Il fiume e il lungo Po sono stati un po’ dimenticati dai piacentini



Il Comune di Piacenza, nei giorni scorsi, ha ultimato un intervento atteso da diverso tempo, la pulizia dell’area di via Nino Bixio, sul lungo  Po. Lo ha fatto a sua spese (169mila euro almeno, forse anche qualcosa di più al termine dei lavori), ma invierà il conto alla società immobiliare proprietaria dell’area (sperando che ovviamente onori l’impegno economico). La stessa per anni ha ignorato le ordinanze di sgombero del luogo, abitato da senzatetto. L’assessore Serena Groppelli, che detiene la delega alla valorizzazione del lungo Po, ha espresso un suo desiderio: restituire quest’area, quella sotto al cavalcaferrovia, ai piacentini. Per l’esponente della Giunta Tarasconi si potrebbe fare qualcosa per coinvolgere i cittadini.

Riemerge, ancora una volta, il nodo irrisolto delle condizioni di “torpore” del legame tra il lungo Po e i piacentini. Un tema sempre d’attualità, che rimane lì da tempo immemore. Il lungo Po non riesce a catalizzare le attenzioni dei 103mila abitanti che vivono in questa città. Ciclicamente le Amministrazioni locali e regionali lanciano la proposta di una rivitalizzazione dell’area golenale piacentina del Grande Fiume. Ambizione – puntualmente riproposta in ogni convegno pubblico – che, alla prova dei fatti, risulta sempre di difficile concretizzazione.

UNA ZONA DIMENTICATA

Il Po è stato un po’ dimenticato dai piacentini. Questi spazi, sottoposti ad un’analisi generale, presentano un grave problema “logistico”. In poco è concentrata una serie di infrastrutture e strutture che pure si accavallano una all’altra. In poche centinaia di metri troviamo: un’autostrada, un ponte stradale, un ponte ferroviario, un cavalcaferrovia, una tangenziale, una centrale elettrica, un impianto idrovoro, alcuni rottamai. Sono stati inseriti, nel corso del ‘900, una serie di “ostacoli” che impediscono alla cittadinanza di accedere, sfruttare e godere di un contesto – quello fluviale – che un tempo era parte centrale della vita piacentina.

Piacenza è una “città fluviale” solo sulla carta, in quanto completamente scollegata dal fiume che la bagna. La maggior parte dei piacentini si accorge del Grande Fiume soltanto quando questo s’ingrossa improvvisamente. Evento raro in questi ultimi anni di cambiamenti climatici, contrassegnati dalla siccità. Da oltre un decennio sono stati comunque diversi i tentativi – da parte delle istituzioni di ogni colore politico – di rianimare il lungo Po.

Anche l’ultima iniziativa “popolare” organizzata da queste parti dal Comune, l’ultimo weekend di settembre, dal nome “A Piacenza c’è il mare in città”, che presentava una serie di eventi culturali, non ha trascinato sul lungo Po i piacentini, che nei momenti liberi, preferiscono, in particolare nella bella stagione, frequentare la campagna, collina e montagna piacentina. Le nostre vallate vincono la concorrenza con il Grande Fiume, abbandonato a sé stesso.

CHI LO FREQUENTA

Se i piacentini hanno dimenticato il Po, qualcun altro invece si è abituato a frequentarlo (oltre alle attività sportive dei circoli “Vittorino da Feltre” e “Nino Bixio” e pochi pescatori). Nei weekend primaverili ed estivi questo ospita un unico spettacolo: le grigliate all’aria aperta. Sono in particolare i cittadini di nazionalità straniera – comunità dell’Est Europa e sudamericane – ad utilizzarlo per allestire barbecue di carne. Risulta facile anche ascoltare alcune melodie etniche provenire dall’area golenale. Purtroppo molti rifiuti, come segnala a più riprese Legambiente, non vengono cestinati a dovere, ma rimangono sul posto per lungo tempo. È però questo l’unico segnale di vitalità dell’area: i neo cittadini di Piacenza scelgono di passare il tempo libero in un luogo completamente accantonato dalla cittadinanza “autoctona”.

I LOCALI SI SONO RITIRATI DA QUI

Negli anni sono state anche archiviate le presenze di locali di somministrazione e intrattenimento sulle sponde del fiume. Ci provò per ultimo il “Boat”, locale che “ballò” per una sola estate, nel 2018. Prima di quello il “Molo 11”, operativo anch’esso in un’unica estate, quella del 2012. Prima ancora la “Taverna delle Fate”, che resistette fino al 2009. Investire in questa zona non porta vantaggio ai privati.

Eppure un tempo le spiagge del Po erano la “riviera” dei piacentini e l’Isolotto Maggi la nostra Rimini low cost. Dalla città, nella prima metà del secolo scorso, nessuno si spostava per bagnarsi nelle limpide acque del Trebbia, oggi preso d’assalto, da piacentini e lombardi, da maggio a settembre. L’isolotto, che si trova a est del punto di confluenza del fiume Trebbia, si era formato agli inizi del ‘900. Fino agli anni ’60 fu un luogo frequentato per la balneazione, con tanto di spiaggia attrezzata con bagni, cabine e chiosco di bevande. Tanti piacentini hanno imparato a nuotare qui.

All’epoca gli affluenti lombardi Lambro, Olona e Seveso non “trasportavano” l’inquinamento che oggi deturpa il fiume a Piacenza. C’è chi pensa che l’acqua, finalmente limpida, possa far tornare i piacentini – giovani e meno giovani – a rivivere maggiormente l’area. D’altronde l’acqua è l’arché, il principio di tutto. Anche di un vero percorso di riqualificazione del Po a Piacenza. Oltre alla rimozione delle baracche di via Nino Bixio, con 98mila euro, il Comune ha intanto affidato ad una società milanese lo studio di fattibilità per la riqualificazione degli spazi aperti del lungofiume e il collegamento ciclopedonale tra il lungo Po e il centro storico. L’intenzione è quella di mettere in sicurezza il tratto che va da via Risorgimento a via Nino Bixio, garantendo più sicurezza sul cavalcavia per pedoni e ciclisti. Sperando che si possa facilitare l’arrivo, il passaggio e la sosta dei cittadini sul lungo fiume. 


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www.ilpiacenza.it è stato pubblicato il 2024-01-28 06:00:00 da


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