MANFREDONIA (FOGGIA) – (di Paolo Cascavilla futuriparalleli.it) La nostra vita, le relazioni, le attese, le promesse, le soddisfazioni del vivere, la ricerca della felicità… si svolgono nella città. Il futuro della comunità è il futuro della città. E viceversa.
Le città sono cambiate molte volte nella storia. Oggi è un momento di svolta. Le città devono trasformarsi, e a Manfredonia viene in aiuto l’Urbanistica tattica, un “piccolo” provvedimento di giunta del 16 maggio 2025. Un indirizzo strategico per interventi a basso costo, rapidi, reversibili, partecipati. Interventi senza progetti e autorizzazioni per trasformare spazi urbani trascurati e/o degradati in luoghi inclusivi e gradevoli. Si sottolinea la partecipazione dei cittadini, la gradualità, la realizzazione veloce. Non c’è altro nella delibera. C’è da aspettarsi qualche altra cosa nei prossimi giorni. Magari un piano di lavoro, scadenze, una verifica sul campo. Insomma, qualche idea in più.
Di “Urbanistica tattica” si parla da qualche anno in alcune città americane, a Barcellona, a Milano…. Non è una cosa nuova (è un po’ l’arte di arrangiarsi). Si intreccia con la crisi climatica, di cui non si parla più, impegnati come siamo nelle guerre e nel prepararne altre per il prossimo futuro. Non è facile rinunciare all’idea di “rimettere a posto” il clima. Ma come il pessimismo della ragione può incrociarsi con l’ ottimismo della volontà? Come coltivare fiducia e speranza senza perdere la lucidità? Bisogna provare e sperimentare.
E’ il tema della Biennale di Venezia di questo anno, dove si sottolinea che la trasformazione della città non può essere guidata da “geni solitari” ma da un’azione collettiva. Si usa una parola: intelligence, con tre aggettivi: natural, artificial, collective. Il riscaldamento globale non possiamo fermarlo e allora adattiamoci e cambiamo la città, usando l’intelligenza della natura (e della terra), l’intelligenza artificiale, e soprattutto l’intelligenza collettiva, di tutti, anche della gente comune.
E’ già successo nel passato. Londra nell’Ottocento era martoriata dal colera, scoprì con indagini dal basso che la causa non erano i miasmi, l’aria maligna ma erano le acque, i pozzi inquinati dalle fogne (i monaci dei monasteri erano immuni perché bevevano la birra che fabbricavano, al contrario dei minatori che erano falcidiati). Si sono costruite in pochi anni condutture sotterranee di centinaia di chilometri. E poi grandi vasche di accumulo… E si è scoperto che i privati non potevano gestire le fontane pubbliche. In tempi più vicini molte città che soffocavano nello smog, con provvedimenti sulla mobilità, hanno abbattuto le emissioni.
L’anno scorso l’anno più caldo. A Phoeniz in Arizona il clima è desertico, ma l’estate passata ci si ustionava toccando le maniglie delle porte, a Delhi si spaccava l’asfalto. A Foggia e Bari le notti non si rinfrescavano più. Alla biennale di Venezia, nel rapporto sulla sostenibilità, l’adattamento non è un paragrafo secondario; è la sostanza del rapporto stesso. E’ quello che fa la natura: le piante anticipano la fioritura, le zone umide si spostano. Adattarsi è una resa? Certamente sì. Ma è quello che fa la natura quando è sottoposta a forte stress.
La crisi climatica è il nostro presente. Certi impatti e certi picchi sono comunque realtà. Dobbiamo agire dentro la crisi stessa. Cambiare obiettivo, dalla mitigazione del clima all’adattamento. Le politiche urbane sono andate avanti come se nulla fosse. I piani urbanistici sono quelli del secolo scorso. Le città sono lente, la capacità di rispondere alle sfide è difficile. I nuovi Comparti di Manfredonia sono il segno evidente di un passato da superare: consumo abnorme del suolo, “ville” enormi e non case, seguendo il modello di un clima stabile ed energia a basso costo. Non si può cambiare ciò che è fatto, ma si può aggiustare. Si ha bisogno di spazi pubblici che assorbano acque, di alberi che ombreggino e mitighino le ondate di calore. Deve cambiare la logica con cui si fa architettura. Va ripensato l’insegnamento. I tecnici (ingegneri e architetti) devono dare le giuste informazioni. I mattoni forati per costruire con leggerezza o i tufi? Le strutture abusive sono solo verso l’alto? E quelle verso il basso?
Cosa vuol dire riadattarci? Non è affrontare l’emergenza caldo. Come si faceva un tempo. Si deve ripensare la città, la politica, la cultura. Il riadattamento coinvolge tutti i settori di una amministrazione pubblica e della società. La parola chiave è cooperazione verticale e orizzontale (comunale e territoriale).
“Facciamo come dice la scienza”. Non ha funzionato. Dobbiamo seguire più la natura. E la scienza? Ci descrive le cose come sono… e poi il sapere diffuso, il buon senso, il limite… per immaginare come operare. L’architettura non può risolvere tutto, ma può porre le domande giuste, e chiedere aiuto ad altre discipline. Dove intervenire? Quali le priorità? Adattarsi non è smettere di creare, inventare, sognare. Ma scoprire un nuovo senso di responsabilità. Il pianeta è cambiato e noi non possiamo cambiare abitudini e stili di vita?
di Paolo Cascavilla futuriparalleli.it
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