Nel corso degli anni ci siamo occupati spesso del cosiddetto aiuto gonfiato, un tema su cui annualmente fa il punto Concord Europe attraverso i suoi AidWatch report. Si tratta di risorse che pur essendo legittimamente rendicontate come aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) presentano aspetti che le distinguono e le distanziano da una forma di cooperazione corretta, efficace e coerente.
Tra queste la voce di spesa più rilevante in tutti i paesi europei ma in particolare in Italia è quella relativa ai “rifugiati nel paese donatore“. Parliamo di risorse importantissime che i governi nazionali destinano all’accoglienza dei rifugiati nel loro paese, ovvero il primo passo per un percorso di integrazione sociale, culturale e lavorativa. Tuttavia si tratta di stanziamenti che, non uscendo mai dai confini del paese donatore, non hanno nulla a che fare con strumenti dedicati a sostenere lo sviluppo dei paesi più fragili.
Nel suo ultimo rapporto però Concord Europe mette in guardia anche rispetto a un altro elemento che rischia di deviare impropriamente le risorse destinate all’Aps. Ovvero la possibilità che sempre più progetti di cooperazione allo sviluppo non abbiano come primo obiettivo lo sviluppo di paesi terzi, rispondendo invece prioritariamente a interessi del donatore.
L’Unione europea complessivamente intesa ha destinato nel 2023 lo 0,51% del proprio reddito nazionale lordo (Rnl) alla cooperazione. Si tratta di un valore in calo e ancora basso rispetto agli impegni internazionali. Malgrado questo però parliamo di cifre importanti (circa 82,4 miliardi di euro), che possono dare un contributo reale, a patto che siano effettivamente utilizzate per promuovere lo sviluppo sostenibile dei paesi partner.
L’obiettivo primario della cooperazione allo sviluppo
Uno dei criteri per considerare una donazione come parte dell’Aps prevede che i progetti abbiano come obiettivo principale la promozione del benessere e di uno sviluppo economico e sociale sostenibile per i paesi destinatari. Stabilire l’obiettivo primario di un progetto tuttavia rappresenta una valutazione di merito che può essere soggetta a diverse interpretazioni.
Per questo non è possibile effettuare una vera e propria valutazione quantitativa che stabilisca la quota di Aps da considerare gonfiata alla luce di quanto detto. Per ovviare al problema sono state individuate 3 aree in cui la possibilità che i programmi rispondano più a esigenze del donatore che del paese destinatario è più elevata.
La prima è il cosiddetto aiuto legato (parzialmente o totalmente). Si tratta in sostanza di progetti che prevedono dei vincoli per chi riceve le risorse. Tipicamente dei vantaggi commerciali come l’acquisto di beni e servizi dal paese donatore o di tutela dei suoi interessi geopolitici. È importante osservare che tale forma di aiuto è quasi raddoppiata tra il biennio 2019-2020 e il biennio 2021-2022 e le proiezioni lasciano intendere che sia rimasta su questi livelli anche nel 2023.
Una seconda area riguarda progetti per “riformare e migliorare i sistemi di sicurezza” e le “missioni di peacekeeping“. Che si tratti di forme di aiuto bilaterale per migliorare la sicurezza di un paese o di attività di polizia sotto mandato delle Nazioni Unite, questi progetti possono essere importanti per garantire la sicurezza in aree del mondo soggette a conflitti violenti. Non di meno, l’analisi di Concord ha rilevato come in alcuni casi si rischi di oltrepassare il confine tra gli obiettivi di chi riceve l’aiuto e la tutela degli interessi di sicurezza del paese donatore.
Infine rientrano in questa riflessione tutte quelle misure messe in atto per “facilitare forme di migrazione ordinata e regolare“. Come abbiamo discusso in molte altre occasioni, le politiche di esternalizzazione delle frontiere europee presentano diverse criticità e sono molte le ragioni per cui possono essere criticate, in primis per la mancata tutela dei diritti dell’uomo. Al netto di questo però è evidente che molte politiche migratorie rischiano di riguardare più gli interessi europei che non quelli dei paesi che in teoria ci si propone di aiutare.
Le forme tipiche dell’aiuto gonfiato e i loro volumi
Stabilire in che misura i progetti afferenti a queste tre aree possano essere considerati aiuto gonfiato resta al momento difficile. Su altre forme di aiuto gonfiato invece la metodologia proposta da Concord si è consolidata negli anni diventando un fondamentale punto di riferimento nel panorama di settore.
18,96 miliardi di € l’Aps di paesi Ue considerabile come aiuto gonfiato nel 2023 secondo l’ultimo rapporto AidWatch.
D’altronde si tratta di una quota tutt’altro che trascurabile di finanziamenti che, nel 2023 ammontavano a quasi un quarto (23%) di tutto l’aiuto pubblico allo sviluppo dei paesi dell’Unione europea membri del comitato Dac dell’Ocse.
