Sette ricordi felici e dolorosi sotto l’albero di Natale

Sette ricordi felici e dolorosi sotto l’albero di Natale



l messaggio didi Elisa Bartalucci

GROSSETO. Quello di Natale, volenti o nolenti, è un periodo che invita a riflettere, a guardarsi dentro, a fare bilanci. Saranno le città illuminate e vestite a festa, sarà l’albero di Natale che decora e scalda le nostre case, sarà la ricerca dei regali per le persone care, saranno le cene con gli amici e i colleghi, sarà il senso di famiglia che sotto il vischio si fa sentire più forte che mai, sarà la mancanza di chi non c’è più che in questi momenti sembra più grande: saranno tutte queste cose insieme ma è proprio in questo periodo dell’anno che i pensieri, quelli belli e quelli brutti, sembrano più intensi.

Se chiudiamo gli occhi e ci pensiamo, sicuramente ognuno di noi, per questo Natale, avrà un ricordo che quando gli torna alla mente gli scalda il cuore e uno che, invece, vorrebbe cancellare.

Noi di MaremmaOggi abbiamo voluto fare un po’ i curiosi e abbiamo chiesto a sette persone, conosciute e amate da tanti, se potevano aprirci i cassetti della loro memoria.

Il primo ad aprirci la porta dei ricordi è il vescovo emerito Rodolfo Cetoloni. Con lui facciamo un salto nel passato di diversi anni e torniamo al Natale del 1988: siamo all’Università di Mosca, nell’Aula Magna della facoltà di Filosofia e Ateismo dove, su invito di Gorbaciov, la delegazione di francescani della Comunità del Sacro Cuore di Arezzo, di cui lui faceva parte, era stata invitata per incontrare i giovani e parlare con loro di pace ed ecologia.

Sette ricordi felici e dolorosi sotto l’albero di Natale
Padre Rodolfo Cetoloni

«Ad un certo punto una ragazzina bionda e minuta – racconta Cetoloni – prende parola e ringrazia i francescani per la loro presenza, ma li incalza chiedendo loro di parlare di Dio: dice che da settant’anni lì è vietato parlare di Lui, che hanno tentato di toglierlo alla fede dei suoi nonni senza successo, che hanno vinto con i loro genitori indottrinandoli fin dalla scuola materna e che adesso stanno provando con la loro generazione, ma che c’è bisogno di parlare di Dio, che loro ne sentono la necessità».

Padre Rodolfo ricorda come le parole di risposta a quella ragazzina così coraggiosa gli uscirono dal cuore, proprio come Gesù suggeriva che sarebbe successo. A quella domanda ne seguirono altre, sulla fede, sulla vita, sulla Chiesa. «Fu splendido partecipare a quel dibattito – dice oggi – ho ancora negli occhi quel visino, quei capelli biondi e quel grido di sete di conoscenza e fede che urlava “ Parlateci di Dio!”». 

Rinchiuso in una stanza per una canzone coraggiosa

24 ore dopo, avvenne l’episodio messo nel cassetto dei ricordi da cancellare. Nella hall dell’albergo dove alloggiavano a Mosca, una chitarra e qualche canto allietavano la serata, quando un giovane cameriere si mise a cantare con loro. Dopo qualche minuto, l’interprete chiese al giovane se conosceva una certa canzone, della quale disse il titolo e che il cameriere cominciò ad intonare: si trattava di una canzone di protesta contro il regime sovietico. «Pochi minuti dopo – prosegue il vescovo Cetoloni –  si presentarono due tipi, scuri in volto, seguiti da un terzo dal viso gelido che, intimando al giovane cameriere di lasciare la chitarra, gli fecero strada in una stanza adiacente alla hall».

La perestrojka a cui Gorbaciov aveva dato vita non aveva fatto cadere del tutto il regime. Preoccupati e intimoriti, la congregazione italiana restò in attesa di notizie fuori da quella porta, inerme e preoccupata, fin quando i tre con il giovane in mezzo uscirono e si diressero dall’altra parte dell’hotel. «Il giovane cameriere mi passò accanto – dice – e con sguardo sereno e incoraggiante mi disse: “non abbiate paura, vi voglio bene”».

I volti di quei tre uomini, forse assetati di odio e violenza, hanno così segnato il buon animo del vescovo emerito che, potendo, li dimenticherebbe volentieri, ricordando, invece, con nostalgia e affetto quel cameriere coraggioso, dai capelli mossi e dai tratti limpidi e sinceri.

