Sono passate ormai settimane dall’efferato delitto che ha colpito la giovane universitaria per mano del suo ex fidanzato e forse è diventato possibile affrontare questo tema spinoso del femminicidio in maniera più fredda e distaccata nonostante che, come sempre, pesanti strascichi, anche sgradevoli, Proseguono a serpeggiare nella comunicazione.
In realtà, tutte le volte in cui si verificano delitti che deflagrano nella cronaca, poi si vengono a creare delle figure per certi versi tragiche, se non addirittura mostruose, rappresentate dai parenti dei protagonisti che difficilmente riescono, loro per primi, ad affrancarsi dall’evento orribile che li ha colpiti, anche perché a volte non riescono a rinunciare alla notorietà che ne è conseguita.
Diventano, quindi, automaticamente dei simboli o personificazioni di battaglie sociali senza aver maturato nel loro rispettivo vissuto alcun merito o competenza se non quello di aver subito quel lutto. Di conseguenza, non solo del problema non ne hanno chiari i contorni più di chiunque altro, ma rimangono invischiati e poi triturati dall’informazione stessa e soprattutto sui social. Parallelamente, anche la politica si appropria del tema tentando di tirare acqua al proprio mulino ideologico, spesso persino arruolando fra le sue fila costoro e senza raggiungere peraltro risultati degni di nota in ambito elettorale.
D’altro canto, queste “appropriazioni culturali” si verificano in quasi tutte le formazioni politiche, ma in alcune gli effetti deleteri sono più evidenti e cioè in quelle che vivono da tempo delle enormi crisi di identità e decidono in tal modo di superarle provando a costruirsene una in laboratorio.
Se non fosse che non è attraverso il singolo evento delittuoso, per quanto clamoroso, che si sia in grado di fornire all’elettorato una visione di società credibile e definita e tantomeno di famiglia. Nell’ipotesi di specie, il grave fatto di sangue consistente in un terribile femminicidio viene moralmente attribuito dalla sinistra italiana nel suo complesso, al fenomeno del patriarcato il quale sarebbe a suo dire, l’essenza della visione ideologica familiare della destra e che quest’ultima appunto
denomina come famiglia tradizionale e che sarebbe l’origine di ogni nefandezza.
La tesi è per certi versi suggestiva ma pecca probabilmente di superficialità, tant’è che non ha fatto presa per un instante nella maggior parte dell’opinione pubblica, evidentemente perché ne ha perfettamente decodificato il contesto anche inconsapevolmente. Il patriarcato, esattamente come il matriarcato, è una figura familiare armai lontana nel tempo e totalmente superata dalla modernità, poiché troppo legata ad una organizzazione del lavoro che ormai non esiste più. Persino la nostra carta costituzionale sancisce la perfetta parità fra uomo e donna, anche e soprattutto in ambito familiare, e di questo la destra italiana, anche la più retrograda ne è perfettamente consapevole. Se essa non riesce o non vuole superare sbagliando, il concetto di famiglia tradizionale al fine di riconoscere la possibilità di un matrimonio omosessuale, in realtà al solo scopo di contrastare la sinistra, non è identificandola con il patriarcato che si supera l’ostacolo.
Tantomeno fornendo una idea alternativa di famiglia altrettanto confusa e priva di fondamento scientifico. Il binomio esclusivo uomo donna, il quale sarebbe l’essenza della cosiddetta famiglia tradizionale, non ha fondamento scientifico e logico come non lo ha moltiplicare a casaccio i generi come fa allo stesso modo la sinistra con la sigla LGBTQ+.
Se proprio si desiderasse costruire un nuovo modello familiare più rispondente a quello che si verifica nel concreto, che tra l’altro è da tempo distante dalla famiglia tradizionale, si potrebbe partire dalla scienza e ricordare che uomo o donna sono figure piuttosto complesse per rinchiuderle in una rappresentazione rigida e statica.
Quindi, si potrebbe ricordare che la stessa costituzione stabilisce che essi sono perfettamente uguali e dovrebbero poter scegliere il partner familiare che più gli aggrada, posto che ciascuno può vantare gli stessi diritti dell’altro.
