“Justice in the Age of AI”, intervento del Sottosegretario Mantovano



L’intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, all’incontro “Justice in the Age of AI” del G7 Venice Justice Group (Roma, Palazzo della Farnesina).

[L’intervento del Sottosegretario Mantovano]

Ringrazio molto il Ministro Nordio e il Presidente Mura per aver organizzato questo importante evento. Saluto, insieme con loro, il Segretario generale Guariglia e tutti i relatori e i partecipanti a questa conferenza. 
Quarant’anni fa il giudice Rosario Livatino, che sarebbe stato ucciso per mano mafiosa, ricordava come «compito del magistrato non deve essere solo quello di rendere concreto nei casi di specie il comando astratto della legge, ma anche di dare alla legge un’anima, tenendo sempre presente che la legge è un mezzo e non un fine».

In queste parole risiedono al tempo stesso il senso e il limite dell’applicabilità al processo, e più in generale alle questioni di giustizia, degli strumenti dell’intelligenza artificiale. 

L’intelligenza artificiale può e deve aiutare il giurista nel rendere giustizia, può sgravarlo da attività ripetitive a bassa complessità, può permettergli di concentrare le energie su aspetti più complessi e delicati. Ma non può sostituirsi al giurista nell’attività – riprendo le parole di Livatino – di «rendere concreto il comando della legge», e di «dare alla legge un’anima»: interpretare le norme, valutare le prove, ricostruire i fatti controversi, sussumere il fatto nel diritto, tutte queste attività devono restare umane.

L’uso dell’intelligenza artificiale nel diritto, dunque, deve mantenere funzione servente e limitata, e lasciare al giurista, in particolare al giudice, la parola conclusiva.

L’intervento umano nelle dinamiche giuridiche è indispensabile anzitutto per ragioni tecniche, in quanto per alcune attività le macchine – allo stato di evoluzione attuale – si mostrano inadatte. È indispensabile ancora più radicalmente per ragioni che potremmo definire ontologiche: il diritto è, e non può non essere, una attività intrinsecamente umana. 

La vocazione alla giuridicità è una delle caratteristiche proprie e distintive dell’uomo. Non è un caso che il linguaggio corrente qualifichi come “disumani” i regimi politici che sostituiscono alla forza del diritto il diritto della forza. Affidare la parte qualificante delle attività giuridiche a meccanismi di intelligenza artificiale, a giuristi robot, determinerebbe un impoverimento antropologico, poiché spoglierebbe l’animo dell’uomo di una delle sue funzioni più alte.

Per giunta, è questa attitudine del diritto a risuonare nelle corde più profonde della natura umana che genera la legittimazione sociale della funzione giurisdizionale. Anche gli errori del diritto e della giurisdizione, che certamente si verificano, sono assimilati dal corpo sociale proprio se e in quanto derivano solo dall’intrinseca fallibilità umana.

Emarginare la dimensione umana dal fenomeno giuridico e, in particolare, dalla funzione giudiziaria attenuerebbe la legittimazione sociale del diritto stesso, con conseguenze di cui non sfugge la gravità. 

Umanesimo e diritto dunque vanno di pari passo. I canoni del post-umanesimo, se applicati al diritto, darebbero vita a una società post-giuridica e nessuno di noi, sono certo, desidera questo, perché dove non regna il diritto, regna la prevaricazione. 

Le potenzialità aperte dall’applicazione alla giustizia degli strumenti di intelligenza artificiale portano, quindi, al centro del dibattito il rapporto fra tecnologia e umanità, fra tecnologia e diritto e, in definitiva, quanto meno nei nostri ordinamenti, fra tecnocrazia e democrazia. 
L’intelligenza artificiale tende a presentare sé stessa come “asettica”, oggettiva, imparziale, infallibile. In ambito giuridico, tende a presentare sé stessa come un definitivo compimento del razionalismo illuminista e dell’ideale di un diritto certo, calcolabile, esatto. 