Il Natale in famiglia del presidente Limatola

Dopo il vescovo Cetoloni, a regalarci il suo ricordo speciale è il presidente della provincia Francesco Limatola. Il suo pensiero, intimo e profondo, è legato alla sua famiglia di origine. «Mio padre Raffaele e mia mamma Vincenza, con mio fratello, mia sorella e i miei nipoti: questo era il Natale per me», dice.

La Provincia assume: il presidente Limatola e la sede in piazza Dante
La Provincia assume: il presidente Limatola e la sede in piazza Dante

Limatola racconta di giorni quasi sospesi nel tempo e nello spazio, dove si respirava solo affetto e amore, una grande famiglia che, se possibile, diventava ancora più unita nel periodo delle festività. Un tempo sospeso come in una bolla, fatto di amore e serenità, che, quando suo padre Raffaele è venuto a mancare cinque anni fa, si è rotto e non è più tornato quello che era. «Non trovare più mio padre – continua il presidente – ha reso le cose completamente diverse. Non sentirò più la sua voce, non risponderò più alle sue domande o forse, in silenzio, continuerà la nostra conversazione».

Il rito del fuoco che scalda il cuore del decano dei sub

È legato alla famiglia, all’attaccamento alla terra di origine anche il ricordo del cuore di Luciano Forti, decano della subacquea in Maremma. Nato e cresciuto ad Abbadia San Salvatore, Luciano è fortemente legato alla tradizione delle fiaccole del suo paese che ogni 24 dicembre vede cataste di legna a forma di piramide alte fino a sette metri, costruite in ogni terziere della città del Monte Amiata, incendiarsi.

Luciano Forti
Luciano Forti

Questo rito ancestrale del fuoco è particolarmente sentito da tutti i badenghi e Luciano sorride quando ripensa che durante la leva militare fece di tutto per farsi assegnare il Natale libero e tornare nella sua Abbadia per non perdersi quello spettacolo a lui tanto caro.

L’energia reggae e il dolore per la morte dell’amico

Dai ricordi di Forti facciamo, poi, un salto tra quelli di Filippo Fratangeli: artista, musicista e cantante dei Quartiere Coffe. Per abbracciare uno dei suoi più bei ricordi viaggiamo con lui nel passato e arriviamo al 2013, sul palco della cava di Roselle per la presentazione di Italian Reggae Familia.

Filippo Rootman Fratangeli fotografato a Grosseto www.maremmaoggi.net
Filippo Rootman Fratangeli

«La cava era piena di gente che aspettava il nostro concerto: l’energia che si respirava sul palco quella sera – racconta Filippo – mi resta ancora oggi impressa nella memoria, perché quello che si crea tra i musicisti ed il pubblico, in occasioni come questa, è una connessione energetica unica». Dopo il sorriso che questo caldo ricordo ha portato sulla bocca di Filippo, arriva poi la malinconia. «Il ricordo più brutto – spiega – è il messaggio ricevuto da Salvatore Aquilino, che mi annunciava la morte di suo fratello Gianluca, chitarrista del Quartiere Coffee e mio amico. Quella è stata la mattina più brutta della mia vita».

Jole e Leo, l’amore per la musica e una perdita che fa male

Rimaniamo tra i musicisti ed entriamo nei ricordi di Jole Canelli e Leonardo Marcucci. Coppia sul palco e nella vita, i loro ricordi più belli in ambito lavorativo sono tanti perché, come ricorda Jole, citando una famosa frase di Confucio: “Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno nella tua vita”.  «Avere la possibilità di fare un mestiere che ti piace – dice – ti permette di vivere momenti di grande soddisfazione e quindi collezionare un’infinità di bei ricordi».

Leo e Jole

Se poi è vero che a Natale le persone che abbiamo perso mancano un po’ di più, questo vale anche per Jole e Leonardo che corrono veloce con la memoria al ricordo doloroso di un amico, consigliere, volato via presto che era stato protagonista di molte pagine del loro album dei più bei ricordi.

