Bari, la denuncia di un genitore: «Condannati nel limbo del Pediatrico: il mio bimbo sta male e non si sa perché»


BARI – Una tosse che squarcia il petto e ti toglie il respiro, su un corpicino di poche decine di centimetri. La mamma grida, chiede aiuto, mentre cerca di far respirare il piccolo dandogli più ossigeno. Passano i minuti, tanti, troppi, prima che qualcuno con un camice arrivi.

«E’ da un mese che non dormo e non vivo se non con il costante terrore di lasciare anche solo per qualche minuto il mio bambino». La donna è stanca, dimostra più dei suoi anni, ma lo spirito ruggisce come una leonessa: pretende risposte, quelle che al Pediatrico da un mese non riesce ad avere. Cosa ha mio figlio? Perché non si arriva ad una diagnosi?

«L’altro giorno il bambino ha avuto una crisi respiratoria grave. E’ andata avanti per quasi mezz’ora. Ho dovuto gridare come una pazza per chiedere aiuto, perché nelle stanze non ci sono cicalini di allerta, è così in tutto il reparto di Pediatria ospedaliera – racconta la mamma -. “Non c’è proprio la predisposizione”, mi hanno risposto. Tutti, tutti dovrebbero venire a stare qui ricoverati al Giovanni XXIII per rendersi conto quello che è, servizi zero. Le mamme ricoverate con i bambini se hanno bisogno di aiuto, o devono gridare, o le vedi correre da una parte all’altra dei corridoi, con i loro bambini minuscoli che possono cadere dai letti, che non tutte le sponde restano alzate».

Mentre la signora Maria racconta, altre mamme si avvicinano. «Siamo disperate – spiegano – e se alzi troppo la voce, se sbrocchi, ti chiamano il vigilante, la verità è che se ti dimostri educata, non ottieni nulla».

«Mia figlia ha bisogno di essere monitorata per verificare la presenza di ossigeno nel sangue, ma sapete che ho dovuto battere i pugni per avere un saturimetro?».

C’è chi lo definisce centro di eccellenza. «Vengono due volte al giorno per aprire l’acqua e farla scorrere nei bagni, per prevenire la legionella, ci dicono».

«Al momento in molte qui sono in una sorta di limbo – racconta la signora Maria -. Non abbiamo una diagnosi da settimane. Con mio figlio si sono ostinati sulla pertosse, che non ha. Proseguono a fargli sierologici tutti negativi e comunque si aspetta dalla settimana ai dieci giorni per avere il referto. Non riescono a dirmi nulla e di conseguenza rimaniamo qui. Io non voglio assumermi la responsabilità di portarlo via senza una diagnosi. Ho chiamato il Gaslini e mi hanno detto che hanno bisogno che da qui i medici trasmettano la cartella con la diagnosi, che non c’è. Ripeto, siamo in un limbo».

«Mi rispondono che devono tenere qui mia figlia per monitorarla – spiega una mamma -, in che senso visto che sono io che la controllo giorno e notte? Non dormiamo, nessuna assistenza o cambio. Le visite premesse solo dalle 19 alle 20. Siamo sole con il nostro dolore».

«Al Gaslini mi chiedevano in quale reparto fossi – continua Maria -, ho ripetuto tre volte: Pediatria ospedaliera. Non comprendevano. Alla fine con un sospiro mi hanno risposto: “abbiamo capito è in un grande calderone”. Nessuno che usi la mascherina. Da quando siamo qui il mio bambino si è preso di tutto. Era in piena crescita con i suoi 5 mesi, ora sono costretta ad assistere ad un decadimento incredibile, sottoposto ad analisi invasive e che non portano a nulla».

Il dolore si tocca con mano negli occhi di queste donne-guerriere al fianco dei loro bambini. «Siamo stanche. Non vinte. Non possiamo perdere. I nostri figli combattono e noi con loro, ma non è umana una gestione così e si ritorce contro i bambini».



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www.lagazzettadelmezzogiorno.it è stato pubblicato il 2024-09-15 12:30:00 da


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