La scrittrice palestinese che non sarà premiata

La scrittrice palestinese che non sarà premiata


Adania Shibli, scrittrice, non verrà premiata per un suo romanzo perché palestinese. Un’aberrazione, un’ipocrisia della Fiera del Libro di Francoforte contro chi lotta per la pace. Invece di utilizzare la cultura contro la guerra, la si teme e la si emargina in nome di un pregiudizio che mostra quanto ormai si possa essere stupidi e inopportuni.

Stiamo scivolando verso una società che non ragiona, che non usa più il principio di realtà, ovvero risalire alle cause di un fatto per poterlo giudicare, che non sa più distinguere, che per paura delle ritorsioni politiche o commerciali indotte da quelle politiche, non vuole più avere momenti di confronto e di contrasto, vi rinuncia in partenza, si appiattisce sul pensiero dominante e lo evita. Di nuovo una scrittrice fa paura, di nuovo la cultura viene messa al bando come nella Germania Nazista, quando si bruciavano i libri.

Il caso di Adania Shibli, palestinese e scrittrice

Recentemente Adania Shibli, palestinese, 49 anni autrice di romanzi e saggi, che oggi divide la sua vita tra Berlino e Gerusalemme è stata oggetto di un atto discriminatorio che a me personalmente fa orrore, come altri che si sono visti a causa del razzismo o della guerra in Ucraina. Nel 2001 e nel 2003 ha vinto il premio Qattan Young Writer’s Award-Palestine, mentre in tempi ben più recenti, nel 2021, la Nave di Teseo ha tradotto il suo Un dettaglio minore, romanzo che prende le mosse dalla Nabka, con il quale il suo popolo si riferisce alla cacciata dalle terre in cui abitava, messa in atto nell’estate del 1948, per raccontare la storia vera dello stupro e l’omicidio di una ragazza beduina palestinese.

Adania Shibli il 20 ottobre avrebbe dovuto essere premiata alla 75esima edizione della Frankfurter Buchmesse (o Fiera del libro di Francoforte) con il LiBeraturpreis, un riconoscimento che va ogni anno ad autrici provenienti dall’Africa, dall’Asia, dal Sudamerica e dal Medio Oriente, proprio per il romanzo Un dettaglio minore.

Ma la direzione della fiera ha deciso di annullare l’evento “a causa della guerra avviata da Hamas, a causa della quale milioni di palestinesi e israeliani stanno soffrendo”: Shibli non avrà il suo premio perché un’organizzazione paramilitare di stampo terroristico, di cui non fa parte, ha attaccato un Paese che occupa il suo illegalmente, almeno secondo le risoluzioni Onu. Mi sembra che le due cose dovrebbero al contrario indurre l’organizzazione tedesca ad approfittare del caso e premiare una scrittrice che parla contro l’odio di genere e di religione, che lotta contro il male dei mali, cioè la guerra. Ce ne fossero di queste occasioni!

Il ballo delle versioni non serve a niente, i fatti sono purtroppo evidenti

Come sempre adesso le versioni e le dichiarazioni sul perché e sulle motivazioni si inseguono assieme alle smentite. Non sapremo mai la verità. Ma a noi bastano i fatti che parlano già abbastanza da soli. L’associazione LitProm, che gestisce il premio della Fiera del Libro di Francoforte, aveva dichiarato che la decisione era stata presa di comune accordo con la scrittrice. Ma dopo le proteste dell’Agenzia della Shibli, che dimostrano quanto meno l’assenza di un comune accordo, la versione è cambiata di corsa.

Si temeva che Adania avrebbe potuto approfittare del palco per dire la sua sul conflitto in Palestina o sulla strage compiuta da Hamas, che è una fazione militare della Palestina e non rappresenta certamente tutto quel popolo. Se vuoi unirli trattali male. E se vuoi che tutti palestinesi diventino terroristi di Hamas, bombardali, verrebbe da dire. È quello che intellettuali israeliani rimproverano al governo di destra di Netanyahu. Incredibile che ci sia più rispetto per le opinioni in Israele che da noi e in Germania!

La reazione degli intellettuali è per la libertà di espressione, punto!

Subito è arrivata una lettera aperta di 350 autori, tra i quali il premio Pulitzer Hisham Matar, il romanziere irlandese Colm Tóibín, che sostiene che “la Buchmesse ha la responsabilità di creare spazi in cui gli autori palestinesi possano condividere i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie riflessioni su questi momenti terribili. Non chiudere loro la porta in faccia.” La Sharjah Book Authority, un ente di promozione culturale degli Emirati, e l’Associazione editori turchi hanno fatto sapere che non si recheranno a Francoforte in segno di protesta.

