BARI – Non è stata legittima difesa e neanche la reazione ad una provocazione. Anzi, è stata una brutale aggressione, a sfondo razziale, nella quale «l’imputato ha continuato a colpire con calci e pugni» la vittima «anche quando era riversa al suolo e non era in grado di reagire, in quanto cercava solo di proteggersi dai colpi», continuando «ad infierire finché non sono intervenuti altri a fermarlo». Sono le parole con le quali il Tribunale di Bari motiva la condanna a 8 anni di reclusione inflitta al 20enne Alessio Blasi per l’aggressione del 5 aprile 2022 nel Parco Rossani che è costata un occhio ad un 25enne di origini senegalesi a causa di un violento pugno. Il 20enne è stato giudicato colpevole di lesioni gravissime pluriaggravate dall’odio razziale e dalla presenza di minorenni e condannato al risarcimento danni nei confronti della vittima, costituita parte civile con l’avvocato Michele Filannino.
Nelle motivazioni della sentenza i giudici ricostruiscono la vicenda, ripercorrendo le dichiarazioni rese in aula dai testimoni oculari (gli amici di vittima e aggressore) ma anche analizzando le immagini immortalate dalle telecamere di videosorveglianza. «I due si incrociano, rispettivamente in uscita e in entrata al cancello d’ingresso del parco Rossani, verosimilmente si urtano con le spalle, Blasi – ricostruisce il tribunale – lancia un’occhiata alla persone offesa e ne nasce un dialogo dai toni aspri, addirittura minatori da parte di Blasi, il quale improvvisamente, quando ormai la questione sembrava essersi risolta, sferra un violento pugno al volto del 25enne, che per il forte colpo cade sull’asfalto, ma tanto non basta a fermare Blasi, che continua a picchiarlo con calci e pugni nella zona lombare».
Tutti i testimoni, di alcuni dei quali i giudici sottolineano l’atteggiamento «reticente», hanno ricordato che «dopo il primo pugno Blasi non si fermava bensì continuava a percuotere la vittima riversa per terra. Ciò non per paura, come affermato dall’imputato, quanto più verosimilmente a causa della propria indole aggressiva».
Secondo il Tribunale, infatti, «pur ammettendo il tono di sfida o lo scambio reciproco di scortesie, non appare né proporzionata né giustificabile altrimenti la reazione di Blasi, il quale nonostante la persona offesa aveva deciso di allontanarsi per ovviare a simili provocazioni, invece di desistere dalla sfida, colpiva per primo con violenza tale da tramortire la persona offesa e si accaniva sulla stessa per tutto il tempo in cui era rimasta inerme al suolo».
Con riferimento alla aggravante dell’odio razziale, il Tribunale ricorda che «Blasi ha rivolto alla vittima frasi a sfondo razziale nel corso del pestaggio, non solo mediante l’utilizzo della parola “negro” ripetuta più volte in dialetto napoletano, ma altresì con le tipiche frasi che spesso vengono rivolte ai soggetti di colore per marcare la loro estraneità rispetto al posto in cui si trovano, “tornatene al paese tuo”». Per i giudici «l’utilizzo delle parole denigratorie è una consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, di un sentimento connotato dalla volontà di escludere condizioni di parità per ragioni fondate sulla appartenenza della vittima ad una etnia, ciò a maggior ragione se manifestato durante l’inflizione di plurimi colpi e botte».
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www.lagazzettadelmezzogiorno.it è stato pubblicato il 2023-12-16 11:37:39 da
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