A Roma chiusi 5.000 negozi in quattro anni: c’è concorrenza sleale

A Roma chiusi 5.000 negozi in quattro anni: c’è concorrenza sleale


I negozianti pagano anche il 60% di imposte, debbono sottostare a regole e balzelli, subiscono gli aumenti del mercato. Le piattaforme on line, i grandi supermercati, gli abusivi e i minimarket sfuggono alle leggi, ai rischi d’impresa dei piccoli commerciati, hanno imposte agevolate: è concorrenza sleale. Ma ci sono segni di ribellione.

Devo acquistare delle telecamerine per controllare il cane, quando resta da solo a casa. Costano circa 30 euro. Se le ordino su Amazon, con una modica spesa per il trasporto, mi arrivano il giorno seguente, mentre sto facendo altro. Se devo comprarle in città, devo prima sapere dove le posso trovare, andarci con l’auto o con un mezzo pubblico. Se tutto mi va bene, nel senso che vado a colpo sicuro, perdo un’ora e mezza, due per fare tutto, tra costo della benzina e parcheggio se ne vanno altri 5 euro minimo.

Se mi fanno la multa diventano 70-80, se mi portano via l’auto non ne parliamo. Oltre a pagare il costo, identico su Amazon, delle due telecamerine Made in China. Che faccio? Compro su Amazon. Così vale per la pizza delivery, per i libri, per un paio di Levis, per la risma di fogli della stampante. Risultato, a Roma 5.000 negozi hanno chiuso in quattro anni, perduto il 30-40% degli incassi e non nascono quasi più piccole attività commerciali.

Tutti gli oneri a carico dell’esercente mentre gli altri hanno tutte le agevolazioni

Quando compri nel grande magazzino, oppure sulle piattaforme on line, i guadagni vanno alle grandi multinazionali, che da noi pagano un’inezia di imposte o quasi niente. Le loro sedi stanno nei paradisi fiscali, creati appositamente per loro in Olanda, nella City a Londra, nel Delaware (Usa). Quando compri al negozietto i guadagni vanno a una famiglia italiana che paga il 50-60% di tasse sui suoi introiti e usa i guadagni per comprare altre cose in Italia. Il denaro resta in casa. Anche quella famiglia deve comprare alimenti, vestiti, energia, pezzi di ricambio e via dicendo, alimenta l’economia nazionale.

Però il Centro Commerciale è comodo. In un’ora trovo 100 negozi, a portata di mano, il parcheggio è gratis, passo due ore con la famiglia, mi posso fermare a prendere un caffè nel centro stesso. C’è il supermercato alimentare, il super store di elettronica, quello di articoli sportivi. Ci sono super mercati dove trovi tutto, dalla ricotta di pecora, allo spillo da balia, dall’olio da motore alla racchetta da tennis, dai boxers alle spazzole, dal dentifricio alle chiavi inglesi, alla bibbia. Se dovessi cercare questi oggetti in città mi ci vorrebbe una settimana di tempo.

La Confesercenti lancia un grido di allarme

Valter Giammaria, presidente della Confesercenti di Roma, sa bene che questa è una parte del problema ed è difficilmente contrastabile. C’è una concorrenza sleale verso chi paga troppe tasse e subisce tutti i problemi di traffico e di parcheggio della grande città. Ma nei piccoli paesi sta succedendo la stessa cosa.

Era da tempo che il commercio non viveva un’emergenza del genere” ha dichiarato Giammaria in questi giorni a Roma Today, e sottolinea anche come tutto questo stia accadendo “nell’indifferenza generale”. Già la pandemia ha determinato problemi ai negozianti, mesi e mesi di fermo mentre correvano le spese di gestione e del personale. I finanziamenti pubblici hanno contribuito a resistere ma è chiaro che non è vita, non c’è prospettiva.

A oggi i numeri parlano di una vera ecatombe di aziende andate irrimediabilmente perdute. Tra le cinquemila attività che hanno chiuso ci sono soprattutto negozi di abbigliamento, casalinghi, calzature, bar e alimentari. “Tutti i settori che subiscono la concorrenza della grande distribuzione, conclude Giammaria.

