Brindisi, impiegato di banca morì per il Covid: alla moglie vitalizio e assegno


BRINDISI – Impiegato di banca morto di Covid: il Tribunale riconosce alla moglie il diritto al risarcimento e alla liquidazione da parte dell’Inail di un vitalizio.

In estrema sintesi, il giudice ha riconosciuto la riconducibilità dell’infortunio all’occasione di lavoro. Partendo dalle accertate mancanze in materia di sicurezza della banca e dalle ulteriori prove raccolte, non è stato possibile escludere o attribuire ad altra causa il contagio che ha condotto alla morte dell’impiegato. Cataldo Romito, persona buona e da tutti ben voluta, si è ammalato sul posto di lavoro ed è morto per quello, per cui l’Inail dovrà «risarcire» gli eredi – nello specifico la moglie – con un vitalizio e con un assegno una tantum. Il prossimo step potrebbe essere l’accertamento della responsabilità diretta della banca nei confronti dei parenti per la perdita del legame affettivo, ma questa è un’altra storia.

Il giudice Maria Forastiere ha accolto in toto le argomentazioni degli avvocati Carlo Guarini e Vito Pignatelli, che avevano citato in giudizio l’Inail. Cataldo Romito, dipendente della Banca Intesa San Paolo, impiegato presso la filiale di Fasano dell’istituto di credito, è deceduto il 2 dicembre 2020, in piena «tempesta» Covid. È morto per il coronavirus. A seguire, la moglie ha presentato domanda per il riconoscimento della malattia professionale. L’Inail ha rigettato l’istanza. Non si è fermata. Affidando la tutela delle sue ragioni agli avvocati Guarini e Pignatelli, la vedova di Cataldo Romito si è rivolta al giudice. Il Tribunale ha ritenuto fondato il ricorso.

«Ai superstiti del lavoratore deceduto a seguito di infortunio sul lavoro o di malattia professionale – si legge nella sentenza – spetta una rendita, la cui liquidazione ha come presupposto indefettibile un nesso di causa-effetto tra infortuno/malattia e morte. La rendita – prosegue la sentenza – spetta ove il decesso dipenda, con certezza o elevata probabilità, da una malattia professionale o da un infortunio oppure quando la tecnopatia si ponga quale fattore accelerante per l’exitus determinato da altra causa».

Sulla scorta delle testimonianze dei colleghi di lavoro del bancario defunto e dei familiari, il giudice ha tratto la conclusione che «sono emersi elementi gravi, precisi e concordanti tali da far scattare ai fini dell’accertamento medico-legale la presunzione dell’avvenuto contagio in occasione di lavoro, tenuto conto dello specifico contesto lavorativo in cui all’epoca lavorava (in presenza) il de cuius, della tipologia di mansioni svolte (sportellista), a causa delle quali era, all’evidenza, maggiormente esposto al contatto con il pubblico, del periodo in cui si è verificato l’evento (caratterizzato da una elevata incidenza epidemiologica della pandemia), dell’assenza di specifici strumenti che consentissero di rilevare (quantomeno con riferimento ai clienti della banca) sintomatologia compatibile con il virus (termo scanner)».

Per tutte queste ragioni, il Tribunale ha accolto il ricorso riconoscendo alla moglie del bancario un vitalizio e un assegno una tantum.

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www.lagazzettadelmezzogiorno.it è stato pubblicato il 2024-12-24 12:00:01 da


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