Un secolo movimentato, “caldo” potremmo dire, il ‘500 piacentino, dove l’inquisizione dei domenicani funzionava a pieno regime. L’ufficio dell’inquisitore era nel convento della chiesa di San Giovanni in Canale qui a Piacenza e farne una sintetico dettaglio di cronaca storica è facile grazie agli studiosi. Nel “Ristretto di Storia Patria ad uso de’ Piacentini” del 1831, a cura di Antonio Domenico Rossi, qualcosa ci attira: leggiamo che nel 1502 ci furono “i processi del Reverendissimo Inquisitore contro certe streghe e stregoni”.
E purtroppo “taluni condannati ad esser arsi vivi ed altri a meno atroce supplicio”, tra questi, i documenti citano un certo “Tartaglia” accusato di “riti magici con operazioni chimiche”. E sul rogo in piazza del Duomo a Piacenza misero anche una donna di Casaliggio, per le stesse motivazioni, mentre “una strega nominata Longaretta si pentì” e l’inquisitore allora cambiò la pena “dovette portare una veste di tela bianca con una grande croce rossa cucita, per un anno”.
Condannati solo “alla frusta” in piazza Duomo un certo “Bartolino di Cadeo”, ma anche “il medico di Corano” della famiglia Torti, “perché creduto negromante”, cioè invocava le anime dei morti e prediceva il futuro.
Nel 1579 un certo Tommaso Villa, che era parrocchiano di Sant’Antonino in città, è arrestato per aver sparlato di preti e frati, infatti si legge nella deposizione che aveva affermato “che li frati grandi usano inhonestamente dei fratini piccioli fino alli 25 anni”. L’inquisitore con sentenza del 18 maggio 1580 lo condanna a penitenze, digiuni, veglie e ad ascoltare molte messe, ma bisogna dire che l’imputato venne sottoposto ai tormenti.
E dopo la tortura, anche tre prostitute di Piacenza, “della parrocchia di San Nazaro”, accusate di essere “incantatrici”, fecero abiura, cioè giuramento di mai più far tale pratiche. Infatti per attirare i loro clienti “usavano oggetti benedetti e recitavano delle preghiere” con pratiche sacrileghe e apertamente idolatre, ma la condanna emessa il 28 novembre 1579 fu abbastanza lieve. Condannate ad andare a tutti i riti della settimana santa “a piedi nudi” visitando il Duomo, S. Maria di Campagna ed anche S. Giovanni in Canale.
Il 30 novembre 1569 il nobile Bartolomeo Nicelli di Bettola, come da atto originale in Archivio di Stato di Piacenza, è accusato di eresia e deve sottoporsi a processo: aveva osato affermare in pubblico, che Cristo fosse un grande peccatore come ogni uomo.
Nell’abiura che pronunciò ad alta voce nella chiesa di San Bernardino di Bettola, e trascritta dal notaio, affermò che “il Signore Nostro Cristo… fu innocentissimo e che non peccò mai”. Quindi “parimenti giuro e prometto poste le mani sui Vangeli” che “adempirò totalmente le penitenze che mi saranno imposte”, tutto questo lo fece vestito del “sambenito” cioè una tunichella gialla, alla presenza del delegato dell’Inquisitore e di altre personalità.
E questa è solo la sintesi di decine di casi, di quando potere politico e religioso qui nel Piacentino agivano di comune accordo: l’inquisitore sentenziava e il boia del Comune agiva.
www.ilpiacenza.it è stato pubblicato il 2024-12-15 06:00:00 da
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