Un anno e sei mesi, con pena sospesa, per falso relativo a una delibera del 2017: è la condanna inflitta in appello a Mimmo Lucano dal Tribunale di Reggio Calabria, che di fatto smonta il castello di accuse che aveva portato in primo grado l’ex sindaco di Riace a subire una condanna di 13 anni e due mesi, e a una campagna culminata con la fine dell’esperienza degli Sprar, il sistema accoglienza diffusa di cui il suo borgo calabrese era diventato un modello.
Lucano era finito nel registro degli indagati nel 2018, nella cosiddetta inchiesta Xenia, con l’accusa di associazione a delinquere, concussione, truffa aggravata e abuso d’ufficio proprio per la gestione dello Sprar di Riace: la sentenza era stata perfino più dura della richiesta dell’accusa, che si fermava a sette anni e 11 mesi di carcere.
Secondo l’accusa, Lucano avrebbe organizzato nel tempo matrimoni di comodo tra cittadini italiani e stranieri per aggirare la normativa sulla cittadinanza, avrebbe affidato i servizi di raccolta rifiuti a due cooperative del paese senza passare dall’apposito bando obbligatorio, e avrebbe firmato delibere non conformi agli standard di abitabilità nonostante l’ex sindaco avesse firmato per la loro idoneità, in quello che sarebbe reato di truffa.
La Corte d’Appello, dopo 7 ore di camera di Consiglio, ha fatto cadere tutte le accuse più gravi, assolvendo anche tutti gli altri 17 imputati per analoghi reati. L’unico capo d’accusa rimasto in piedi, per quanto riguarda Lucano, è la determina n. 57 del 2017, relativa al contributo della Prefettura di Reggio Calabria per l’attività di accoglienza cittadini immigrati richiedenti o titolari di protezione: nella determina, propedeutica all’erogazione dei finanziamenti relativi al rimborso dei costi di gestione dei progetti Cas e Sprar, Lucano “attestava falsamente di aver effettuato i controlli sui rendiconti di spesa, certificandoli ed asseverandoli”.
www.rainews.it è stato pubblicato il 2023-10-11 20:35:00 da
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