Pronto soccorso, lunghi tempi di attesa e ripetuti episodi di aggressione a danno del personale in servizio. Quasi l’80% degli accessi è improprio. Cosa porta a queste situazioni esasperate? “Troppi accessi impropri: il pronto soccorso, per definizione, serve a riconoscere e a gestire le emergenze”. Troppi, quindi, i sintomi per i quali ci si rivolge inopportunamente al PS.
Stanno facendo discutere i recenti episodi di aggressione a danno del personale sanitario, registrati rispettivamente nel pronto soccorso dell’ospedale di Avezzano e in un reparto dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Fatti ingiustificabili, rispetto ai quali si è sollevata la denuncia dei sindacati che chiedono un presidio da parte delle guardie h24, a garanzia della sicurezza del personale sanitario. I problemi relativi alla gestione dei Pronto Soccorso sono ‘cronici’ e vedono gli utenti puntare generalmente il dito contro le lunghe attese necessarie quando ci si reca nei presidi ospedalieri. Guardando i dati, tuttavia, tra le cause alla base della problematica – che riguarda in generale i Pronto soccorso di (quasi) tutta Italia – ci sono gli accessi impropri, cioè tutti quei pazienti che arrivano in pronto soccorso anche quando non sarebbe necessario farlo, generando sovraffollamento.
IlCapoluogo.it ne ha parlato con il dottor Angelo Flavio Mucciconi, primario del Pronto Soccorso dell’ospedale San Salvatore.
Quando non è necessario recarsi in Pronto Soccorso?
“Situazioni usuali come febbre, dolori articolari o episodi quali vomito, mal di pancia e diarrea, non associati ad altre particolari complicanze, non sono da considerarsi urgenze per le quali rivolgersi al Pronto Soccorso. Eppure sono molte le persone che arrivano lamentando anche soltanto uno di questi sintomi. Se un paziente iperteso ha la pressione alta, in assenza di altri specifici sintomi, non c’è necessità di correre in pronto soccorso. Per quanto riguarda i pazienti diabetici, in presenza di uno scompenso che porta a complicanze e a situazioni concomitanti occorre recarsi in pronto soccorso; ma se si registra soltanto il valore della glicemia più alto del previsto, allora, non c’è necessità di accedere in pronto soccorso”, illustra Mucciconi. In sintesi: “Situazioni che non hanno una base traumatica né una sintomatologia importante possono e devono essere gestite dal medico di famiglia“.
In settimane, come queste, in cui si registra il picco di incidenza dell’influenza, ad esempio, bisognerebbe evitare di recarsi in PS solo in presenza di qualche linea di febbre. Il pronto soccorso non è il luogo pensato per curare l’influenza, nemmeno la forma più aggressiva. Inoltre, “non dimentichiamo gli insegnamenti appresi in tempo di Covid19. Essere malati ci rende vettori contagiosi del virus, esponendo altre persone al rischio di contagio. Bisogna essere prudenti anche in tal senso. Non solo, il Covid19 ci ha insegnato ad utilizzare il saturimetro che, soprattutto nei casi di persone anziane, è uno strumento indicativo per capire se c’è necessità di ricorrere ad un intervento ospedaliero”.
Accessi impropri e sovraffollamento
È la stessa legge di definizione del Pronto Soccorso a stabilire e chiarire come si tratti di un luogo deputato a riconoscere e gestire le emergenze.
Gli accessi impropri – insieme ad altri fattori, quali la carenza di personale – contribuiscono in maniera netta al problema del sovraffollamento, con tutte le inevitabili conseguenze del caso. “Tutto ciò che esula dall’attività di emergenza-urgenza costituisce la mole di prestazioni extra che si fanno in Pronto Soccorso – aggiunge Mucciconi -. Attività in più rispetto a quanto la struttura dovrebbe svolgere per mandato strutturale.
Secondo i dati Agenas, una fascia compresa tra il 60-80% degli accessi registrati è costituita da accessi impropri. Mandare via il paziente che arriva lamentando un mal di schiena, in assenza di traumi, potrebbe cambiare le cose, ma da parte del personale viene svolto anche il percorso diagnostico che, spesso, si fa fatica a svolgere ambulatorialmente sul territorio. Accade, quindi, che il Pronto soccorso si faccia carico sia delle emergenze – urgenze di sua competenza, sia di tutta una serie di ulteriori situazioni che possono essere coincidenti con le condizioni di arrivo nel presidio e che, qualora non venissero individuate, potrebbero essere motivo di rischio per la salute del paziente e, in ultimo, di contenziosi per il personale sanitario intervenuto”. Una criticità, questa, che si ricollega anche alla carenza di medici di base in provincia dell’Aquila.
Tempistiche lunghe
In riferimento, invece, alle lunghe attese che si trovano di fronte i pazienti giunti in Pronto soccorso, il primario Mucciconi spiega: “Le tempistiche lunghe ci sono e sono fisiologiche. Si tratta, infatti, del tempo necessario alla gestione interna degli esami e delle prestazioni richieste. Per fare un esempio, se il medico richiede un prelievo del sangue, dovranno passare dalle 2 alle 3 ore per avere il referto. Oppure, se il paziente dal Pronto soccorso viene mandato in uno specifico reparto per una consulenza, può accadere che passino anche diverse ore se, in quel momento, lo specialista è impegnato in sala operatoria. Ciò, naturalmente, se la consulenza richiesta non è a carattere emergenziale. Il tempo che richiedono singoli esami e prestazioni non può essere inferiore alle 2/3 ore. Si consideri, poi, la generale carenza di personale o il fatto che le tecnologie in uso possono spesso essere impegnate per altre prestazioni ospedaliere già programmate. Per tali ragioni, fatta eccezione per le emergenze che seguono uno specifico iter, i tempi del pronto soccorso sono inevitabilmente dilatati”.
www.ilcapoluogo.it è stato pubblicato il 2024-02-14 06:56:54 da Redazione
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