Storia e significati della parola “ghetto” nel saggio di Daniel Schwartz



PISTOIA – Un percorso storico e soprattutto semantico alla scoperta dell’evoluzione e dei diversi significati assunti dalla parola “ghetto” nel corso dei secoli, in ambito ebraico e non, in relazione al mutare dei contesti storici, politici, culturali e sociali. Al Saloncino della Musica di Palazzo de’ Rossi, nell’ambito della rassegna “Le parole di Urbinek” connessa alle iniziative per la Giornata della Memoria – e che per questa seconda edizione ha scelto proprio “ghetto” come parola-chiave – si è tenuta l’interessante lezione civile dello storico Daniel B. Schwartz, docente presso la George Washington University, specializzato in storia intellettuale, culturale e urbana degli ebrei moderni europei e americani. Un momento della lezione civile nel Saloncino della Musica di Palazzo de’ Rossi con (da sinistra a destra) Schwartz, Bucciantini, Prosperi, Sullam e Martinelli (foto di Andrea Capecchi) L’occasione è stata offerta dalla recentissima pubblicazione del suo libro “Ghetto: storia di una parola” (Hoepli, 2024), sua prima opera tradotta in italiano: un saggio in cui l’autore ripercorre i vari e contestati significati della parola “ghetto” dalla Venezia del Cinquecento fino ai giorni nostri, in un’evoluzione di carattere storico e culturale che ha portato questo termine ad attraversare mutamenti semantici e ad essere adattato a più contesti, anche assai diversi tra loro. All’incontro hanno preso parte e sono intervenuti con l’autore anche Adriano Prosperi, Simon Levis Sullam, Massimo Bucciantini e Francesco Martinelli. Come ha spiegato l’autore all’inizio, l’idea di scrivere questo libro è nata da una domanda attorno al termine “ghetto” e al suo significato nell’età moderna e in quella contemporanea. Fino all’Ottocento la parola non presentava dubbi: il ghetto era ben definito e identificabile come un luogo, o meglio un quartiere in cui gli ebrei erano costretti a risiedere in maniera coercitiva per essere più facilmente controllati dal potere politico e religioso, vivendo così separati dal resto della comunità cittadina. Una separazione fisica e tangibile, testimoniata dai muri che circondavano il quartiere e dalle porte d’accesso che alla sera venivano serrate. Tra Ottocento e Novecento il termine ha cominciato ad acquistare sfumature diverse, andando a indicare quei quartieri delle grandi città degli Stati Uniti, per esempio Lower Manhattan a New York, dove gli emigranti ebrei andavano a risiedere non perché forzati, ma per una scelta volontaria, per dare vita a una comunità che mantenesse un forte senso identitario e di appartenenza culturale e religiosa. In seguito il ghetto esce dalla sua originaria dimensione ebraica e diventa una parola più universale, che nella realtà americana va a definire, con un’accezione sempre più negativa, i vari quartieri cittadini in cui si concentra la presenza di una specifica comunità etnica, con fenomeni diffusi di povertà, degrado, criminalità ed emarginazione. Schwartz ha riflettuto anche sul significato del ghetto nella cultura ebraica: in particolare durante l’età dell’emancipazione degli ebrei questa parola è stata ricondotta al periodo appena concluso, alla fase che precede il lento ritorno degli ebrei europei ai diritti civili e alla libertà, ma non è considerata solamente in chiave negativa. Per gli ebrei il ghetto ha rappresentato per secoli un luogo fisico e simbolico strettamente connesso alla loro cultura ma anche alla loro vita quotidiana, vista la presenza fisica del ghetto nell’esistenza di ogni cittadino ebreo. Da questa riflessione è nata una “rivalutazione” del ghetto come realtà passata ma altamente formativa di una coscienza e di una identità ebraica nell’età della diaspora, nonché centro di conservazione della cultura tradizionale. Negli Stati Uniti i grandi processi migratori avvenuti tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento hanno portato a un trasferimento del termine ghetto dal contesto ebraico a quello afroamericano, allorché il ghetto va a indicare le enclaves delle grandi metropoli americane abitate dagli immigrati di origine africana, molti dei quali provenienti