L’ascensore della stazione metro che si blocca, il caldo, le urla di una madre, i pianti del bambino. Poi l’intervento di un dipendente Atac, il piccolo che si lancia verso l’uscita e la caduta nel vuoto.
Il 9 luglio del 2015 è accaduto tutto in un attimo. Una tragedia che pochi giorni fa ha convinto la Cassazione a condannare l’ex dipendente Atac a 8 mesi di carcere, ma che a quanto pare non è servita a migliorare il sistema di soccorsi.
I fatti avvenuti lo scorso 11 dicembre, quando un turista milanese ha atteso l’arrivo degli aiuti per tre lunghe ore, richiamano alla mente altri ritardi, altri episodi, tragedie ben più gravi.
Come quella accaduta nella stazione della metro Furio Camillo, dove un bambino di quattro anni è morto. Era rimasto intrappolato con la madre in ascensore ma i soccorsi non arrivavano. Così Flavio Mezzanotte, dipendente Atac, ha deciso di intervenire.
Secondo la procura i fatti accaduti otto anni fa sono chiari. Alle 16.17 la madre e il bambino entrano in ascensore. Un minuto dopo il mezzo si blocca. Alle 16.24 un operatore preleva le chiavi della sala macchina e alle 16.28 Mezzanotte apre il pannello affiancandosi al mezzo con un altro ascensore. Il bimbo corre verso l’uscita ma cade in un’intercapedine.
Ma perché Mezzanotte è intervenuto anche se non era tra i suoi compiti? Perché nessuno dei tecnici preposti ha risposto al telefono. Capitava spesso. «Il timore che accadesse qualcosa di grave per i passeggeri durante il nostro turno di lavoro ci accompagnava ogni giorno», dice adesso Mezzanotte.
L’avvocato del dipendente, Valentina Chianello, nel corso dell’indagine difensiva ha infatti scoperto che la ditta a quel tempo incaricata di effettuare la manutenzione, con i suoi 10 tecnici (non sempre tutti in servizio), si occupava degli oltre 600 impianti sparsi tra la linea B, B1, Roma Lido e Roma Viterbo. Pochi dipendenti per assicurare un’assistenza adeguata. «Sono intervenuto perché la temperatura fuori era di 33 gradi e dentro non c’era aria», ha detto Mezzanotte durante il processo. E ancora: «Il mio collega non si è opposto, anche lui aveva capito che l’emergenza».
Il caldo, i pianti del bambino, le urla della madre. La situazione era grave ma nessuno interviene.
Così a prendersi la responsabilità è stato un dipendente Atac. Una mossa azzardata costata la vita a un bambino di quattro anni.
«Le stazioni della metro di Roma dovrebbero essere presidiate prevedendo ogni rischio ed evento e assicurando interventi tempestivi per i passeggeri ma anche per i lavoratori», riflette adesso l’imputato. A quel tempo non era così. E a giudicare da quanto accaduto la scorsa settimana al turista milanese, non lo è neanche adesso.
roma.repubblica.it è stato pubblicato il 2023-12-15 09:20:30 da [email protected] (Redazione Repubblica.it)
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