Certo è vero che tra 2022 e 2023 l’aiuto gonfiato è calato del 13,2%. Tuttavia i valori dello sorso anno avevano raggiunto cifre record a causa della crescita del numero di rifugiati provenienti anche dall’Ucraina. Una riduzione di questa entità quindi, per quanto positiva, non è sufficiente a riportare il fenomeno a una dimensione accettabile. Infatti rispetto al 2021 l’aiuto gonfiato è aumentato di oltre il 50%.
GRAFICO
Come anticipato, la voce più rilevante dell’aiuto gonfiato è rappresentata dalle risorse destinate ai “rifugiati nel paese donatore”. Un tema che assume ancora più importanza se affiancato a quello dell’esternalizzazione delle frontiere.
I paesi europei e la spesa per i rifugiati
Questa dinamica inoltre è particolarmente importante per alcuni paesi, tra cui l’Italia. Da molti anni in effetti la spesa italiana per i rifugiati nel paese donatore rappresenta una voce determinante dell’Aps italiano.
1,6 miliardi di € le risorse dell’Aps italiano destinate ai rifugiati nel paese donatore nel 2023.
Come anticipato si tratta di risorse importanti che vanno senza dubbio investite in servizi di accoglienza. Ciò nonostante il fatto che 26,7% dell’Aps italiano non vada realmente a contribuire alla cooperazione allo sviluppo rappresenta un elemento che non può non essere tenuto in considerazione.
Si pensi ad esempio all’obiettivo di sviluppo sostenibile 17.2 delle Nazioni Unite, sostenuto e promosso dalla Campagna 070, secondo il quale il nostro paese dovrebbe raggiungere un rapporto pari allo 0,7% tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo (Rnl). Attualmente l’Italia si trova distante da questo traguardo arrivando ufficialmente allo 0,27%. Tuttavia escludendo dai calcoli le spese per i rifugiati nel paese donatore, il rapporto Aps/Rnl si abbassa addirittura allo 0,20%, in netto calo rispetto all’anno precedente (0,25%).
Certo tra i paesi dell’Unione europea che fanno parte del comitato Ocse Dac alcuni registrano quote di Aps destinate a questa voce anche maggiori dell’Italia, che in questa classifica figura al quinto posto. Nessuno di loro però supera l’Italia in valori assoluti.
In effetti se si guarda al totale delle risorse destinate ai rifugiati nel paese donatore l’Italia viene superata solo dalla Germania. La politica di cooperazione allo sviluppo tedesca tuttavia supera ampiamente l’obiettivo dell’Agenda 2030, arrivando a un rapporto Aps/Rnl pari allo 0,79%. Certo è vero che escludendo la spesa per i rifugiati dal calcolo questo rapporto scenderebbe al di sotto dello 0,70% (0,64%), ma non lo mancherebbe di molto.
Le risorse dell’Aps italiano invece paiono bloccate da anni, con oscillazioni spiegabili più facilmente attraverso l’andamento dei flussi migratori che non come conseguenza di politiche di cooperazione allo sviluppo. Ma se si vuole riportare la politica italiana di cooperazione in linea con gli impegni internazionali assunti dal paese sarà necessario un deciso cambio di rotta e l’investimento su programmi e progetti che forniscano un effettivo contributo ai paesi destinatari.
Come correggere la rotta
Alla luce di quanto rilevato, Concord Europe mette in evidenza alcuni punti che andrebbero valorizzati per ridare alla cooperazione allo sviluppo la centralità che merita.
Da una parte infatti vengono rilanciati gli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030 riguardo all’impegno di destinare almeno lo 0,70% dell’Rnl alla cooperazione allo sviluppo ma anche rispetto alla quota da destinare ai cosiddetti least developed countries (Ldcs) (che dovrebbe essere compresa tra lo 0,15% e lo 0,20% dell’Rnl).
Come abbiamo visto però una parte delle risorse dichiarate come Aps non contribuiscono effettivamente allo sviluppo dei paesi partner. Per questo vengono avanzate anche alcune proposte di merito e una di metodo. Da un lato infatti si chiede che il cosiddetto aiuto gonfiato sia escluso dalle voci di spesa rendicontabili come Aps, che l’aiuto sia rivolto a forme di sviluppo sostenibile, che si concentri sull’uguaglianza, sulla finanza climatica e sulle donazioni più che sui prestiti. Dall’altro invece viene proposto che l’organo Ocse Dac che decide cosa può essere considerato Aps sia reso indipendente dai donatori e che vi partecipino anche i paesi destinatari delle risorse, come si sta discutendo a livello di Nazioni Unite.
Infine la questione che ha caratterizzato maggiormente questa edizione dell’AidWatch report. Ovvero che le decisioni sulle politiche di cooperazione siano guidate dall’interesse dei paesi partner e non diventino piuttosto un modo surrettizio per far avanzare gli interessi degli stati europei.
L’articolo è stato redatto grazie al progetto “Cooperazione: mettiamola in Agenda”, finanziato dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Le opinioni espresse non sono di responsabilità dell’Agenzia.
Foto: Fao Somalia (X)
Leggi tutto l’articolo I reali fini della cooperazione europea
www.openpolis.it è stato pubblicato il 2024-10-31 05:20:00 da michele vannucchi
0 Comments