COGESA: PRIMA GRANA IN MAGGIORANZA A SULMONA. PER CORTE CONTI MEGLIO GARA, DUBBI SU “IN HOUSE” | Notizie di cronaca


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SULMONA – Una spada di Damocle pende sopra la maggioranza di centrodestra a Sulmona di Luca Tirabassi, di Fdi, che ha appena stravinto le elezioni, ma dove già emergono spaccature: il destino del Cogesa, la società consortile del ciclo dei rifiuti, oberata dai debiti, in concordato preventivo, di cui sono soci 67 comuni della Valle peligna, Alto Sangro e dell’Aquilano, che gestisce la discarica Noce Mattei nella città peligna.

E ancor più rappresenta una ipoteca la delibera di febbraio della Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, presieduta dal magistrato Ugo Montella, che conferma il quadro drammatico, parlando dell’aggravarsi degli “elementi di criticità nella gestione della società, per quanto attiene al rispetto della disciplina di finanza pubblica e di trasparenza”, che possono “mettere a rischio, in chiave prospettica, la fornitura del servizio di raccolta dei rifiuti”.

Puntando il dito, in particolare, sul mancato controllo da parte comuni soci, ammonendo che potrebbero esserci profili di danno erariale. Indicando di fatto la strada di una gara pubblica, e “che vinca il migliore”, anche un privato, per l’affidamento del servizio rifiuti, piuttosto che confermare l’affidamento in house al Cogesa.

Il problema è però che su questo tema, sulla scelta della gara, oppure del preservare l’assetto in house, con un miracoloso risanamento, non è affatto detto che il centrodestra possa mantenere la compattezza. La convenzione con il Cogesa, affidata in house nel 2014 è poi ormai scaduta e si è in proroga tecnica.

Secondo la Corte dei Conti, non si può affidare in house un servizio se non vi è convenienza: se la società pubblica svolge un servizio ad un prezzo più alto del mercato, l’affidamento in house non è insomma perseguibile. Ma non solo: la Corte dei conti dice pure che non è percorribile la strada della ricapitalizzazione, da parte dei Comuni soci, più volte evocata, anche dall’amministratore unico Nicola Sposetti, in carica dal gennaio 2024.

Ma senza ricapitalizzazione il Cogesa difficilmente potrà rispettare il piano di rientro omologato dal Tribunale di Sulmona in sede di concordato. Tant’è che la delibera della Corte dei Conti è stata inviata anche alla Sezione Fallimentare del Tribunale di Sulmona, affinché verifichi sul rispetto del piano di rientro dei debiti.

Per ora tutto è tenuto sotto silenzio, ma si vocifera già di divergenze tra Fdi e Fi da una parte, che hanno sette consiglieri, e Noi moderati e la civica  Sulmona al centro, che ne hanno cinque e che fanno riferimento rispettivamente a Marianna Scoccia, vicepresidente del Consiglio regionale e sindaco di Prezza e al marito Andrea Gerosolimo, ex assessore regionale. E ci sarebbero punti di vista divergenti, tra chi vorrebbe mantenere la natura pubblica e il controllo della politica sul consorzio, nel senso nobile ma c’è chi insinua anche meno nobile dell’accezione, e chi vorrebbe in una ottica liberista, rottamarlo, considerandolo non risanabile.

Intanto tra i primi atti della consiliatura Tirabassi c’è stato l’aumento della Tari, del 5%, contestata dalle opposizioni, ma giustificato dalla maggioranza come atto già deciso dal centrosinistra di Gianfranco Di Piero, prima della rovinosa caduta a dicembre 2024.

E ha detto in quella sede a proposito del Cogesa, il sindaco Tirabassi, che tra le deleghe ha tenuto quella delle partecipate: “La decisione sulla gestione dei rifiuti è molto delicata, ci determineremo nelle prossime settimane su quale percorso seguire, ovvero se con una gara ad evidenza pubblica che sembra la più lineare e che consentirebbe di ridurre la tariffa, ma che mette a rischio la tenuta occupazionale, oppure l’affidamento in house a Cogesa che però deve tener conto delle indicazioni della Corte dei Conti”.

 

A maggior ragione occorre dunque andare a vedere cosa ha scritto la Corte dei Conti nella delibera di febbraio.

In attacco si ribadisce innanzitutto che sono rimaste tal quali, ed anzi si sono aggravate le criticità già evidenziate della deliberazione del 2023, “sia per quanto attiene alla gestione finanziaria della società che al gravemente insufficiente esercizio dei propri poteri/doveri da parte dei comuni-soci nei confronti della propria società in house, con ripercussioni potenziali sugli equilibri finanziari dei comuni stessi, nonché nella possibile compromissione nell’erogazione di un servizio essenziale per la collettività, come quello relativo alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti”.

Punto fondamentale è dunque la “mancanza di effettivo controllo analogo” da parte dei comuni soci che in una società partecipata in house sono tenuti a vigilare per assicurare la trasparenza e il rispetto delle regole, l’orientamento strategico e politico delle imprese partecipate, nonché di tutte le iniziative economiche.

Ad essere fatto salvo in un passaggio è solo il Comune di Sulmona, che detiene la maggioranza relativa delle quote, e che con l’ex sindaco ha in effetti promosso la razionalizzazione dei costi e  azioni per “rendere effettivo il controllo analogo”. Tanto che nella ex maggioranza c’è chi sostiene che “casualmente” Di Piero “è stato fatto cadere proprio perché voleva risanare il Cogesa”.