da un contesto ex schiavistico. Ma i ghetti a cui essi fanno riferimento, in particolare negli anni Cinquanta e Sessanta durante le lotte per la loro emancipazione, non sono quelli “storici” di Venezia o Roma, ma quelli ben più recenti creati dai nazisti a Varsavia o nei campi di concentramento, per sottolineare ed evidenziare la loro condizione di emarginazione e discriminazione all’interno della società americana del tempo. Tale passaggio di significato avviene non senza forzature e contraddizioni, ma ciò testimonia ancora una volta l’estrema flessibilità e versatilità di questa parola. Lo storico Adriano Prosperi ha effettuato un ricco e ben documentato excursus storico sulla nascita del primo ghetto a Venezia e sul generale contesto politico, culturale e religioso presente nell’Italia di metà Cinquecento, con riferimento alla condizione degli ebrei nei vari stati della nostra penisola. Ne emerge un quadro molto variegato, in cui si alternano repressione e controllo ma anche tolleranza e concessioni, con la scelta veneziana di istituire il primo ghetto nel 1516 che nasce dal compromesso tra isolare e controllare questa minoranza religiosa (duramente attaccata in quegli anni dai predicatori francescani) e non cacciarli dalla città per il loro importante ruolo economico e finanziario. Negli anni successivi, con l’avvio della Controriforma, altre città italiane andarono via via ad istituire i propri ghetti, ma con specificità locali, modalità e forme diverse, e particolari eccezioni come la Ferrara estense, in cui gli ebrei godevano di un grado di libertà ben superiore rispetto ad altri contesti. L’esclusione e la “maledizione” degli ebrei, popolo ritenuto deicida e infido, attraversa tutta l’età medievale e moderna e in tale visione un ruolo di primo piano viene giocato dal papato, a partire dal IV Concilio Lateranense convocato nel 1215 da papa Innocenzo III che, tra le altre decisioni, impone agli ebrei residenti nei regni cristiani di portare come contrassegno della loro appartenenza religiosa una rotella di stoffa gialla cucita sulla parte sinistra del petto. Per giungere a una normalizzazione della condizione degli ebrei italiani e a una loro emancipazione dobbiamo attendere la fine dell’ Ottocento e la nascita del nuovo stato italiano, che segna finalmente la cancellazione e l apertura dei ghetti e l’ ingresso a pieno titolo degli ebrei nella vita politica, sociale e culturale italiana. Le leggi razziali promulgate dal regime fascista non sanciscono un ripristino e un ritorno dei ghetti, come avviene invece nel mondo nazista, ma intendono colpire direttamente e individualmente, attraverso un antisemitismo razziale, una gente ebraica che si era già integrata nella realtà italiana. Lo storico contemporaneo Francesco Martinelli ha concluso l’incontro sottolineando alcuni aspetti legati alla “memoria del ghetto” presso le comunità attuali. Se da parte ebraica il ghetto è il simbolo ancora tangibile di un passato segnato da esclusione e discriminazione, altre esperienze etniche, sociali e culturali si sono appropriate della parola ghetto come forma di rivendicazione e di emancipazione, perché si sentono perseguitate e portano avanti le loro lotte per i diritti politici e civili. Alla fine della discussione appare quindi chiaro come questo termine, lungi dal possedere un significato univoco e una sola rappresentazione, possa indicare più realtà, anche diverse fra loro, presenti nel nostro mondo; una parola capace di attraversare i secoli e imporsi ancora oggi all’attenzione dell’opinione pubblica, visti i molteplici contesti in cui essa può essere utilizzata. L’incontro è stato molto partecipato e interessante per i numerosi collegamenti storici e spunti di riflessione che ha stimolato nel pubblico; unica pecca da segnalare, la mancanza di una traduzione simultanea dall’inglese all’italiano durante l’intervento del professor Schwartz, i cui contenuti sono stati poi riportati ai presenti in forma sintetica dal collega Sullam.

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www.reportpistoia.com è stato pubblicato il 2024-01-26 15:47:10 da Andrea Capecchi


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