Il Carnevale sardo conquista Grosseto

Il Carnevale sardo conquista Grosseto


Di Vanna Francesca Bertoncelli

GROSSETO. Si è chiusa giorni fa la mostra fotografica realizzata in via Varese dall’associazione culturale Eventi. Eugenio Benesperi e Giulio Giuggioli con 40 fotografie in bianco e nero hanno rappresentato il carnevale in alcuni paesi della Sardegna. Il loro interesse amatoriale si snoda nel corso di lunghi anni di viaggi e di incoercibile curiosità. Per la natura, quella umana e quella anche no. Tutto nella cornice di un’amicizia di lunga data. La fotografia? Una passione che li unisce.

“Sa limba sarda” cioè il sardo è una lingua. Riconosciuto come una delle minoranze linguistiche decisive dalla legge nazionale 482/1999, è tutelato anche dalla legge regionale 26/1997.

Il carnevale sardo a Lula, Ottana, Mamoiada. Tre paesi in provincia di Nuoro dove la cultura agro-pastorale ha prevalso sull’idea d’industrializzazione. È ritornato prepotente il legame con la natura che, nei secoli dei secoli, ha garantito alla gente di Sardegna la sopravvivenza. Un legame forte con tratti marcati di un’ambivalenza che diviene a volte contraddizione.

Lula un paese di alta collina in Baronia, con un economia agro-pastorale a cui si è affiancato timidamente uno sviluppo industriale soprattutto di tipo estrattivo. Ma il richiamo della terra con i riti e le tradizioni che a questa si accompagnano è forte come lo sono le tradizioni religiose nelle chiese campestri e la cucina conviviale.

Il paese è in una situazione decisamente problematica per la presenza del banditismo dai risvolti di estremismo politico di sinistra ed anarchico, con i sequestri di persona, con le vendette tra famiglie e con l’azione violenta verso le autorità civili e non solo. L’essere in bilico tra passato e futuro di questa comunità ha la sua intensa rappresentazione nel carnevale con i tratti primitivi che attraggono e turbano il visitatore con la forza drammatica delle figure che lo animano.

La manifestazione sacrale affonda le radici nei riti di fecondazione della terra e nei potenti caratteri del culto di Adone la divinità del rinnovarsi della natura e di Dioniso il nume tutelare della vita vegetale che dona agli uomini la vite con il vino e le danze sfrenate che caratterizzano i suoi riti, gli orgia. Il colore nero avvolge tutto il rito.

Il protagonista è la vittima: vestito con pelli nere ha il volto ricoperto di sangue e fuliggine. In testa un fazzoletto femminile ed un copricapo con corna caprine tra le quali è sistemato uno stomaco di capra. Indossa campanacci che nascondono uno stomaco di bue legato alla vita che, ripieno di sangue, viene ripetutamente bucato per bagnare la terra come simbolo della fecondazione dei campi.

Lo seguono uomini vestiti da donna ma con i gambali. Sono le vedove. I massari tengono al laccio la vittima frustandola e percuotendola sino ad ucciderla. Ma rinascerà, come la natura ad ogni primavera.

Il Carnevale sardo conquista Grosseto
Le foto del carnevale sardo di Eugenio Benesperi e Giulio Giuggioli

Il Carnevale a Ottana

Ottana con le sue case basse in pietra si trova in un territorio pianeggiante non lontano dal Tirso che forma più a valle il lago Omodeo. Dagli anni ‘60, per decenni, è stata al centro di un importante progetto di industrializzazione chimica finito, con il tempo, nel nulla. Ma dalle ceneri dell’industria è rinata l’anima dell’identità ottanese con il ritorno alle attività agricole e alla pastorizia alle quali si sono via via affiancati l’artigianato, la cucina, la musica ed i canti della tradizione barbaricina.

Le maschere del carnevale di Ottana che si ritrovano riprodotte, anche nei murales ed in alcune statue lungo le vie del paese sono i buoi, i loro guardiani e, tra le altre, la filatrice. I buoi indossano maschere con le fattezze di bue dalle lunghe corna, pelli di pecora bianche e portano a tracolla una bandoliera di campanacci che arrivano a pesare anche 30 chili.

I guardiani indossando pelli di pecora bianche e sul volto maschere antropomorfe di legno nero dai tratti deformati, spaventosi, cercano al suono di strumenti tradizionali tra i quali un piatto di ottone percosso con una lunga chiave di tenere a bada il bestiame legato con un lungo laccio e minacciandolo con un bastone. È la lotta tra l’animale e l’uomo che lo vuole sottomettere.

Le maschere spontanee, realizzate con lenzuola, abiti vecchi ed altro passano per le strade ballando e cantando. Sono uomini, donne, bambini. La filatrice, unica maschera femminile del carnevale sardo, è interpretata da un uomo. Dal forte valore simbolico vede una vecchia curva che, con in mano il fuso e la ròcca fila la lana. Simboleggia l’imprevedibilità della vita che il fato può spezzare in qualunque momento.

I riti di Mamoiada

Mamoiada è un paese nel cuore della Barbagia a pochi chilometri da Nuoro. Nel centro storico, si affacciano, su stradine che sembrano incastrarsi l’una nell’altra, le case di granito. È qui che il 16 gennaio incomincia il carnevale. Attorno ai fuochi di sant’Antonio abate si svolgono i riti propiziatori propri di una cultura agro-pastorale.

Protagonisti, i pazzi che portano una maschera nera antropomorfa dai tratti marcati lavorata da maestri intagliatori. Sul capo il berretto sardo ed il fazzoletto femminile che avvolge il tutto. Indossano abito in velluto scuro e casacca nera di pelle di pecora sulla quale pesano molti chili di campanacci. Procedono con passo cadenzato, producendo un suono ritmico.

Un rituale antico che si muove tra il mistero e la fascinazione, dove la persona e la maschera diventano una cosa sola. Il movimento ancestrale è ritmato dai portatori di fune. Indossano la maschera bianca, sa berritta nera legata al volto con un fazzoletto colorato, larghi pantaloni e camicia di tela bianchi, il corpetto rosso, piccoli sonagli, scialle scuro riccamente ricamato e la fune con la quale catturare la preda. Sono questi a ritmare il passo


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www.maremmaoggi.net è stato pubblicato il 2025-03-23 18:49:22 da MaremmaOggi


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