FOGGIA – L’angelo biondo dal sinistro magico, il numero 11 per eccellenza ora promuove un’academy per insegnare a bambini e ragazzi fra i 7 e i 14 anni a giocare a calcio. Campi estivi itineranti, che a Foggia sbarcheranno fra tre mesi: lezioni a fine giugno e nella prima metà di luglio, organizzate con l’associazione foggiana Gioventù Sportiva. Beppe Signori, decimo marcatore di tutti i tempi della Serie A (188 gol), è tornato nel capoluogo dauno per presentare il suo nuovo progetto. Un tuffo nel passato ma anche l’occasione per un bilancio sul presente e il futuro del calcio italiano. «I bambini hanno una grande capacità di apprendimento. Stare a contatto con loro mi riporta alla purezza del gioco del calcio, io provo a farli crescere nelle tecniche di base e coordinative, cosa che penso sia mancata più di tutte negli ultimi tempi nei nostri vivai», spiega l’ex attaccante di Foggia, Lazio, Sampdoria, Bologna e della Nazionale, 57 anni, partito da Alzano Lombardo e approdato ai «Satanelli», nell’89, dal Piacenza per un miliardo e mezzo di lire. «A 15 anni l’Inter mi scartò, ricominciai dal Leffe e poi la svolta: devo tanto a Zeman che mi ha trasformato in un bomber ma anche a Casillo, Pavone e tutti gli altri protagonisti di quegli anni incredibili».
Quel Foggia spettacolo fa ancora parlare di sé sui media e sui social. Cosa aveva di speciale?
«Zemanlandia resterà per sempre nella storia del calcio, non solo italiano. Negli anni in cui la Serie A era il campionato più difficile e bello del mondo, fummo una novità che fece saltare tutti gli schemi. Difendevamo attaccando, dando spettacolo contro chiunque col 4-3-3, al di là dei risultati. Simpatizzavano per noi anche tanti appassionati di calcio che non erano tifosi del Foggia perché con noi si poteva sognare, eravamo la provinciale che faceva paura alle grandi. Saremmo potuti diventare l’Atalanta di oggi, senza le cessioni dell’estate del ’92 che però furono un bene per la nostra carriera e le casse del Foggia, che ricostruì e riuscì a tenere la squadra in A per altre tre stagioni».
Cosa ricorda con più piacere di quei tempi?
«Gli allenamenti di Zeman erano molto duri ma poi andavamo al doppio delle altre squadre. La sera prima dell’esordio in A, a San Siro contro l’Inter, io e Rambaudi in albergo pensavamo che il giorno dopo saremmo stati marcati da Bergomi e Brehme. Sembravamo dei bambini al luna park. Il mio gol più bello quello in rovesciata all’Atalanta, allo Zaccheria, anche se perdemmo 2-3. Il più importante in B a Monza, nella stagione 89/90: Zeman era a rischio esonero, finì 1-1; forse senza quel gol non sarebbe nata poi Zemanlandia. Voglio un gran bene al boemo, fortunatamente ora sta meglio e gli auguro di rimettersi a pieno il prima possibile».
Come ha ritrovato Foggia e come può il club rossonero tirarsi fuori dal pantano della C?
«La città è cambiata, l’ho trovata migliorata. La nuova isola pedonale mi è piaciuta molto. Per tornare grande, al Foggia servono una programmazione seria, idee chiare, acquisti mirati. Foggia è sprecata in C per l’entusiasmo e la passione che esprime, merita il grande calcio».
Come nacque l’idea di calciare i rigori senza prendere la rincorsa?
«Ne tirai uno, nel modo tradizionale, in un Foggia-Cosenza che finì 5-0 e lo sbagliai in modo goffo. Quando arrivai alla Lazio fui designato rigorista. Una notte stavo vedendo in tv il campionato mondiale di freccette. Da lì l’illuminazione: per tirar bene le freccette non serve la potenza ma la precisione: idem per i rigori. Cominciai a calciarli da fermo e divenni quasi infallibile».
Rimpianti?
«La finale a Usa ’94. Volevo giocarla da attaccante, non da centrocampista e Sacchi mi lasciò in panchina. Errori di gioventù e presunzione. Oggi, potessi tornare indietro, giocherei anche in porta. Ho avuto comunque la fortuna di arrivare ad alti livelli e lasciare il segno. Penso che nel calcio di oggi, fra svarioni continui dei portieri e delle difese e autoreti che non vengono quasi più assegnate, avrei segnato anche di più».
In Puglia il calcio procede fra alti e bassi, imprese e tracolli.
«Il Lecce può giocarsi la terza e storica salvezza di fila in A grazie anche e soprattutto ad un grande intenditore qual è Corvino. Bari ha sfiorato il ritorno in A, quest’anno ha i playoff alla portata. Una piazza come Taranto in Eccellenza è una bestemmia, auguro alla città di tornare presto nel calcio professionistico. La Puglia meriterebbe più squadre in A».
Chi vincerà lo scudetto?
«L’Inter è favorita, perché ha la rosa più competitiva e completa. Ma occhio all’Atalanta, mina vagante, e al Napoli, la squadra che mi ha sorpreso di più in positivo: Conte sta facendo un gran lavoro».
L’Italia ce la farà a qualificarsi per i Mondiali?
«Deve farcela. Un terzo flop di fila non sarebbe ammissibile. Il lavoro di Spalletti sta venendo fuori alla distanza: forse all’inizio ha avuto un approccio più da allenatore, come se fosse ancora alla guida di una squadra di club, ora invece vedo che si è calato nel ruolo di selezionatore».
Quale squadra oggi le piace di più?
«Il Paris Saint Germain. Ma il Real Madrid resta sempre un modello di concretezza, cinismo e mentalità vincente. Nel nostro calcio, come tecnici, stimo molto Italiano e Baroni».
L’inchiesta sul calcioscommesse le ha tolto molto.
«Nel calcio ognuno pensa al suo orticello e c’è molto moralismo, ci vuole poco a passare da idolo a delinquente. Dieci anni che non mi verranno restituiti ma a me interessava dimostrare la mia innocenza ai miei cinque figli. Ci sono riuscito ed è l’unica cosa che conta».
C’è un attaccante, oggi, che somiglia a Signori?
«In parte Yamal, Dybala, il miglior Berardi. Ma adesso nel calcio ci sono pochi mancini e si tende a privilegiare il fisico, i valori atletici, rispetto alla tecnica e all’inventiva. Chissà che non sarà proprio mio figlio Riccardo il mio erede: ha cinque anni, promette bene. Il cognome c’è, se Dio vorrà arriverà magari anche il resto».
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