“Muhammad era venuto in Italia per lavorare e aiutarci. Aveva lasciato la sua famiglia per trovare un futuro migliore ma dopo due anni nella cooperativa non è stato inserito nel mercato del lavoro”. A piangere la morte del 23enne egiziano, neutralizzato dal luogotenente dei carabinieri Luciano Masini costretto ad usare la pistola d’ordinanza contro lo straniero che aveva appena accoltellato quattro persone la notte di capodanno e che si stava avventando con la lama contro il militare dell’Arma, è il padre del ragazzo Abdullah Abdul Hamid che, appresa la notizia, ha accusato un malore. L’uomo vive nel villaggio di Mashala, situato nel distretto di Al-Santa del Governatorato di Gharbia,
Nel frattempo a Rimini sono arrivati da Roma lo zio e il cugino di Sitta che si sono rivolti all’avvocato Alvaro Rinaldi in quanto, come hanno dichiarato, “Vogliamo riportarlo a casa, dalla sua famiglia. I funerali di Muhammad saranno in Egitto”. Allo stesso tempo i parenti del 23enne chiedono di fare luce sulla vicenda: “Vogliamo capire come sono andate veramente le cose. Perché i carabinieri hanno sparato a Muhammad? Non potevano fermarlo in un altro modo?”. Al momento i punti fermi delle indagini arrivano dai risultati dell’autopsia effettuata sul corpo dell’egiziano dalla quale è emerso come Sitta sia stato raggiunto da 5 dei 12 colpi sparati dal comandante della Stazione carabinieri di Villa Verucchio. L’esame autoptico è stato eseguito eseguita dal medico legale Donatella Fedeli, su disposizione della Procura che indaga per ricostruire quanto accaduto, e alla presenza del consulente di parte Pier Paolo Balli che tutela la posizione del luogotenente Luciano Masini indagato per eccesso colposo di legittima difesa e assistito dall’avvocato Tommaso Borghesi.
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Come accertato fin dai primi momenti successivi alla serie di accoltellamenti conclusisi con l’intervento della pattuglia dell’Arma, la notte di capodanno il sottufficiale dei carabinieri aveva esploso in totale 12 colpi. Di questi, i primi 4 erano rivolti verso l’asfalto e sparati con l’intenzione di intimidire il 23enne in preda di un forte stato di agitazione e due, di rimbalzo, hanno provocato dei lividi sulle gambe di Sitta. Degli altri proiettili, cinque sono andati a segno colpendo l’egiziano alla spalla destra e poi tra il torace e la testa. Nella giornata di sabato gli inquirenti dell’Arma sono tornati sul posto per repertare l’ogiva di un proiettile, individuata la mattina stessa, che si è andata a conficcare nel telaio della porta di un negozio poco distante. Toccherà adesso al perito balistico tracciare il percorso degli spari per capire la sequenza con la quale sono stati esplosi e analizzare anche gli indumenti del nordafricano per stabilire la distanza tra lui e Masini al momento degli ultimi spari e la conseguente ricostruzione dell’azione, la cui prima parte è ripresa dai filmati acquisiti dagli inquirenti.
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Sono ancora in corso le indagini per accertare gli ultimi spostamenti di Muhammad Abdullah Abu Sitta il 31 dicembre quando, nel pomeriggio, era stato notato in stato catatonico da un amico nei pressi della moschea di corso Papa Giovanni XXIII a Rimini. Lo sguardo perso nel vuoto e il fatto che non rispondesse alle sollecitazioni esterne fa pensare che il giovane fosse già in preda a una crisi psicotica e, dopo il ritrovamento di uno psicofarmaco nelle disponibilità del giovane, avvalorerebbe la tesi che abbia agito in preda a un raptus. Una possibilità avanzata anche da Aly Harhash, presidente della comunità egiziana in Italia, che all’indomani dei fatti di capodanno si è messo in contatto con gli amici del 23enne. Secondo quanto emerso, Sitta avrebbe iniziato a dare segni di squilibrio poco prima dell’estate tanto da essere accompagnato all’ospedale dove, come spiega Harhash “Gli avrebbero detto di rivolgersi a degli specialisti ma lui non avrebbe mai seguito quanto indicato dai medici che comunque gli avevano fornito dei farmaci antipsicotici. Nonostante questa situazione, nessuno si è occupato di lui nè controllato se assumesse regolarmente le medicine con la sua situazione mentale che peggiorava di giorno in giorno tanto da convincerlo a voler tornare in Egitto dai suoi famigliari”.
Il 23enne, che sarebbe rimasto senza soldi e senza documenti in seguito a una rapina subìta ai primi di dicembre e sulla quale i carabinieri stanno ancora indagando per verificare quanto accaduto, avrebbe quindi deciso di tornare in Egitto dal momento che non aveva trovato altro che dei lavoretti in nero coi quali non riusciva a sostentare nemmeno se stesso nè, tantomeno, i famigliari rimasti in patria. Tuttavia nella sua mente si sarebbe autoconvinto che senza denaro e documenti l’unico modo per essere rimpatriato era quello di compiere un gesto eclatante in maniera da essere arrestato dalle forze dell’ordine che lo avrebbero poi espulso dall’Italia. Sitta, evidentemente, ignorava che col suo status di protezione internazionale si sarebbe potuto presentare in Questura chiedendo il rimpatrio
www.riminitoday.it è stato pubblicato il 2025-01-05 16:55:02 da
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