I migranti pagavano fino a 6mila euro per un permesso di soggiorno,…

I migranti pagavano fino a 6mila euro per un permesso di soggiorno,…



I migranti pagavano fino a 6mila euro per un permesso di soggiorno,…

Avevano messo in piedi un giro d’affari che fruttava centinaia di migliaia di euro i 12 indagati che, all’alba di lunedì, sono stati colpiti da una serie di misure cautelari emesse dal gip del Tribunale di Rimini nell’ambito di un’inchiesta dei carabinieri che ha permesso di scoprire come decine e decine di migranti venissero taglieggiati per ottenere fittizi permessi di soggiorno con le donne che, invece, erano costrette a prostituirsi. A reggere le fila di quello che il giudice per le indagini preliminari ha definito un trattamento inumano e degradante secondo gli inquirenti era Giuseppe Troiano, 60enne calabrese residente a Bellaria, a carico del quale sarebbero emersi anche contatti con la criminalità organizzata. Dall’inchiesta dei militari dell’Arma sarebbe emerso come l’imprenditore, attraverso una serie di società da lui gestite tra cui un albergo di Pennabilli e amministrate dal cognato 62enne Pietro Briamonte, era in grado di organizzare un sistema ben collaudato per presentare domande di assunzione fittizie dei cittadini extracomunitari per ottenere un permesso di soggiorno.

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Stranieri che arrivavano a pagare fino a 6mila euro per arrivare in Italia e che, una volta in Romagna, venivano “ospitati” in un complesso alberghiero a Bellaria Igea Marina, riconducibile ad una società il cui proprietario e amministratore unico era Briamonte, che secondo gli investigatori però anche in questo caso era solo un prestanome di Troiano. Nelle stanze fatiscenti della struttura ricettiva e non adatte ad accogliere i turisti, venivano stipati gli extracomunitari che pagavano fino a 300 euro mensili e venivano impiegati nelle più svariate attività lavorative. In alcuni casi, sottolinea il Gip, il trattamento riservato ai lavoratori “in evidente stato di bisogno e clandestini, era decisamente inumano e degradante”. Le donne che si rivolgevano al gruppo per ottenere un permesso di soggiorno, invece, in alcuni casi erano costrette a prostituirsi sia con clienti che con alcuni degli organizzatori per pagare il debito contratto al fine di avere il finto impiego che consentiva loro la permanenza in Italia.

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Le altre figure di rilievo dell”organizzazione erano, secondo le indagini, anche un dipendente dell’Inps di Rimini, ora ai domiciliari, che favoriva le pratiche di accesso ai contributi e sussidi statali, un commercialista con studi a Rimini e a Pesaro, (anche lui ai domiciliari), che era a conoscenza delle intestazioni fittizie delle imprese riconducibili a Troiano e presentava le domande fittizie per il rilascio dei nulla osta nell’ambito del decreto flussi 2020. E infine una dipendente di un patronato di Rimini, anche lei finita ai domiciliari, che aiutava a presentare le domande, pur sapendo della falsità dei contratti di lavoro.

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www.riminitoday.it è stato pubblicato il 2024-12-09 17:59:05 da


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