Le attività fantasma di quelli che vendono, non pagano tasse e scappano

Ci sono attività sleali, le cosiddette ditte Apri e Chiudi, società fantasma, anche straniere, che non esistono se non sulla carta, che servono a commettere illeciti. Il primo è quello di non versare imposte allo stato e chiudere prima che arrivino i controlli. I gestori spariscono e ricompaiono altrove con altri brand. Un giro che rappresenta un’altra spina nel fianco degli esercenti corretti e leali. Nel nostro paese i furbi frodano lo stato e danneggiano le attività dei contribuenti e l’Agenzia delle entrate si accanisce su chi ha sempre pagato e non può niente contro chi disattende le regole. Questo sistema è arrivato al capolinea. Non è possibile che l’ingiustizia fiscale determini il mercato. Per i cittadini il danno è doppio, allo stato e al proprio potere d’acquisto. Infatti il vaso è colmo.

Il centro è un cantiere aperto che blocca il commercio

Un altro elemento a danno degli esercenti sono i lavori in corso in centro. Roma da sempre è un cantiere aperto. I lavori sono necessari, lo sappiamo, ma rallentano il traffico e ostacolano il commercio. Il Giubileo 2025 sarà una grande opportunità ma intanto, per via dei lavori, è un grande problema. L’amministrazione capitolina forse penserà ad un indennizzo per chi è danneggiato.

Sempre Giammaria dice però che “anche questo non basterà, i ristori non saranno mai sufficienti a ripianare le perdite, anche a lungo termine. Del resto ci troviamo in una fase di perdita generale degli incassi del 30-40% a causa del calo dei consumi”. Logico. Non si può pensare che i commercianti sopravvivano grazie agli indennizzi delle amministrazioni pubbliche. Sono sempre soldi dei cittadini che vengono tolti ad altre esigenze.

Non possiamo pensare di avere un settore sostenuto dagli aiuti mentre altri si avvantaggiano per le anomalie del sistema fiscale europeo, che consente ad alcuni paesi membri di fare concorrenza agli altri. Anche questa è una questione che deve finire. Che Europa quella dove ogni paese si fa gli affari propri a danno degli altri membri? Se non si pone la possibilità di uscire dall’Unione Europea, facciamo si che almeno chi gioca sporco non abbia benefici economici. Mi riferisco a Olanda e Lussemburgo e per altri versi anche ad Ungheria e Polonia, sulla questione migranti.

Il fenomeno dell’abusivismo è in crescita, dietro ci sono le cosche

Per ultimo ma non meno grave, c’è poi il fenomeno degli abusivi e dei minimarket. Acqua fresca, selfie stick, ombrelli. Al gran bazar dell’abusivismo si vende di tutto. I venditori nascondono la merce nei luoghi più disparati, multe e Daspo non bastano a fermarli. Marco Milani, segretario romano aggiunto del Sindacato Unitario Lavoratori Polizia Locale: “è un fenomeno destinato ad aumentare”. Con la crescita del turismo cresce anche il fenomeno del gran bazar nel centro cittadino. Le forze dell’ordine riescono a fare poco: qualche multa e il sequestro del materiale rinvenuto. I venditori scompaiono rapidamente e dopo qualche minuto tornano carichi di nuova merce, adatta per ogni stagione.

Noi vediamo il venditore, spesso si tratta di immigrati stranieri, stessa cosa succede per lo spaccio delle droghe. Ma loro sono il terminale, non l’organizzazione. Sono quelli che rischiano di essere arrestati non i “padroni del racket”. Dietro a questi fenomeni c’è la criminalità organizzata. Sono vendite sleali perché in questi casi non ci sono spese per la gestione di un negozio, non c’è iva, non ci sono imposte pagate all’erario mentre tutto questo c’è per il negoziante. A volte vendono borse, artigianato, souvenir proprio davanti ai negozi, con un danno ulteriore.

Secondo Giammaria: “C’è un proliferare assurdo di minimarket, ce ne sono tantissimi. Abbiamo chiesto poi di intervenire a livello di abusivismo visto che, secondo le stime, ci sono sul territorio circa 20 mila attività abusive, soprattutto nel settore turismo. Ci sono poi circa 5 mila venditori di merce contraffatta. Un giro totale di affari di 2 miliardi e 350 milioni d’euro solo a Roma”. Una cifra enorme soprattutto se si pensa che,  nel resto d’Italia, l’ammontare supera di poco 5 miliardi. “Poi uno si chiede perché i negozi chiudono” sottolinea Giammaria, ricordando come solo nel 2023 abbiano già abbassato le serrande per sempre 1500 attività.

