GROSSETO. 58 anni sono abbastanza perché l’alluvione del 4 novembre 1966, disastrosa per Grosseto e “offuscata mediaticamente” solo dalla tragedia per lo straripamento dell’Arno che avvenne lo stesso giorno a Firenze, sia passata alla storia.
E la storia dovrebbe insegnare qualcosa.
Anche perché a Grosseto, 22 anni prima esatti, il 2 novembre del 1944, avvenne un’alluvione praticamente uguale, solo meno devastante perché a quei tempi oltre la ferrovia c’erano solo campi e non una città in espansione come negli anni ’60.
Allora c’erano gli americani in città. Una lunga catena umana consentì di salvare le derrate alimentari dai magazzini, portandole sulle Mura. Del resto a quei tempi il primo problema da affrontare ere la fame.
Ma nel 1944, come nel 1966, l’Ombrone ruppe gli argini più o meno nello stesso punto, alle spalle di dove adesso c’è il Motel Agip, sull’Aurelia Sud, nel punto in cui la barriera sopporta una massa d’acqua enorme, stimata il 4 novembre del 1966 intorno ai 4000 metri cubi al secondo.
Quel giorno, un venerdì, era festa e tante attività erano chiuse, altrimenti l’alluvione avrebbe potuto avere conseguenze assai più gravi in termini di vite umane. L’unica vittima fu un buttero, Santi Quadalti che, a Braccagni, fu colto dalla piena mentre a cavallo tentava di mettere in sicurezza le vacche.
In alcuni punti in città l’acqua superò i 4 metri di altezza. Sulla facciata del Consorzio di Bonifica, in via Ximenes, 2 targhe indicano la massima altezza raggiunta dall’acqua il 2 novembre del 1944 e il 4 novembre del 1966.
L’Ombrone, la golena e i terreni di Ricasoli
Il primo meccanismo di tutela della città di Grosseto dalle piene dell’Ombrone è la golena, un’area molto vasta, sotto alla collina di Grancia, nella quale il fiume può allargarsi. Il fiume va in golena quando esce dal proprio alveo naturale e invade la campagna.
La golena è circoscritta sul lato della città da un argine molto alto, costruito con criteri e materiali che gli consentono di fare da solida barriera alla furia delle acque. Sul lato opposto l’argine è dato naturalmente dalla collina di Grancia, verso cui l’acqua si espande in conseguenza delle piene. Solo più a sud, verso Alberese, l’argine della golena è su entrambi i lati del fiume.
La golena si restringe ad imbuto all’altezza del ponte Mussolini e nei momenti di maggior piena il fronte del fiume si stringe da circa 2,4 km di larghezza a circa 800 metri. E qui, alla sinistra del ponte guardando a monte, c’è il tratto di argine più a rischio, quello dove il fiume ruppe sia nel 1944 che nel 1966.
Già alla fine del XIX secolo il problema dell’imbuto era chiaro, ma i progetti di deviare il corso del fiume così da farlo andare più dritto furono osteggiati, quindi di fatto impediti, dalla famiglia Ricasoli che in quella zona aveva ampi possedimenti. E in mezzo non ci voleva il fiume.
Fu Vincenzo Ricasoli, fratello del Barone di Ferro Bettino, secondo presidente del consiglio del Regno d’Italia dopo Camillo Benso Conte di Cavour, a comprare la Tenuta di Gorarella nel 1854. Un toponimo dovuto al fatto che allora le “gore” della zona segnavano il confine fra il fiume le zone paludose.
Per i politici locali di allora non fu facile andare contro alla potentissima famiglia fiorentina e le anse del fiume continuarono a fare le curve docili di adesso, protette da un argine che nel 1944 e nel 1966 non resse alla pressione del fiume.
Gli interventi fatti dopo il 1966
Il ponte Mussolini, chiamato così dalla gente perché voluto dal Duce e inaugurato da Turati nel 1929, ora si chiamerebbe viadotto di Spadino, andò a sostituire la barca che prima serviva ad attraversare il fiume.
Dopo l’alluvione del 1966 il “tappo” fu allargato dal Genio civile, dandogli anche una nuova “luce” rispetto alle originali, per dare più sfogo alla piena dell’Ombrone. Ma l’urbanizzazione già in corso da tempo nelle aree a ridosso del ponte e dell’argine non permisero una soluzione diversa e più sicura.
Contemporaneamente fu anche rialzato e rinforzato l’argine su tutto il lato a protezione della città.
Una nuova manutenzione del ponte è stata fatta nel 2020.
Il ruolo del Consorzio di Bonifica
Ma il sistema non funzionerebbe se non ci fosse il monitoraggio costante da parte del Consorzio di Bonifica, al quale la Regione ha delegato la sorveglianza e la manutenzione dell’argine stesso.
