BARI – La movida resta salata in Puglia. Da Nord a Sud il bar è ancora il rito della socialità per eccellenza, che sia un caffè in piedi al banco o un aperitivo, un’«esperienza» ancora alla portata di tutti. O forse non proprio tutti, dal momento che a Bari, in certe zone, è ormai difficile spendere meno di 15 euro per una pausa con Spritz e cibo vario. Del resto, l’esperienza dell’aperitivo è ormai cambiata, e ormai la maggior parte delle attività propongono il drink a parte.
Per fortuna il capoluogo pugliese, in questo senso, offre diverse possibilità: nelle zone del centro, tra il quartiere murattiano e via Sparano fino ad arrivare sul lungomare e nella città vecchia, non è difficile trovare attività che diversificano gli aperitivi in base alle quantità e quindi al costo, così da allargare il più possibile la platea di clienti (nel centro, del resto, convivono lavoratori, universitari e turisti).
In zona stazione e Ateneo, ad esempio, qualche bar più piccolo offre aperitivi dai tre euro in su. In un locale all’inizio di via Sparano, più grande è il calice dello Spritz, più la formula si allarga, dalle patatine a una proposta che potrebbe tranquillamente sostituire un pranzo, da 4 a 12 euro. Lo stesso succede in un locale in via Roberto Da Bari, alle spalle dell’Università, dove un aperitivo base costa sui 4 euro (birra alla spina più tapas) o 6 euro (con calice di vino).
Ma è sul lungomare e a Bari Vecchia che i prezzi si alzano particolarmente, dove il solo cocktail (senza consumazione) arriva a costare sui 10 euro, mentre arrivano a 28 euro gli aperitivi «premium» (quelli, cioè, rinforzati, la classica apericena). In un locale in piazza del Mercantile, ad esempio, con un tagliere di sei pezzi dei prodotti tipici pugliesi e uno Spritz si resta all’incirca su 10 euro, prezzo ottimo considerando il luogo altamente turistico. Sempre in zona i soli finger food e stuzzichini vari si possono pagare fino a 8 euro, con maggiorazioni per il cibo senza glutine (sui 10 euro), mentre i drink sono a parte, con un totale che si avvicina ai 15 euro. Non esattamente low cost, soprattutto in confronto ad altre città o a ciò che poi viene realmente servito.
La location, si sa, si fa pagare cara, soprattutto se ci si trova sull’antica Muraglia o nelle vicinanze del Petruzzelli, dove le portate di cibo per gli aperitivi costano dagli otto euro in su, bevanda esclusa. A giustificare il prezzo in alcuni di questi luoghi, almeno, c’è la varietà dei prodotti fedeli alla tradizione, un modo per offrire la vera esperienza pugliese ai turisti, ma attenta anche ai desideri di vegani e vegetariani.
E poi le consumazioni a base di pesce (non solo l’aperitivo del crudo di mare al Chriringuito): in via Francesco d’Assisi, ad esempio, è possibile gustare su un balcone un aperitivo a base di pesce con calice di vino, popizze di baccalà e spiedini di totano a 18 euro a persona.
Prezzi più alti si raggiungono anche in via Argiro, dove per aperitivi a base di finger food, formaggi, tranci di pezzi e cocktail si paga anche 20 euro a persona. Cifre pubblicizzate dalle attività stesse anche sui social, ma che non sempre riscontrano l’apprezzamento del pubblico (qualcuno commenta: «Neanche a Milano Marittima costa 20 euro!»).
Io, barese di Milano ho trovato una città senza più un’anima
Il tema di Bari Città turistica è sempre più attuale, tra luci ed ombre, con ancora tanti aspetti da scoprire, capire e magari regolamentare. Una trasformazione alla quale la città non è ancora preparata, a partire da servizi e accoglienza ai tanti stranieri e non che ormai quotidianamente pullulano tra Bari vecchia, Murattiano e lungomare. Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un barese ormai a Milano da 40 anni, tornato nella città natia a Natale, anche per rivedere i parenti. Impressioni, constatazioni e qualche polemica.
La stagione turistica di questo periodo, fine 2023 e inizio 2024, non ha prodotto le polemiche sugli scontrini, sui piattini in più e panini o toast divisi in due, che ha invece riempito le pagine e i social dell’ultima stagione estiva, bene, forse il settore ed i clienti sono più responsabili e attenti alle richieste di questi ultimi, oppure questi ultimi cioè i clienti, si sono per così dire stancati di polemizzare, nella logica di «tanto non cambia nulla».
Invece, io qualcosa da dire misto fra ironia e polemica vorrei raccontarlo. Sono nato a Bari un po’ di anni fa, quartiere San Pasquale, scuole fino alle superiori all’istituto tecnico per geometri oggi Pitagora, a Milano da oltre 40 anni, mio padre salumiere a in via Re David, mi ha in qualche maniera segnato con il profumo del cibo: a quell’epoca non era confezionato come oggi, ma sfuso conservato in cassettiere di legno e si vendeva a peso. Nel quartiere c’era, il forno/panettiere che sfornava pane cotto a legna, ma faceva anche da forno a chi non lo aveva a casa e quindi lo si utilizzava per cuocere le proprie lasagne o la parmigiana. Poi c’era la cantina – oggi forse chiamata enoteca -, dove ci si riforniva, con le proprie bottiglie, di vino sfuso spesso addizionato con la gazzosa (costava meno), non c’era l’acqua minerale, ma c’era l’Idrolitina.
