FOLLONICA. Quell’edificio bianco lungo la vecchia Aurelia, sul quale campeggia la scritta “Santa Paolina”, a due passi dal quartiere San Luigi, è lì da tempo, eppure è sconosciuto a molti. O meglio, non tutti sanno che proprio lì c’è una delle stazioni più importanti del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa.
È dal 1967 che il Cnr ha creato in quel luogo l’Istituto per la BioEconomia (Ibe), dove si fanno ricerche, sperimentazioni e dimostrazioni in campo agricolo con particolare riguardo alla salvaguardia della biodiversità, alla produzione, alla valorizzazione tecnologica delle specie legnose e dei loro prodotti e alla valutazione organolettica delle produzioni agroalimentari. La ricerca scientifica applicata all’agricoltura, infine, cerca di affrontare il cambiamento climatico (malattie come la Xylella fastidiosa, ad esempio). In Italia sono sette i laboratori come quello follonichese ma non in tutti viene fatta sperimentazione. A dirigerlo dal 1983 è Claudio Cantini, follonichese di 62 anni, membro del Collegio dei docenti del dottorato di Scienze della Vita dell’Università di Siena.
La storia del territorio è passata anche da qui
Il podere di Santa Paolina faceva parte delle proprietà della famiglia Bicocchi. Furono proprio i Bicocchi, venuti a conoscenza che il Cnr stava cercando in zona una sede dove aprire un proprio laboratorio di ricerca, a decidere di darlo in concessione per vent’anni. Insieme alle mura e i terreni circostanti, utili alla messa a dimora delle piante arboree su cui studiare, sono giunte fino ad oggi vecchie foto di una Follonica ormai perduta, quelle delle iniziative politiche o divulgative che lì si sono svolte. Nel corso degli anni, il lavoro del Centro di ricerche è passato dalla divulgazione del know-how allo studio delle tipologie di piante di produzione antiche, fino alla classificazione di quelle presenti sul territorio.
I risultati ottenuti serviranno per far fronte al cambiamento climatico
L’elaborazione dei dati ottenuti dalle ricerche si sta dirigendo verso l’individuazione delle tipologie di piante più forti e resistenti ai cambiamenti climatici e alle malattie, che ne sono la diretta conseguenza. Se in un primo momento l’intera attività svolta a Santa Paolina mirava ad aiutare gli agricoltori nell’ottenimento dei migliori risultati dalle proprie coltivazioni grazie alla condivisione di scoperte e conoscenze, al giorno d’oggi i risultati finali di tanto studio e sperimentazione, permetteranno alle nuove generazioni di utilizzare piante più adatte a resistere agli eventi climatici.
Un esempio tra molti l’olivo, studiato a Santa Paolina da circa 40 anni nelle sue molteplici varietà (950 sono presenti nei terreni gestiti dal Cnr). Lo stesso vale per gli alberi da frutto come il pero, presente con oltre 300 varietà, il kali, il susino e il pesco che una volta era presente in una collezione di oltre 2000 varietà purtroppo andate quasi tutte perdute.
Eppure una tale fonte di conoscenza e di storia territoriale, potrebbe essere prossima a vedere la fine della sua attività. Per questo MaremmaOggi ne ha parlato direttamente con Claudio Cantini.
L’intervista a Claudio Cantini
Entrare a Santa Paolina è un’esperienza unica. Come si può pensare di rinunciare a questo patrimonio dopo che lei sarà andato in pensione?
«Il direttore appena nominato si sta già muovendo per trovare una soluzione ma non è pensabile che sia la mia figura a condizionare l’esistenza futura della stazione sperimentale. Purtroppo lavorare a Follonica non è stimolante per un giovane ricercatore in quanto siamo lontani dai laboratori, dall’attrezzatissima area di ricerca di Firenze e dai colleghi. Io sono nato qui e non ho avuto necessità di ambientarmi, mentre difficilissimo e lungo, è stato creare la rete di relazioni senza le quali non è più possibile lavorare ai livelli richiesti dagli standard del Cnr».
L’interazione con le amministrazioni locali, con le scuole, con gli agricoltori che negli ultimi anni stanno rivalutando le loro aziende, con i giovani che intraprendono strade innovative, non potrebbe essere un valore aggiunto da rivalutare tanto da motivare a proseguire il lavoro?
«Le interazioni con le cooperative e le associazioni agricole ci sono sempre state e sono in essere anche in questo momento, ma spesso sono legate ai soli bandi di settore per il reperimento delle risorse e si esauriscono con la chiusura dei progetti finanziati senza dare vita ad una rete permanente. Le amministrazioni locali, invece, sono da sempre in difficoltà a capire come utilizzare la presenza del Cnr, oppure proprio non se ne curano a partire dal Comune che ci ospita per il quale siamo da sempre dei perfetti sconosciuti. Solo il Comune di Gavorrano recentemente ha chiesto di partecipare a tavoli tecnici indirizzati allo sviluppo agricolo ambientale del territorio. Le scuole sono le grandi assenti, a partire dagli istituti tecnici e professionali agrari grossetani che ignorano ormai da decenni l’azienda, stretti tra velleità di autonomia scientifica e problemi gestionali. La divulgazione verso le scuole, che rientra nella cosiddetta terza missione, rappresenta però un problema anche per noi in quanto richiede molto lavoro e restituisce quasi nulla in termini di pubblicazioni scientifiche e avanzamento della conoscenza che sono gli obiettivi primari del Cnr, assieme al trasferimento delle innovazioni alle aziende.
Lei tra le tante cose, ha detto che un altro studio importante lo avete fatto sulla farina dei castagni. Ce lo spiegherebbe meglio?
«Nel corso del 2025 sarà organizzata la decima edizione della Rassegna Nazionale Farine di Castagne che si svolge, come ogni anno, a Boccheggiano. Questa iniziativa premia le migliori farine inviate dai produttori di gran parte delle regioni italiane. Una iniziativa del genere ha permesso nel corso degli anni di costituire qui in Maremma una Associazione Italiana Assaggiatori Farina di Castagne che opera a livello professionale. I castanicoltori hanno l’opportunità di far giudicare le proprie produzioni e capire come migliorarne la qualità. La giornata di premiazione vede la partecipazione dei maggiori esperti italiani invitati a discutere di temi legati alla gestione dei castagneti, alle malattie delle piante, alla politica di settore. Dal punto di vista della ricerca invece Cnr ed Università di Siena sono concentrati a capire come conservare più a lungo la qualità delle farine nel tempo in modo da prolungare la loro utilizzazione commerciale.
Se dipendesse da lei, cosa vedrebbe a Santa Paolina?
«Esattamente quello per cui è stata fondata e che è ancora adesso: un centro attivo di ricerca e trasferimento dell’innovazione. In questo momento è una pianta monumentale che sta soffrendo; per trasformarla in una foresta basterebbe soltanto cogliere la sua importanza e puntare qualche soldo su un reale potenziamento. Restituirebbe in poco tempo e non solo a livello locale, ogni singolo euro investito».
www.maremmaoggi.net è stato pubblicato il 2025-01-13 07:30:35 da Chiara Pierini
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