De Rosa a cuore aperto: «Bari resta la mia vita»


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BARI – Gigi De Rosa, classe ‘62, nato a Bari ma trapiantato a Cosenza, si ritrova a sbandierare un drappello cucito coi colori della città di appartenenza e di quella di adozione. Da una parte il biancorosso dei pugliesi. Dall’altro, il rossoblù dei calabresi. Morsa tra galletti e lupi difficile da districare. Come il bandolo di una matassa fatto di emozioni contrastanti e mille aspettative da raccontare.

Cresciuto nelle giovanili del Bari, porta in dote una Coppa Italia Primavera battendo il Milan da capitano di una nidiata di ragazzini terribili. Dopo tre anni tra i baby, nel campionato ‘81/’82 viene promosso in prima squadra dal compianto Enrico Catuzzi componendo quello che passerà alla storia come «il Bari dei baresi» e formando una coppia stellare da ala sinistra e trequartista in tandem con Maurizio Iorio. Epopea che durerà per altri due anni, alla corte del nuovo mister biancorosso «Maciste» Bruno Bolchi. Aperta la parentesi a Pescara, salpa in maniera definitiva a Cosenza centrando una promozione in B attesa da 24 anni e sfiorando la A nella stagione seguente con Bruno Giorgi in panca. Una carriera da calciatore scritta sino alla fine degli anni ‘90, prima di iniziare la lunga trafila da allenatore arrivando all’attuale panchina delle giovanili e dell’Under 17 del Rende. Occupazione coniugata con quella di docente ai corsi di aggiornamento per gli allenatori dei dilettanti.

De Rosa, sia da calciatore che da allenatore, ha avuto a che fare con grandi tecnici. A Bari con Catuzzi e Bolchi. A Cosenza con Di Marzio, Reja, Zaccheroni. E ancora Bortolo Mutti di cui è stato anche vice per due stagioni a Cosenza, De Biasi, Franco Scoglio. Da chi ha imparato di più?

«Resto sempre sulla scia di Catuzzi. Enrico era avanti di trent’anni, una mosca bianca per gli anni ‘80. All’epoca era impensabile giocare con zona totale, pressing totale e restringimento degli spazi. Poi, da ognuno ho preso e imparato qualcosa. Ma l’input iniziale mi ha aiutato tantissimo. Gli altri giocavano invece in maniera tradizionale con marcatore, fluidificante e ala tornante. Il calcio di oggi punta tutto sull’intensità, sulla fase di non possesso e sulla velocità. Disponiamo di mezzi di monitoraggio all’avanguardia. C’è poco da inventare, e se non lo fai perdi».

Da allenatore ha navigato per lo più in Calabria, a Cosenza, Crotone e Castrovillari. Ma non sono mancate le esperienze pugliesi di Monopoli e Francavilla. Quanto le manca il calcio della sua terra natale?

«Mi manca tanto e voglio morire a Bari».

Il suo mondo del calcio è diviso tra Bari e Cosenza. Sabato ci sarà il faccia a faccia in campionato. Come si fa la pace nel cuore?

«Non ho alternative. Tifo per entrambe, due squadre in salute. Il Bari è in netta ripresa. Tolta la penalizzazione, il Cosenza avrebbe gli stessi otto punti dei biancorossi. Anche se mi sbilanciassi, il pronostico lascerebbe il tempo che trova. A Bari ho trascorso tanti anni, dal settore giovanile ai tre anni in prima squadra. Nel Cosenza ho lavorato per oltre 14 anni. Sono legato a tutte e due le realtà. Come i quattro indimenticabili anni a Pescara».

Ha visto giocare Bari e Cosenza. Che idea si è fatto?

«Del Bari ho visto solo degli highlights e sono due anni che non vedo una gara al San Nicola. Mentre il Cosenza, l’ho visto già due volte allo stadio. Quella di Alvini è una squadra viva, regge benissimo la pressione uno contro uno e la fase difensiva anche sui trenta metri. Gruppo molto reattivo e dinamico nel pressing. Anche Longo sta facendo un ottimo lavoro. Qualche giocatore lo conosco. Come Maita, anche se l’anno scorso ha avuto una flessione. A parte il gol di Frosinone, è un giocatore di garanzia per la B. Sulla carta la squadra è buona e credo sia tra le favorite per arrivare in alto».

Moreno Longo e Massimiliano Alvini, due allenatori per la stessa identità tattica del 3-4-1-2. Si annulleranno sul campo?

«Tutto è possibile ma i moduli sono relativi. La differenza la fanno i compiti eseguiti e la qualità dei singoli. Sia in fase offensiva, che in quella difensiva».

Cosa ricorda del periodo barese?

«Ho in mente tutti i calciatori della prima squadra allenata da Catuzzi. Noi ragazzini guardavamo a giocatori veri come Frappampina, Iorio, Bagnato, Acerbis. Erano punti di riferimento per noi giovani di marciapiede. Io sono nato a Bari città e poi sono stato alcuni anni al San Paolo con Emanuele Del Zotti. Non vedo l’ora di tornare a casa. Succederà appena gli impegni me lo consentiranno».




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www.lagazzettadelmezzogiorno.it è stato pubblicato il 2024-09-27 11:29:58 da

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