La ragazzina si trova ora in una struttura protetta alle porte di Roma. «Ho tentato il suicidio più volte, mi vergognavo a chiedere soldi fuori dal supermercato frequentato dalle mie insegnanti e dai genitori dei compagni di scuola»
«Io voglio solo andare a scuola». Santina (nome di fantasia) lo ha ripetuto ai poliziotti del commissariato San Basilio che l’hanno accolta a metà ottobre con due persone che avevano preso a cuore la sua storia. A 13 anni la ragazzina bosniaca, che viveva con 12 fratelli (è la quinta di otto maschi e quattro femmine) in una abitazione popolare in una periferia romana, ha denunciato i genitori che la costringevano a chiedere l’elemosina davanti a un supermercato non lontano dalla sua abitazione e dalla scuola che dovrebbe invece frequentare.
Santina aveva i capelli corti, dopo che il padre e la madre, rom di 41 e 36 anni, l’avevano rasata a zero per essersi rifiutata di sposare uno sconosciuto in cambio di soldi. «Me lo dicono da quando ho 11 anni — è il suo racconto —. Gli ho detto che se succede mi butto dal balcone, e loro mi hanno risposto che prima devono incassare e poi posso pure farlo».
Questo il clima casalingo nel quale la giovane viveva insultata e picchiata: calci, pugni, tubi di ferro e cavi elettrici, sul volto e sulla schiena, tutte le volte che non riusciva a incassare almeno 50 euro, implorando i clienti del supermercato. Fra loro insegnanti e i genitori dei compagni di scuola, alcuni dei quali l’hanno aiutata. A abitazione invece, rivela la 13enne, «dormo per terra, al freddo».
Un incubo insomma, per una ragazzina che pare aver ritrovato un po’ di serenità in una struttura d’accoglienza. Il padre è in carcere, la madre ai domiciliari, accusati di riduzione in schiavitù e lesioni gravi. Le indagini non sono ancora concluse: gli investigatori diretti da Isea Ambroselli verificano maltrattamenti anche sui fratelli, come ha raccontato proprio Santina. Bagni punitivi con l’acqua bollente a bambini di 10 e 11 anni o con colpi sferrati con le doghe del letto. La 13enne, che avrebbe più volte tentato il suicidio, veniva sfruttata anche per sbrigare le faccende domestiche: «Una volta ho preso un bastone per pulire per portarlo a mia madre, ma l’ho rotto. Lei pensava che giocassi e mi ha preso a colpito cinque volte. Un’altra volta, a 10 anni, mi ha picchiata in testa perché avevo pulito male la cucina».
Episodi che il gip Monica Ciancio ripercorre nelle misure cautelari, concesse ai pm della Dda, che descrivono anni di «schiaffi, bastonate e mortificazioni verbali» in «una vita di stenti, uno stato di soggezione continuativo senza che potesse far valere il suo disagio nel mendicare in un luogo frequentato dai suoi insegnanti e dai genitori dei suoi compagni di scuola e il suo desiderio di frequentare la scuola». «Mi vergognavo tantissimo», ammette Santina, rimasta in silenzio fino a quando si è confidata proprio con le insegnanti che l’avevano vista con il volto coperto di lividi. Dai genitori però ancora botte «per evitare l’intervento dei servizi sociali e delle forze dell’ordine — scrive ancora il gip —, e mantenerla in uno stato di soggezione per sfruttarne l’accattonaggio», perché hanno «personalità violente e prevaricatrici». Tanto da arrivare a tagliarle i capelli «per renderla meno piacente agli altri ragazzi».
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28 novembre 2022 (modifica il 28 novembre 2022 | 07:40)
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roma.corriere.it è stato pubblicato il 2022-11-28 08:55:26 da Rinaldo Frignani
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