e a quel default della politica che portò al governo Draghi, per cui nessuno di questi partiti liquefatti ha la forza di opporsi?
Sì, ma non del tutto. Un’operazione di traghettamento c’è. La qualità di Conte è nel saper passare da una sponda all’altra di un fiume in piena, qualità che lo accomuna a quei personaggi che navigano nelle retrovie dello Stato. È adatto al day by day, all’aggiustamento, a far diventare quadruplo il doppio mandato, cose di questo tipo… Né di Maio né Di Battista sarebbero riusciti nel compito perché politicamente troppo caratterizzati. Ed è tutto dire.
Quello che descrivi tu però non è un progetto politico. È una crisi di identità.
Il progetto è papparsi il Pd e diventare la sinistra italiana. Se va avanti così magari ci riesce. Ai tempi in cui governava con la Lega, Salvini mangiò i voti al Movimento, assieme al Pd il Movimento gode di buona salute.
Hai letto il nuovo statuto dei Cinque stelle? Che tipo di cultura politica rivela?
Ho letto che qualcuno l’ha paragonato ai documenti di Mariano Rumor. Ma quando mai….
Restiamo però al tema Draghi e partiti. Dopo sei mesi lo schema è ancora uno scollamento tra la sala macchine di Draghi e il sistema politico, sei d’accordo?
Allo stato attuale la forza dei partiti non serve, chiunque eleggano capo dello Stato – e a rigor di logica dovrebbe essere Draghi – lo schema non muta. A meno di dati elettorali clamorosi prevedo che questo schema resterà sostanzialmente anche nella prossima legislatura.
Per via di vincolo esterno, il Recovery che crea una gabbia obbligata di scelte e compatibilità?
Anche. E perché non è detto che i partiti persino la volta prossima non si affidino o non siano costretti ad affidarsi per la guida a qualche personalità esterna.
C’è però un po’ di effervescenza, da Green pass, al Green new deal, scusa il gioco di parole. È l’effetto dell’imminente semestre bianco e delle amministrative?
I terremoti sono interessanti finché si possono indire le elezioni, dal 3 agosto, quando inizia il semestre bianco, ce ne possiamo disinteressare. Sono scossette di aggiustamento, non scosse sismiche. Poi certo, dobbiamo vedere come vanno le amministrative. Qui comunque c’è un dato politico sorprendente, almeno così pare.
Quale?
Beh, il Governo Draghi, nato sulle ceneri di quello giallorosso, sta portando a un inasprimento dei rapporti a destra, mentre l’altra parte più o meno tiene. Mi chiedo come sia venuto in mente a Salvini e a Berlusconi di rubare alla Meloni, che è pur sempre nei sondaggi il primo partito, il posto nel cda della Rai. E poi il Copasir, e i sindaci, figure non di primissimo piano. In ogni caso, per tornare al semestre bianco, Draghi è stato furbo.
In che senso?
Per la riforma della giustizia poteva aspettare fino a fine anno, e invece ha preteso che si decidesse adesso, prima dell’estate. Teoricamente rischia ancora la crisi di governo, però, sentite le parole Conte, mi sembra che finisca tutto a tarallucci e vino.