MONREALE – Bisogna trovare qualcosa a cui aggrapparsi quando il dolore è uno tsunami che travolge la vita. Ed è questo qualcosa che la gente di Monreale è scesa a cercare in strada per la fiaccolata, riempendo in migliaia ogni centimetro quadrato del basolato in questa Via Crucis di fine aprile.
Il lunghissimo corteo di tanto in tanto si ferma come nelle quattordici stazioni del calvario che condusse Gesù Cristo sul Golgota. Il silenzio è irreale. La gente recita il Padre nostro e l’Ave Maria. La fiumana di persone scandisce i nomi di Salvo, Massimo e Andrea seguiti dalla parole “vive”.
Non è soltanto una fiaccolata per commemorare tre giovani assassinati. La condivisione del dolore è un’esigenza che si nutre della speranza di donare conforto ai parenti di Andrea Miceli, Salvatore Turdo e Massimo Pirozzo, assassinati a colpi di pistola.
“Giustizia per i nostri fratelli”, c’è scritto sul lenzuolo bianco che apre il corteo. Uno striscione mostra le gigantografie dei morti negli istanti di una esistenza felice che non c’è più. Dietro ancora un altro cartello “Siete deboli e piccoli la vostra violenza non serve a costruire ma solo a distruggere”.
Dovevano essere giorni di festa a Monreale che si preparava da mesi in onore del Santissimo Crocifisso. Ed invece le luminarie restano spente.
Dove oggi ci sarebbe stata musica e sorrisi, dolciumi e voglia di divertirsi, si avverte ugualmente fortissimo il senso di comunità. Non era scontato, non lo è in una società che ha smarrito i valori della dignità e del rispetto. Quella stessa società che partorisce e cresce i suoi figli fino ad armarli per sparare ai propri simili.
No, non era per nulla scontato vedere questa immensa folla che abbraccia il dolore degli altri. Forse è questo quel qualcosa a cui ci si deve aggrappare senza distogliere per un solo momento lo sguardo dalle fioriere con i fori dei proiettili. Il male è davanti ai nostri occhi, bisogna vederlo e toccarlo per tenerlo bene a mente e impegnarsi affinché non ci sovrasti.
Proprio come fa una signora che tiene per mano un bambino e con l’altra abbraccia suo figlio più grande: “Poteva esserci lui fra i morti”, dice.
L’arcivescovo di Monreale, Gualtiero Isacchi, in prima fila accanto al sindaco Alberto Arcidiacono, prova a tracciare una strada. “Ci avete indicato un modello diverso, questa sera ci avete insegnato che è possibile camminare, pregare, piangere, sperare e attendere un tempo e un mondo migliori”, dice.
“Sono valori che vanno al di là della giustizia che non può colmare il vuoto”, aggiunge. L’uomo di fede pensa ai morti di Monreale e li paragona al “crocifisso del giovane Cristo, che è stato ucciso ingiustamente ma ha portato salvezza. Allora dobbiamo imparare da lui ad abitare queste croci e attraversare anche la strada nel perdono, la più difficile per l’essere umano. Forse impossibile ma con lui tutto diventa possibile”.
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