Ricordi sfuocati, lontani ma romantici, si giocava sui bordi dei marciapiedi con i tappi delle bottiglie e si creavano i primi monopattini utilizzando le camere d’aria forate delle biciclette, i ragazzini viaggiavano gratis aggrappandosi al retro dei filobus, si andava accompagnati dal babbo o da qualche zio a n’derre a la lanze, per guardare i «grandi nel rito, attuale ancora oggi, di bere la Peroni e mangiare frutti di mare crudi. A tutto questo ed altro ancora, si aggiungeva, il profumo dei panzerotti e della focaccia tipica di Bari, anche se il profumo che spesso proveniva dalle finestre, era insieme alle cime di rape, piatti che le nonne e le mamme preparavano in casa. Io abitavo in via Nizza, strada in cui c’era il mercato il sabato e credo la domenica, giorno in cui si mangiava carne: per noi era il giorno del pollo arrosto.
Per noi «immigrati» il ricordo e l’emozione di questi ricordi sono il segno di un’amore e della passione per il paese natio. Non credo di dire nulla che gli storici di queste cose non possono che confermare: i pugliesi, e soprattutto i baresi, hanno fatto grande Milano.
Grazie al profumo del cibo della salumeria di mio padre, la mia storia, la mia carriera, a Milano si è concretizzata proprio nel cibo, cominciata col vendere il tonno Rio Mare, poi l’incontro fortuito con mia moglie ad un corso di sommelier. Storia che comincia con un primo Wine Bar a Vimercate in Brianza, proseguendo con la creazione di una osteria famosa in tutta la Lombardia e mi sono anche dedicato all’impegno sindacale del settore. Oggi sono dirigente di Fipe/Confcommercio a Vimercate e Milano, collaboro con il gruppo editoriale Italia a Tavola, la testata del settore più diffusa al livello nazionale.
Dopo tutto questo racconto di parte della mia vita, con particolari della stessa vissuta a Bari fino all’età di 18 anni, dopo oltre 15 anni di assenza fisica nella mia città, ho voluto farmi un regalo e con mia moglie abbiamo voluto trascorrere il Natale a Bari: arrivo nella stessa la vigilia, in un b&b in piazza Aldo Moro, comodissimo dinanzi alla stazione, parenti no, sennò saremo stati obbligati ad un pellegrinaggio fra tutti. Il desiderio era rivedere Bari. Prima impressione: troppa gente in una via Sparano che assomiglia a tante vie di altre città con gli stessi brand ormai ovunque, tradizione forse no. Il giorno di Natale via alla riscoperta della città vecchia, subito Basilica di San Nicola e Cattedrale, poi verso pranzo la ricerca di qualche panzerotto. Ma è Natale, sono quasi tutti chiusi. Ci sediamo in un bar in piazza Mercantile, l’entrata della città vecchia, non senza aver scoperto una pasticceria con i fantastici pasticciotti salentini – hanno aperto anche Milano al Merlata Bloom, bravi -. Al bar seduti con un sole e una vista fantastica, ordiniamo due aperitivi, costo sul listino 7 euro ciascuno, ci vengono serviti in un bicchiere di plastica, chiediamo se hanno delle patatine, ci arrivano, terminiamo e mi accingo a pagare: sette euro per due fa 14 euro, ma lo scontrino è di 18 euro. Chiedo spiegazioni e la signora/barista, con tono abbastanza infastidita, mi redarguisce: «Doveva leggere meglio il menù, c’è scritto che le patatine costano due euro e il servizio, cioè che vi serviamo al tavolo, costa un euro a persona». Guardo con perplessità ed accenno ad una risposta, con un pizzico di ironia, dico: «a Bari siete impazziti, a Milano costerebbe di meno». E tutto poteva finire qui, ma la signora/barista aumenta la sua reazione e mi dice: «Qui è così e se non le piace non venga più a Bari». Non senza uno strascico alle spalle, «questi qui, dice probabilmente rivolgendosi ai turisti, pensano di fare i padroni». Esco piuttosto amareggiato, con il pensiero di dare una piccola lezione di ospitalità alla barista, scoperto, poi, proprietaria del bar.
Certo il sindaco Decaro ha fatto molto per la città, molti degli amici e parenti mi hanno confidato di essere dispiaciuti della non possibilità della ricandidatura, ma certo il mio giudizio, dopo una settimana trascorsa, che nella Bari di oggi, purtroppo è più facile mangiare un hamburger che un panzerotto. Anzi, in corso Cavour, in due bar che esponevano panzerotti e tranci di focaccia ho rinunciato all’acquisto dopo aver notato che gli stessi venivano riscaldati nel microonde. Per non parlare del più famoso piatto patate, riso e cozze. Eccesso di turismo, sicuramente. Nei ristoranti è più facile trovare ostriche francesi che frutti di mare tipici, ed anche i vini pugliesi latitano. Forse al turista è più facile vendere un vino friulano o uno altoatesino, un turismo che come in altre città italiane sta fagocitando le tradizioni e la storia del territorio.
Peccato, ma tornerò a Maggio festa di San Nicola, mia moglie si chiama Nicoletta.
Leggi tutto l’articolo L’aperitivo fa i conti col caro prezzi: ecco quanto costa la movida a Bari
www.lagazzettadelmezzogiorno.it è stato pubblicato il 2024-01-21 11:00:02 da Graziana Capurso
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