Soluzioni non se ne vedono, solo palliativi

Quali soluzioni sono ipotizzabili? La prima è una riduzione della pressione fiscale, come chiede Confesercenti. Le piattaforme online pagano il 15% di tasse. Non si chiede di arrivare a quei livelli, anche se la disparità balza agli occhi di tutti, ma almeno ridurre quel 60% a carico dei commercianti italiani legali, questo si. Le piattaforme on line iniziano coi saldi due mesi prima dei negozi. Non c’è nessun rispetto delle regole. Anche i tempi dei saldi, con il cambio delle temperature, non ha più gran ché senso. Fa caldo per molto più tempo e quasi non si riconoscono più gli intervalli stagionali di un tempo. Dall’oggi al domani può arrivare una bufera con grandine e vento e le temperature passano da 28° a 15° in poche ore.

Sono questi i problemi del Paese, accanto alla questione Sanità, Scuole, Lavoro, Sicurezza e invece sulla stampa si parla del ciuffo di Giambruno, degli accordi con l’Albania, del flop di Pino Insegno in Rai, delle gaffes dei ministri e della telefonata dei comici alla premier. Si chiamano “argomenti di distrazione di massa”, servono a confondere il pubblico. Un gossip politico di livello infimo mentre due guerre alle porte di casa rischiano di trascinarci nell’abisso, se non altro economico.

Ridurre le ore di chiusura della Ztl in centro, equiparare le imposte tra negozietti e piattaforme on line

La Confesercenti chiede di ridurre la chiusura della Ztl al centro. Un centro chiuso, secondo loro, danneggia gli esercenti. Poter aprire un’ora prima la sera l’accesso al centro per tutti potrebbe dare una mano. Sicuramente potrebbe essere un aiuto. Però non è vero che le zone a traffico limitato danneggiano il commercio. Altrove, in capitali anche più grandi di Roma, il centro pedonalizzato è un forte incentivo a passeggiare e a comprare. In fondo il concetto stesso dei Centri Commerciali è questo. Poter girare a piedi facilita gli acquisti.

Forse bisognerebbe dare ai cittadini altre opportunità di accesso al centro, coi mezzi pubblici, taxi, metro, tram, navette, bici. Ma la rete pubblica non funziona. Ancora una volta torna il problema della riduzione dei mezzi privati in città, il vero nodo della questione, assieme alla carenza di grandi parcheggi ai limiti della Ztl.

Il mondo si sta omologando al modello senza negozi ma attenzione ai colpi di coda del pubblico

Il problema delle chiusure delle piccole attività commerciali familiari, è serio e drammatico. Le città nel mondo si stanno trasformando in aree dormitorio, alcune eleganti con parchi e ville nei centri residenziali e altri quartieri popolari solo cemento e alienazione e dei centri commerciali sparsi tutti attorno al perimetro urbano, con un centro storico turistico come un gran bazar di ristoranti, pizzerie, B&B, osterie e sale giochi, farmacie, negozi di articoli cinesi e discoteche. Cresce la tendenza ad assomigliarsi tutte. Aeroporti, stazioni ferroviarie già si somigliano in Europa e in America.

I prodotti in vendita sono uguali in tutta l’area occidentale e in Giappone e Australia. Sono al 60% oggetti fabbricati in Cina. Quali soluzioni siano possibili per bloccare o invertire il fenomeno non saprei, confido molto sul senso di responsabilità o di stanchezza del pubblico, che poi siamo noi, i clienti, che ci possiamo anche stancare di essere presi per i fondelli e stabilire che facciamo a meno di tante piccole apparenti comodità, per cercare chi ci possa vendere un prodotto sano, saporito, senza correre rischi di salute o consigliare quando dobbiamo acquistare un capo di abbigliamento, un libro, un attrezzo per il nostro hobby preferito. Oggetti che durino più di qualche settimana. Elettrodomestici fatti per durare e non programmati per rompersi.

Il cinema sembrava perso, ridotto a stare solo su Netflix e Amazon Prime, poi è scoppiato il caso C’è ancora domani, di Paola Cortellesi. Film più visto nelle sale nell’ Italia post pandemia. Attenzione a questi fenomeni di rivolta. Il pubblico si fa abbindolare ma poi si stanca ed è capace di cercare occasioni per emozionarsi, non rinunciando più alla propria identità e non cedendo più alle proprie pigrizie. In America ci sono già gruppi di giovani che rinunciano al cellulare per riunirsi a ridere e parlare. In Svezia i computer sono stati tolti dalla scuola e si torna alla penna e al quaderno e magari anche alle tabelline. Attenti signori delle piattaforme e dell’omologazione a fare i conti senza l’oste.

L’articolo A Roma chiusi 5.000 negozi in quattro anni: c’è concorrenza sleale
www.romait.it è stato pubblicato il 2023-11-12 22:52:23 da Carlo Raspollini


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