Detta in parole semplici, se un uomo ha il diritto di contrarre matrimonio con una donna, deve poterlo fare anche una donna se costituzionalmente ha i suoi stessi diritti e viceversa. Questo potrebbe anche apparire un approccio bizantino, ma la sostanza è che lo stato e la collettività non hanno titoli, né morali e né scientifici, per attribuire a nessuno patenti di genere, come non né hanno a proposito della razza, della fede o delle opinioni politiche come recita l’articolo 3. Per cui tecnicamente la differenziazione dovrebbe risultare giuridicamente irrilevante come lo è ad esempio essere di razza bianca o nera. Quindi, imporre per legge un matrimonio fa appartenenti a sessi diversi, sarebbe come imporlo ad appartenenti alla stessa razza o a razze diverse per principio.
Ammesso che definire adeguatamente una razza sia possibile come non lo è definire un genere. Tornando al tema di fondo, il reato che ha scosso l’opinione pubblica, solo marginalmente attiene alla questione del patriarcato, ma viene quindi strumentalmente additato per tentare di giustificare una visione di famiglia diversa e confusa. Viceversa, una questione sociale ben più grave e pervasiva, e che peraltro permea davvero la destra italiana meriterebbe maggiore attenzione.
L’esasperato individualismo, che non tollera incertezze e sconfitte, che vede nel senso della vita la scalata sociale, il denaro e le aspettative della famiglia e del gruppo sociale di riferimento, queste sono le vere cause, non solo del reato a cui si è assistito, ma anche del degrado della famiglia e della società nel suo complesso.
Quanti ragazzi italiani non reggono all’ignominia di un fallimento scolastico o universitario, di un abbandono, di una inadeguatezza, di una disabilità, di un regresso nella scala sociale e si tolgono la vita? La questione di genere in questi frangenti è inesistente. E quanti genitori si accapigliano sugli spalti degli stadi per fomentare i figli poco più che bambini poiché rappresentano l’unica via di riscatto, naturalmente per loro e non per quest’ultimi?
La stessa idea della destra italiana per cui i poveri sono troppo stupidi per essere ricchi, è l’esatta e malsana rappresentazione di questa funesta ideologia, in cui la competizione continua ed esasperata, la sopraffazione, la rivalsa morale e civile, l’intolleranza altrui sono un mantra, e la debolezza, l’inferiorità o la sconfitta non sono contemplate, quando in realtà le uniche battaglie che meritano davvero di essere combattute sono solo quelle che portano appunto a sicura sconfitta.
Cosa c’è di più rispettabile, meritevole, educativo di una sonora sconfitta, soprattutto se immeritata? Una vittoria non ti renderà migliore di un millimetro rispetto a quello che già sei, ma una disfatta ti costringerà a prendere coscienza dei tuoi limiti e delle tue debolezze e ti permetterà solo essa un avanzamento seppure minimo.
Ovviamente per coloro che sono di diverso avviso, raggiungere il risultato è l’unica via di salvezza, tant’è che se si stenta si può persino ricorrere a qualsiasi artificio, anche il più deplorevole e se comunque esso si allontana definitivamente si fa saltare il banco con un gesto estremo. Su questo la destra andrebbe incalzata, ma per la verità anche la sinistra subisce spesso la stessa tentazione, quando contrasta l’avversario definendolo un nemico da abbattere con qualsiasi mezzo.
Se, infatti, il patriarcato è una rigida struttura familiare che, pur assolutamente superata, difficilmente avrebbe giustificato questa tipologia di delitto, che senso ha costruire consapevolmente su questo un caso politico? Soprattutto quando diversamente accade nell’ambito islamico per motivi di carattere religioso e che la civiltà occidentale non conosce. Additare a causa dei femminicidi il dilagante patriarcato, per poi giustificare il relativismo culturale e religioso filoislamico non è che l’ultimo esempio di lucida confusione a cui da anni va incontro la sinistra e che non riesce a superare.
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www.statoquotidiano.it è stato pubblicato il 2023-12-16 11:04:18 da Lorenzo D’Apolito
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