Sappiamo che non è così. 

L’intelligenza artificiale sconta sempre delle assunzioni di partenza che influenzano la formulazione della regola algoritmica e, conseguentemente, influenzano la decisione. Non sfugge, da questo punto di vista, la differenza di fondo rispetto alle modalità di formazione della decisione giuridica conosciute dai nostri ordinamenti: le competenze e i valori che incidono sul processo di formazione della decisione non sono più quelli di una persona selezionata in considerazione della propria preparazione giuridica, e – auspicabilmente – in considerazione della sua sapienza umana, bensì quelli dei creatori dell’algoritmo. Si potrebbe obiettare che anche il giudice, nelle proprie decisioni, subisce l’influsso dei propri personali convincimenti, che vengono quindi a influenzare l’esito della decisione. E questo è vero, e se ne ha, ahimè, conferma quotidiana. Ciò basta, tuttavia, a sfatare il mito dell’oggettività, dell’imparzialità e dell’infallibilità dell’intelligenza artificiale. Che non risolverebbe i problemi della giustizia: si limiterebbe a modificarne i fattori, spostandoli a un diverso livello. 

Per questo motivo, gli interventi normativi dei singoli Stati e il coordinamento sovranazionale risultano fondamentali per regolamentarne l’uso in ambito giuridico: servono per gestire in modo appropriato la diversa composizione che l’intelligenza artificiale apporta agli elementi essenziali del ragionamento giuridico. 

Regolamentare non significa ovviamente vietare tout court. Come ho detto fin dall’inizio, gli strumenti dell’intelligenza artificiale possono e anzi devono essere introdotti nel sistema della giustizia con funzione servente per il giurista, specialmente per il giudice, negli ambiti che si prestano a forme equilibrate e ragionevoli di automatizzazione: penso ad alcune tipologie di procedimenti sommari, alcune forme di esecuzione forzata, ai conteggi, alle liquidazioni.

Per questi ambiti occorre stabilire regole, codici etici e protocolli tecnici per rendere gli algoritmi e i meccanismi di funzionamento dell’intelligenza artificiale il più possibile trasparenti, e per tradurre in codici informatici le regole dell’ordinamento nel modo più fedele possibile, per rendere – in definitiva – il meccanismo il più conforme possibile ai valori dell’ordinamento giuridico.  

L’Italia ritiene questo obiettivo fondamentale per il futuro dei nostri sistemi giuridici. Per questa ragione il Governo ha di recente varato e consegnato all’esame del Parlamento un disegno di legge che regola l’uso dell’intelligenza artificiale nei settori chiave dei nostri ordinamenti, incluso il sistema giudiziario. Tutto ciò in coordinamento con il regolamento europeo e sicuramente i lavori parlamentari permetteranno di affinare meglio il disegno di legge e di renderlo ancora più coerente con il quadro normativo europeo. Ed è questa la ragione per cui l’Italia, quale presidente di turno del G7, ha proposto di porre l’intelligenza artificiale al centro del dibattito fra i Grandi della Terra e di concentrare, oggi, l’attenzione sul tema della Giustizia nell’era dell’intelligenza artificiale.

Papa Francesco, che il Governo italiano ha invitato a prendere parte ai lavori del G7 dello scorso giugno tra i Capi di Stato o di Governo, pochi giorni fa affermato che «nessun algoritmo potrà sostituire la poesia, l’ironia e l’amore». Come giuristi, possiamo aggiungere che nessun algoritmo potrà sostituire il diritto e la giustizia. Potrà accompagnarne l’amministrazione, non potrà sostituirla. 

A come rendere questo accompagnamento equilibrato, giusto ed efficiente sono dedicati i lavori di questo consesso e per questo importante – direi decisivo – compito, formulo a nome della Presidenza del Consiglio i migliori auguri di ottimo lavoro.


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www.governo.it è stato pubblicato il 2024-11-13 18:01:37 da egrassi


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