Su iniziativa in primis del Comune di Sulmona, a gennaio 2023 era arrivato come amministratore unico del Cogesa Franco Gerardini, ex parlamentare ed ex sindaco di Giulianova, con l’obiettivo del risanamento, che passava dal riscuotere in primis 8 milioni i crediti non riscossi dai Comuni anche soci che beneficiavano del servizio rifiuti. Oltre la metà dei comuni soci ha mosso guerra a Gerardini, che ad aprile 2023 si dimesso a seguito di una sentenza del Tar, ed è tornato in sella per un breve periodo  in sella il vecchio cda , guidato da Nicola Guerra, e dai consiglieri Sandro Ciacchi e Valentina Di Benedetto, fino all’avvento di Sposetti.

Ricorda dunque la Corte dei Conti: in base alle normative vigenti i comuni che non esercitano in  il controllo analogo, possono incorrere nel danno erariale, essere ritenuti corresponsabili della bancarotta dell’ente e dei debiti da onorare, chiamati a rispondere sia nei confronti dei creditori, il che sarebbe un bagno di sangue.

“i Comuni soci di una società in house, ove non improntino l’esercizio della propria attività al criterio dell’operatore privato-razionale – nel rispetto dei parametri della corretta gestione societaria ed imprenditoriale – nell’attività di direzione e coordinamento della società”, si legge nella delibera.

La Corte dei Conti, non a caso ha dunque trasmesso la delibera anche al  Commissario giudiziale Andrea Mantini,  nominato nel 2023 dal Tribunale di Sulmona  , per seguire il piano di ristrutturazione della società partecipata, e anche al Giudice delegato del Tribunale di Sulmona-Sezione Concorsuale, Marta Sarnelli.

La Corte dei conti sbarra poi la strada all’ipotesi di aumenti di capitale dunque deponendo a sfavore dell’ipotesi paventata dall’amministratore unico di un aumento di capitale da parte dei soci.

Questo il passaggio dirimente della Corte dei Conti: “In ordine al prospettato aumento di capitale si evidenzia, per quanto riguarda i Comuni soci, che lo stesso, oltre a presupporre un’adeguate disponibilità di risorse finanziarie, è subordinato al pieno rispetto dei principi fissati dal Tusp, che costituisce disciplina speciale rispetto a quella contenuta nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Ccii) con la conseguenza che dovrà essere assicurato, in primo luogo, il rispetto del divieto di soccorso finanziario”.

La norma, insomma, in esame sancisce il “divieto del soccorso finanziario” da parte di un ente pubblico rispetto ai suoi organismi partecipati e impone l’abbandono della logica del “salvataggio a tutti i costi”. Una prassi che “da un lato finisce per impattare negativamente sui bilanci pubblici compromettendone la sana gestione finanziaria”, dall’altro “si contrappone alle disposizioni dei trattati europei, che vietano che soggetti che operano nel mercato comune beneficino di diritti speciali o esclusivi, o comunque di privilegi in grado di alterare la concorrenza nel mercato, in un’ottica macroeconomica”.

Come già riferito da Abruzzoweb, la Corte dei Conti nella delibera di febbraio, evidenzia che a  decorrere dall’esercizio 2022 il patrimonio netto della società presenta un valore fortemente negativo, peraltro in notevole peggioramento nell’esercizio 2023”, scrivono i giudici contabili, essendo passato da -1.417.297 euro a – 2.806.173 euro, con i debiti che 2023 i debiti ammontavano a 13.487.397 euro e i crediti a 10.501.629 euro.

La Corte dei conti osserva poi che a pesare sugli equilibri finanziari è la spesa per il personale e nonostante il forte debito, dal gennaio 2022 al 31 ottobre 2024 sono state effettuate 167 assunzioni, di cui 21 a tempo indeterminato, e 146 a tempo determinato. Ma non solo, si è registrato un “incremento esponenziale delle assenze per malattia” che da 3.961 ore da luglio-settembre 2023 è passato a 6.987,65 ore tra luglio-settembre 2024 con un’incidenza  che cresce dal 18,7% al 29,1%.

Inoltre, sono state ben  7.712 le ore di straordinario che la società ha dovuto pagare ai propri dipendenti nel corso del 2023, contro le 5.145 ore del 2024. Il costo del personale è passato dunque dai 7.106.958 euro del 2021, al 7.545.416 euro, in costante crescita e che pesa del 43,14% sul fatturato. Si evidenzia poi un “numero assolutamente rilevante di contenziosi con il personale, che comportano non solo una grave compromissione del clima aziendale ma anche un consistente rischio di soccombenza”, con il rischio insomma di peggiorare ancora di più i conti.

Per non parlare degli incarichi: “la stragrande maggioranza è stata conferita con affidamento diretto senza alcuna procedura comparativa”: nel 2022 39 incarichi per 333.088 euro, nel 2023 23 incarichi per 573.018 euro, nel 2024 14 incarichi per 82.878 euro. E non risultano “rappresentati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche a fondamento del conferimento diretto, né tantomeno indicata la circostanza, fra quelle previste dal regolamento, al cui verificarsi la normativa consente il ricorso all’affidamento diretto”.

Queste dunque le impietose conclusioni: la Corte  dei Conti “accerta persistente mancato esercizio di un effettivo controllo analogo da parte dei comuni soci; permanenza di elementi di criticità nella gestione della società, per quanto attiene al rispetto della disciplina di finanza pubblica e di trasparenza di riferimento; emergere di fattori che possono mettere a rischio, in chiave prospettica, la fornitura del servizio di raccolta dei rifiuti; mancata valutazione da parte dei comuni soci della compatibilità della procedura di risanamento in corso con i principi di ordine pubblico economico recati dal TUSP; persistente sussistenza di una grave incertezza nella definizione dei rapporti finanziari di debito-credito tra società e soci incompatibile con il controllo analogo,  stante peraltro il contenzioso in essere/in fase di avvio, con conseguenti profili di
possibile responsabilità erariale”.

 

 

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