Nell’affidare i compiti lavorativi non avrebbe tenuto conto dello stato di salute della dipendente e della sua non idoneità alla mansione di operatore di sportello, così facendo avrebbe aggravato la malattia della lavoratrice causata da uno shock subìto a seguito di due rapine avvenute nell’ufficio postale dove lavorava nel 2003 e 2010. Di questo è accusata una dirigente di Poste Italiane che si trova ora sul banco degli imputati (difesa dall’avvocato Graziella Mingardi) per fatti che vanno dal 2012 al 2018 ossia gli anni nei quali la dipendente delle poste avrebbe avuto contatti con il pubblico nonostante non potesse averli per il grave shock subìto anni fa, il tutto certificato dalla medicina del Lavoro che l’aveva esonerata quindi dalla mansione di sportellista. Durante una delle rapine fu presa in ostaggio da un malvivente che la usò da scudo per guadagnarsi la fuga. Non rimase ferita e l’uomo la lasciò davanti all’ufficio pochi secondi dopo, tuttavia da quel giorno non è più stata la stessa. Nell’udienza del 10 gennaio in aula hanno sfilato le colleghe della donna che si è costituita parte civile con l’avvocato Daniele Pezza. Le dipendenti delle Poste hanno tutte confermato di sapere che la collega non potesse avere contatti con l’utenza ma «di fatto, per come era disposto quell’ufficio, ci stava».
«Il bancone di quella filiale prima del Covid non aveva barriere ed era tutto aperto, lei – non avendo l’operatività allo sportello – aveva altre mansioni ma non potendo svolgerle in un’altra stanza era costretta a rimanere in quella posizione. Cercava di proteggersi, di creare una barriera, con alcuni oggetti ma i clienti non capivano che il suo non era uno sportello operativo e la interrompevano spesso», hanno spiegato. «Quell’ufficio era come Lampedusa – ha detto un’altra testimone – l’utenza era perlopiù straniera, non c’era la possibilità di prendere il ticket per fare la fila e la situazione spesso degenerava nel caos di insulti a noi dipendenti». «Ricordo quando un giorno era entrato un giovane, nostro cliente da tempo, che si era dimenticato di togliere il casco. Mi sono voltata verso di lei e l’ho vista subito accusare un malore», ha spiegato un’altra collega. «Si lamentava sempre di questa situazione che la costringeva a rimanere a contatto con i clienti, avevamo anche proposto di farle usare un altro computer sul retro, ma ci fu risposto che non si poteva», ha aggiunto una collega. Il processo è stato aggiornato.
www.ilpiacenza.it è stato pubblicato il 2024-01-10 19:56:51 da
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