«Questo vuol dire essere una comunità»



«Oggi avete dimostrato fin dal primo minuto che ho messo piede in questo bel paese, che siete una comunità. L’ho visto durante la sfilata, durante la messa, lo vedo in piazza con i ragazzi delle scuole con i loro disegni». Lo ha detto il prefetto Paolo Ponta il 3 novembre in piazza Europa durante la cerimonia solenne che ha restituito al paese di Agazzano il monumento ai Caduti restaurato nell’anno del suo centenario e nell’ambito delle celebrazioni del Quattro Novembre, giornata dedicata alle Forze Armate e all’Unità Nazionale che ha riunito in una piazza piena di Tricolori, autorità civili e militari, e tanti rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma con il presidente Raffaele Campus. La cerimonia, coordinata da Antonio Mantova, presidente della sezione alpini di Agazzano, è stata impreziosita dalla presenza del brigadiere dell’Arma Michele Breda che, tenore, ha cantato l’Inno di Mameli. Con lui anche il Corpo bandistico Carlo Vignola diretto dal maestro Antonio Quero.

Quello che la mattina del 3 novembre ha restituito e dimostrato è il forte senso di comunità che ha riunito gli agazzanesi attorno al loro simbolo che da cent’anni accoglie chi entra in piazza. Ciò è emerso anche nelle parole delle restauratrici che nei mesi scorsi hanno riportato il monumento agli antichi splendori. «Lavorare su opere dedicate ai caduti è sempre emozionante perché a loro le comunità tengono particolarmente e si sente davvero di fare qualcosa che va oltre alla parte tecnica. Lavorare ad Agazzano è stato un unicum: non ci è mai capitato di essere adottate e accolte come è accaduto qui. C’è chi ci ha dato la casa, chi ci ha offerto il pranzo ogni giorno, chi ci lasciava gelati pagati al bar, e chi ci portava l’acqua fresca. Questa è stata la prima volta che una comunità ci ha accolto in questo modo», ha spiegato la restauratrice Maria Facchinetti, con lei la collega Martina Trento.

«Oltre ad avere un valore artistico, – ha detto il prefetto – questo monumento è un’opera che tramanda la memoria di chi ha combattuto, di chi è caduto per la patria. Tramandare la memoria vuol dire tramandare dei valori in cui crediamo e che sono quelli della Costituzione repubblicana che trae fondamento dalla lotta di Liberazione, ho saputo che il generale Ferrante Vincenzo Gonzaga del Vodice è stato uno di quei caduti: si è rifiutato di consegnare le armi ai tedeschi nel 1943 ed è stato fucilato. La Costituzione nasce da quegli eventi e l’Italia può essere orgogliosa e fiera delle proprie tradizioni, delle proprie forze armate e della società civile perché siamo un Paese che ripudia a guerra. Fare memoria serve da monito per il futuro. L’italia può stare orgogliosamente al cospetto delle altre nazioni perché le sue forze armate oggi sono garanzia di pace. Sono passati 80 anni dalla Liberazione e dalla fondazione dell’Onu, qualcosa non ha funzionato ma l’Italia grazie alle forze armate e a comunità sane che sanno trasmettere certi valori, come quella di Agazzano, continuerà a fare la propria parte per coltivare una cultura della pace, pace che parte dal rispetto dell’altro».

«Oggi il mio pensiero va – ha invece detto – il presidente della sezione agazzanese dell’associazione Combattenti e Reduci, Sergio Braghieri – a chi cento anni fa ha pensato al monumento e ha deciso di metterlo al centro della piazza, cuore del nostro paese. Qui ci sono i nomi dei figli di Agazzano partiti e mai più tornati dalla guerra, dovevano per sempre rimanere nel cuore del loro paese. Questo monumento è una promessa fatta cento anni fa e che oggi rinnoviamo». E’ toccato poi all’alpino agazzanese Giacomo Mino Gropalli, raccontarne la storia dopo approfonditi studi. «Cento anni fa tutti i paesi hanno cominciato a ricordare i propri caduti, ma il nostro è un monumento particolare: non è stilizzato ma rappresenta una scena tragica. Un soldato ormai ferito a morte trasfigurato dal dolore e un compagno che lo sorregge e cerca di difendersi. Lo scultore Ugo Rancati, autore dell’opera, chiese per realizzarlo 39mila lire che non furono reperite facilmente. Il giorno dell’inaugurazione, il 10 giugno 1924, fu premiato Guglielmo Guleri mandato in guerra nel 1908 e decorato con la medaglia di bronzo al valore militare. Il suo nome l’ho ritrovato nel Libro d’Oro. Si tratta di un volume redatto per ogni regione italiana e che conta 600mila nomi di caduti e dispersi, tuttavia Guleri non era stato menzionato nel registro dei piacentini decorati ma la sua matricola risulta uguale ad un omonimo di Venezia. La verità non la sapremo mai, ma mi piace sperare che il giorno dell’inaugurazione del monumento sia stato premiato proprio quell’errore». Gli alpini, grazie al lavoro instancabile di Gropalli, profondo conoscitore della storia locale che ha compiuto le ricerche di cui oggi tutti beneficiano, hanno realizzato un volume dedicato al monumento e alla sua storia.


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www.ilpiacenza.it è stato pubblicato il 2024-11-06 20:00:00 da


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