Caccuri, oh che bel castello!


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Caccuri, simpatico paese dell’alto crotonese dove vivono millecinquecento anime, è conosciuto per due cose. Anzi, tre. La prima. La presenza, in quel contesto, di un castello che fu la residenza di nobili feudatari come i Ruffo, i Cavalcanti e i Barracco. Caccuri ebbe grande e indiretta fama per le vicende che riguardarono Francesco (detto Cicco e Cecco) Simonetta, che si collocarono tra il XIV e il XV secolo prendendo, appunto, l’avvio dal piccolo centro del Marchesato.
La stessa storia parla, però, di due castelli: quello da dove partì Simonetta e quello, a distanza di oltre mille chilometri di distanza, dove lo stesso perì tragicamente. In pillole: quando Polissena Sforza, detta la Colombina, si trasferì alla corte di Milano fu seguita dal caccurese Cicco Simonetta (1410-1480) che divenne un famoso uomo politico per l’incarico che ebbe di segretario del duca di Milano Francesco Sforza; alla morte di quest’ultimo Simonetta divenne fiero avversario del figlio Ludovico il Moro. Quando il Moro riuscì nel suo intento malefico, lo accusò di molti crimini e lo fece decapitare sul rivellino del castello di Pavia. Ecco il significato dei due castelli che segnarono il destino del Simonetta di cui scrisse il Machiavelli nel XVIII capitolo delle Istorie Fiorentine: «…messer Cecco, uomo per prudenza e per lunga pratica eccellentissimo…». Il sodalizio Ruffo-Sforza ad un certo punto si ruppe e il castello di Caccuri ritornò pienamente ai Ruffo che lo tennero sino al 1500.
La struttura passò poi ad altre famiglie, tra le quali gli Spinelli e i Cavalcanti (1600-1700), questi ultimi pare avessero discendenze senesi. La presenza nel castello di stemmi fregiati di giglio richiamano i Cavalcante toscani. Intorno al 1800 assume la proprietà del castello e delle terre circostanti la famiglia Barracco. Nel 1885 il barone Guglielmo Barracco fece realizzare, attraverso l’architetto Adolfo Mastrilli, importanti lavori di ristrutturazione i cui effetti sono tutta ora presenti (vedi il sistema di scarico delle acque); Mastrilli infatti ideò un grande sistema idrico utilizzando la torre di avvistamento come serbatoio piezometrico che consentiva di calmierare l’acqua proveniente dalla Sila e poi distribuita a valle. Il secondo cameo del centro crotonese è dato dal premio letterario Caccuri per la saggistica che si svolge ogni anno dal 6 al 10 agosto. Infine c’è la terza gemma che interessa soprattutto gli archeologi.
La presenza sul territorio del Monastero del Vurdoj, detto anche Grancia del Vurdoj [Il termine grangia o grancia indicava originariamente una struttura edilizia utilizzata per la conservazione del grano e delle sementi, poi il complesso di edifici costituenti un’azienda agricola e, solo in seguito, passò ad indicare una vasta azienda produttiva, per lo più di proprietà monastica]. Esso è un edificio storico che si trova in località Bardò del Comune di Caccuri. «Il monastero del Vurdoj – racconta granciadelvurdoj.it – fu fondato dall’Abate Gioacchino tra il 1196 e il 1197 come grancia del Monastero con annesso oratorio e case coloniche per la coltivazione delle terre avute dall’Imperatore Enrico VI. Prima delle leggi eversive il fondo era ancora una Grancia del Monastero Florense.
Durante l’occupazione francese del regno, fu donato al generale Antonio Manhes per i servizi resi in occasione della crudele repressione del brigantaggio. Si sa con certezza che dopo il 1820 divenne possesso della famiglia Lopez di San Giovanni In Fiore. Le successive notizie documentate si riferiscono all’anno 1844 in relazione alla denuncia e cattura dei Fratelli Bandiera che qui giunsero e sostarono all’alba del 18 giugno e nella stessa giornata furono attaccati e catturati. Attilio Bandiera durante l’interrogatorio subito a San Giovanni in Fiore il giorno dopo la cattura, così dichiarava: “proseguendo il viaggio, arriviamo al casino del Vurdò di questi signori Lopez, ove comprammo vino…”]».

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www.corrieredellacalabria.it è stato pubblicato il 2024-09-23 08:55:50 da Redazione Corriere

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