Il lavoro di squadra di medici e infermieri che curano i bambini

Dopo Jole e Leonardo andiamo a bussare alla porta dei ricordi di Luca Bertacca, pediatra ed ex responsabile del pronto soccorso pediatrico dell’ospedale di Grosseto. E non può che essere legato al suo lavoro, il ricordo più bello: ovvero quello del lavoro di equipe del pronto soccorso pediatrico, della squadra che lavora insieme con passione e dedizione, che si pone al servizio delle persone mettendo in discussione se stessa per garantire la qualità delle cure. «Mi piace ricordare il lavoro unanime dei medici e degli infermieri – spiega Bertacca- che svolgono il proprio operato cercando di far fronte anche alle ansie dei genitori, che sono senz’altro, con assoluta ragione, un’utenza difficilmente gestibile». E quello che più fa sorridere il cuore del dottor Bertacca è il ricordo della leggerezza provata dopo ogni svolta, ogni successo, ogni risoluzione positiva del caso.

Chiude l'edicola di via Abruzzo, la famiglia Innocenti dona al pronto soccorso pediatrico gli oggetti per bimbi invenduti. Qui con il dottor Bertacca
Chiude l’edicola di via Abruzzo, la famiglia Innocenti dona al pronto soccorso pediatrico gli oggetti per bimbi invenduti. Qui con il dottor Bertacca

Ovviamente, il ricordo da cancellare, si trova per il pediatra dall’altra parte della medaglia: la voce di Bertacca si incrina, gli occhi luccicano quando spiega che il suo desiderio sarebbe quello di poter cancellare ogni volta che ha dovuto lasciar andare un bambino, ogni volta che c’è stata una diagnosi terribile, ogni volta che si insinuava il dubbio che le cose si potessero fare prima e meglio.

La fine della pandemia vista con gli occhi del presidente degli infermieri

Rimanendo in ambito sanitario, andiamo ad aprire adesso il cassetto della memoria di Nicola Draoli, presidente dell’ordine delle professioni infermieristiche. La mente di Draoli, quando cerca il suo ricordo del cuore, torna al 5 maggio 2023 quando l’OMS dichiara finita l’emergenza Covid. Per tutti, senz’altro, è stato un momento storico importante, che ha ridonato normalità alle nostre vite in maniera ufficiale, ma per gli operatori del settore, per i medici, per gli infermieri, per tutto il personale ospedaliero, quella data è stata una nuova rinascita.

Nicola Draoli
Nicola Draoli

Per tre lunghi anni i sanitari sono stati costretti a misurarsi con un mare tumultuoso di direttive, di indicazioni, di percorsi che dovevano essere organizzati e attuati dall’oggi al domani. Sono stati tre anni di turni folli e senza sosta, di reparti da attrezzare e smantellare in meno di 24 ore, di campagne vaccinali di massa, di controlli, check point, drive through. «Quell’annuncio del 5 maggio che dichiarava finita l’emergenza significava che per quanto non avremmo smesso di confrontarci con il sars cov 2, sicuramente lo avremmo potuto fare in condizioni non emergenziali – dice – È stato un sollievo che parlava all’anima che portava via tutta la paura, la fatica, la tensione e il dolore accumulato in questi anni». 

Il messaggio di Draoli: «Trasformiamo in gentilezza le esperienze negative»

Di ricordi da cancellare Nicola non ne ha: o meglio, li affronta con spirito positivo per trarne beneficio. Si spiega meglio: «I ricordi dolorosi fanno parte di noi, ci rendono quello che siamo oggi e non potrei pensare di cancellarli. Quello che semmai vorrei cancellare è la mia reazione a quel dolore».

Il dottor Draoli parla della rabbia che nasce da un dolore, da una brutta delusione che ci fa reagire in modo forte e brutale, che ci inquina l’animo: «vorrei cancellare la rabbia che ho provato nel 2023 e l’augurio che mi faccio e che faccio a chi legge è di riuscire ad accogliere tutto quello che non ci piace, che ci delude e ferisce nel modo più gentile possibile».

Insomma, la magia del Natale è anche questo: non ci sono solo tavole imbandite e traboccanti di prelibatezze, non ci sono solo regali da scartare e addobbi da allestire. A Natale il tempo sembra rallentare un po’, forse per dare ad ognuno la possibilità di fermarsi un attimo, guardarsi dentro, ascoltare le proprie emozioni e dar voce ai pensieri. 




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www.maremmaoggi.net è stato pubblicato il 2023-12-25 08:30:17 da MaremmaOggi


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