Pietra Ligure/Albenga. Sono due gli ospedali savonesi coinvolti nell’inchiesta della Guardia di Finanza che ha portato alla misura cautelare in carcere nei confronti di tre uomini, gravemente indiziati dei delitti di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture ed autoriciclaggio, oltre al decreto di sequestro preventivo emesso d’urgenza dalla Procura della Repubblica di Modena fino a un importo complessivo di circa quasi 4 milioni di euro.
Il provvedimento giunge all’esito di un’articolata attività investigativa avviata nel corso di un controllo amministrativo nei confronti di una cooperativa sociale con sede a Sassuolo (MO), nella quale sono emersi elementi indiziari sull’esistenza di un sodalizio criminale dedito alla turbativa d’asta negli appalti nel settore sanitario.
Nel mirino degli inquirenti sono finiti l’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure e l’ospedale Santa Maria Misericordia di Albenga. Due le gare di appalto che sarebbero state falsate a danno della stessa Asl 2 e al centro degli accertamenti dei finanzieri, che riguardano la fornitura di personale infermieristico e medico, il servizio di guardia notturna e pediatria, così come la medicina d’urgenza presso il pronto soccorso, per un importo complessivo stimato in 1,5 mln di euro: la stazione appaltante era l’azienda azienda socio sanitaria Liguria 2.
I tre indagati amministravano tre distinte aziende, apparentemente aventi compagini sociali differenti e gestioni separate, ma sostanzialmente collegate e gestite da un unico centro decisionale e di interessi.
Le imprese nella disponibilità degli indagati venivano utilizzate contemporaneamente per partecipare a bandi di gara per la fornitura di personale medico ed infermieristico a strutture ospedaliere ed aziende sanitarie pubbliche di varie regioni italiane (Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Marche, Lazio e Molise), presentando offerte coordinate nei loro contenuti in modo da assicurarsi la vittoria o, quantomeno, aumentarne le relative probabilità, falsando la concorrenza nelle procedure.
Ulteriore aspetto caratterizzante l’attività illecita era rappresentato dalla dissimulazione dell’assenza di una struttura idonea a garantire la corretta e puntuale gestione dei servizi richiesti, in quanto al momento della presentazione dell’offerta tecnica venivano allegate liste di medici (con relativi curricula vitae, titoli e specializzazioni) che, in realtà, non collaboravano con le società ed in taluni casi neppure erano a conoscenza di essere stati inseriti in un appalto specifico.
Nei casi in cui una delle imprese riconducibile agli indagati otteneva l’aggiudicazione per l’effettuazione delle prestazioni sanitarie, gli indagati e la impresa aggiudicataria in molti casi non erano in grado di adempiere compiutamente ed a garantire le prestazioni previste nel contratto, lasciando le strutture sanitarie nelle condizioni di non poter operare oppure impiegando i pochi medici disponibili in più turni lavorativi consecutivi, contrariamente alle disposizioni normative vigenti, o, ancora, inviando medici non in possesso dei requisiti richiesti (specializzazioni), così causando pericolose criticità alle strutture ospedaliere e situazioni di pericolo per i pazienti. Infatti, molti servizi riguardavo turni presso il pronto soccorso, di guardia medica pediatrica o di supporto anestesiologico, per i quali era richiesta un’elevata e specifica qualificazione.
Nell’ambito dell’indagine a livello nazionale, i finanzieri hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo d’urgenza quantificato in quasi 4 milioni di euro, che ricomprende anche 710.000 euro circa riferiti all’ipotesi di autoriciclaggio. Infatti, è stato accertato che queste somme sono state trasferite ad altra società, estranea al contesto degli appalti, ma amministrata di fatto dai medesimi indagati, ed in parte confluite su conti correnti esteri della Repubblica Lituana allo scopo di renderle non rintracciabili.
Sulla base del decreto giudiziale sono state sequestrate disponibilità finanziarie, quote societarie e auto di grossa cilindrata, per un valore, ad oggi, di circa 300 mila euro, beni in parte “schermati” mediante l’intestazione alle persone giuridiche coinvolte, ritenute comunque responsabili per i fatti contestati.
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