Sembra di rivivere quei momenti in cui trasalimmo per la decisione dell’Università di Milano Bicocca di cancellare un corso dello scrittore e russologo Paolo Nori su Fëdor Dostoevskij per “evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna, in un momento di forte tensione”. Una decisione ridicola. Come si fa ad essere così … mi vengono solo parole offensive, tralascio. Mettete voi la parola che volete. Poi l’Università ha fatto marcia indietro e si è rimangiata una decisione tanto assurda.

Per colpire un dittatore si emargina un popolo, una cultura che è anche nostra, europea

Cosa abbia a che vedere la cultura russa con una guerra che si combatte per motivi opposti a quelli della cultura, si spiega da sé. Dover intervenire per sostenere che certe decisioni sono esattamente il contrario di ciò che in questi casi si dovrebbe fare fa cadere le braccia. Quello che a me e a molti sembra ovvio lo si deve spiegare? Ugualmente ritengo una stupidaggine, soprattutto in chiave politica e relazionale con il popolo russo, escludere le loro squadre di calcio o di altri sport dalle competizioni internazionali o far competere gli atleti russi sotto una bandiera di comodo, evitando l’inno nelle premiazioni.

Ricordo che grazie allo sport si sono avviati dialoghi con popoli e paesi quando non c’era nessuna altra soluzione all’orizzonte. Inoltre chiudere i rapporti significa isolare un popolo, lasciarlo solo in una situazione di difficile impatto con chi lo controlla con mezzi coercitivi. Ancora una volta vuoi compattare il popolo russo con Putin? Escludili dalle manifestazioni sportive e culturali. Trattali da criminali. La risposta non tarderà a venire.

Patrick Zaki da martire a censurato. Ma non erano gli egiziani quelli illiberali?

Più recentemente Patrick Zaki, lo studente egiziano ingiustamente incarcerato nel suo Paese d’origine per quasi due anni tra il 2020 e il 2021, è diventato troppo divisivo tanto per la prima puntata della nuova edizione di Che tempo che fa di Fabio Fazio sul Canale 9, che per il Festival della Pace di Brescia: entrambi hanno messo in stand-by la sua partecipazione per via delle dichiarazioni filo-palestinesi di Zaki.

Mi pare che certe persone vivano una ubriacatura continua. Una volta si lotta per liberare Zaki poi non si vuole che esprima una sua opinione. Le opinioni sono necessarie per confrontarsi, per capirsi, per incontrarsi. Sul conflitto tra Israele e Palestina si discute da quasi 80 anni e nessuna opinione può essere messa all’indice da chicchessia, mai, in nessun caso. Primo perché non si deve avere paura delle opinioni, secondo perché in questo consiste la nostra civiltà. Chi censura si pone automaticamente fuori da questo contesto.

Non possiamo permetterci di perdere occasioni di incontro e di pace

Fermiamoci un minuto a riflettere, a pensare. Non siamo allo stadio per tifare come ultras di Netanyahu e di Hamas, come tifosi di Zalenski o di Biden e di Putin. Siamo persone dotate di capacità di raziocinio e allora usiamo la ragione. Un premio letterario serve a far conoscere mondi diversi e culture diverse, nei convegni ci si incontra e si scambiano opinioni in pace. Questa è la cultura, serve alla nostra crescita collettiva. Le guerre sono esattamente l’opposto. Nella guerra non c’è scambio, non c’è confronto ma solo morte e distruzione, e lascia dietro uno strascico di odio, sia per quello che fanno i terroristi sia quando intervengono gli eserciti.

Mi sento di poter dire che quando si uccide civili poco mi interessa chi lo fa e come lo fa. Sono più interessato alle ragioni che li hanno portati a quel punto, che spesso è di non ritorno, e per entrambi un fallimento. Non ci possiamo permettere che le occasioni di scambio, incontro e crescita vengano interrotte da quelle dell’odio e della stupidità. La pace si costruisce ora per ora, giorno per giorno e la si fa coi nemici. Quindi finiamola con questi teatrini di ipocrisia e lasciamo che lo sport, la letteratura e ogni arte non venga più macchiata dalla paura del confronto o dalla paura di non piacere al potere del pensiero dominante.

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L’articolo La scrittrice palestinese che non sarà premiata
www.romait.it è stato pubblicato il 2023-10-19 06:36:20 da Carlo Raspollini


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