Trattare o no con i talebani? L’Italia si muoverà con l’Europa

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Si trovano a centocinquanta chilometri da Kabul, la capitale dell’Afghanistan. Oggi i talebani hanno conquistato anche Herat, sede fino a giugno scorso del comando della missione italiana. Così, dopo la presa di Ghazni e l’assedio a Kandahar, i jihadisti si stanno impadronendo di nuovo del Paese. “Anni di impegno italiano cancellati. Si discuterà a lungo su questa guerra e sul suo epilogo”, è l’amaro tweet di Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia ed ex presidente del Consiglio. La caduta della Capitale, verso cui stanno fuggendo i civili, sembra essere ormai solo questione di tempo, e la misura del dramma è data dalla proposta che il governo ha avanzato agli insorti di una condivisione del potere in cambio della fine delle ostilità. Gli occhi del mondo, inevitabilmente, sono puntati su questo scenario di guerra. L’Italia attende di vedere meglio gli sviluppi sul territorio e una qualsiasi decisione, se dialogare o no con i talebani, sarà presa a livello europeo. Difficile l’iniziativa di un singolo Paese su un tema di tale portata.

“Non accetteremo una presa del potere violenta o con la forza da parte di nuovi regimi”, afferma il segretario generale della Farnesina Ettore Sequi. Cioè del Califfato absconfitto dall’intervento anglo-americano del 2001. Ma una fonte del governo citata dall’agenzia Afp dice che, tramite la mediazione del Qatar, Kabul ha sottoposto ai Talebani la proposta “di condividere il potere in cambio della fine della violenza nel Paese”. Ora si attende la posizione che assumerà l’Unione europea.

Ci si sta muovendo invece con rapidità sul piano dei rimpatri. I combattimenti hanno indotto anche la Francia a sospendere i rimpatri degli afghani immigrati illegalmente, come avevano fatto in precedenza la Germania, l’Olanda, la Svezia e la Finlandia. Probabilmente anche l’Italia si muoverà in tal senso anche perché, viene fatto notare, è il diritto internazionale che vieta i rimpatri verso i territori ad alto rischio e l’Afghanistan lo è, secondo l’Onu nell’ultimo mese si sono registrati mille decessi tra i civili.

Intanto anche l’Italia, come gli altri Paesi della Nato, sta agendo per accelerate le operazioni e portare fuori dal Paese le migliaia di afghani che hanno collaborato con le forze straniere. “Ci stiamo muovendo insieme agli altri partner – ha detto il segretario generale della Farnesina Ettore Sequi in un’intervista a Sky TG24 – e una collaborazione fra i ministeri della Difesa, degli Esteri e dell’Interno ha fatto sì che 228 afghani che hanno collaborato con l’Italia e le loro famiglie siano già in Italia. Altri ce ne saranno nei prossimi giorni”.

A questo proposito, si apprende da fonti di governo, la Difesa, in stretto raccordo con le altre Amministrazioni coinvolte, ha già avviato i preparativi per l’attuazione della seconda fase, che prevede il ricollocamento di ulteriori collaboratori afghani che sono stati già individuati. Anche se il ritiro del contingente militare italiano dall’Afghanistan, che implica peraltro l’impossibilità di fare affidamento, come avvenuto durante la prima fase, sulla presenza militare italiana presso gli scali aeroportuali di Kabul ed Herat, sta ponendo diverse e non trascurabili difficoltà di ordine logistico, organizzativo e di sicurezza. Ma sono tantissime, in quadro così deteriorato, le richieste di cittadini afghani che, a vario titolo, chiedono un visto d’ingresso per l’Italia allo scopo di lasciare il Paese.

 



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