A parlarcene è Fabio Bellacchi, al momento ancora presidente del Consorzio stesso, in attesa che, dopo le elezioni di ottobre, si trovi l’accordo sulla nuova presidenza.
Le tappe sono chiare. Entro il 6 dicembre dovrà convocare l’assemblea, al momento la data potrebbe essere il 2 dicembre. In quell’occasione sarà nominato il nuovo presidente.
Per la composizione dell’assemblea mancano ancora i 12 nomi indicati da Anci, attesi il 7 novembre, e il componente di nomina regionale, che dovrebbe arrivare il 14/11.
Intanto fervono le trattative per individuare il successore di Bellacchi. Che, se la maggioranza dei sindaci dovesse, come pare, andare a rafforzare la posizione di Coldiretti, potrebbe essere un imprenditore agricolo uscito dalla seconda fascia. Milena Sanna, direttrice di Coldiretti, in questi giorni, e dopo un primo consiglio provinciale dell’associazione, sta lavorando a ritmi forzati per rispettare le scadenze.
Le manutenzioni e le trinciature della vegetazione
Presidente, come funziona la manutenzione dell’argine?
«La manutenzione dell’argine è costante – spiega Fabio Bellacchi -. I nostri tecnici lo monitorano ogni giorno. In particolare facciamo a intervalli regolari la “trinciatura” della vegetazione e degli arbusti. Parlo di trinciatura perché riduciamo tutto in piccoli pezzi, che non causino tappi a valle. Un lavoro lento e complesso, ma che ci consente anche di individuare le eventuali buche causate da animali, in particolare nutrie, ricci, anche volpi. Le buche sono pericolose perché rendono l’argine meno solido».
E se ci trovate dentro un animale?
«Lo recuperiamo e lo liberiamo nel Parco della Maremma».
Ma in golena ci sono comunque molte piante.
«Ed è un bene che ci siano. Lasciamo tutte le piante che, per loro caratteristiche, quando passa la piena si flettono. In questo modo rallentano la corsa dell’acqua. E con le radici trattengono il terreno. Sono fondamentali».
Il bacino idrografico, l’acqua di Siena e i bacini. Che non ci sono
I rischi per la città di Grosseto non dipendono solo da quanto piove in Maremma. Anzi, dipendono assai di più da quanto piove sull’Amiata e nel Senese. Quindi dalla portata degli affluenti a monte.
L’alluvione del 1966 fu causata, oltre che dallo scirocco che impedì al mare di ricevere l’acqua, dalla grande portata dell’Orcia, del Farma e del Merse, che si riuniscono poco prima di gettarsi nell’Ombrone a Pian di Rocca, nei pressi delle terme Bagni di Petriolo.
Nel bacino dell’Ombrone i contributi più elevati, a livello annuo, si osservano nel Farma (16,4 l/s x km2) con valori più che doppi rispetto a quelli dell’Orcia (7,0 l/s x km2); il Merse e l’Ombrone stesso hanno valori rispettivamente di 13,0 e 9,9 l/s x km2. Però nei mesi estivi, i valori più alti sono quelli del Merse (in agosto circa quattro volte quelli del Farma e quasi dieci volte quelli dell’Orcia) dovuti alla presenza di sorgenti perenni, di cui le più importanti sono le Vene di Ciciano che, con una portata media di 0,93 m3/s, rappresentano il 64% del valore medio delle portate minime annuali del Merse.
Presidente, le piene arrivano soprattutto dal Senese.
«Il bacino idrografico dell’Ombrone – spiega ancora Fabio Bellacchi – ha affluenti importanti, con grandi portate, specialmente in autunno. Ed è chiaro che le piene dell’Ombrone dipendono da quanta acqua accoglie a nord. Per questo, per essere del tutto al sicuro a Grosseto, servono i bacini».
Avete alcuni progetti, per tre bacini.
«Esatto, sono previsti tre bacini. Uno sul Gretano, da 4 milioni di metri cubi di acqua, uno sul Lanzo, torrente che arriva da Roccastrada, da 9 milioni di metri cubi. Abbiamo i progetti pronti, ma servono i finanziamenti regionali o statali».
E il terzo bacino?
«È quello più grande, ma anche quello fermo da più tempo. Basti pensare che sono già stati fatti gli espropri. Si tratta del grande invaso da 17 milioni di metri cubi di San Piero in Campo, nel comune di Radicofani, sul fiume Orcia. Se ne parla da una vita, manca ancora il via libera dell’autorità di bacino dell’appennino centro settentrionale».
I bacini sono quindi decisivi.
«Sì, perché sono bacini multifunzione. Non solo regolano le acque in occasione delle piene, ma sono perfetti per l’irrigazione. La stessa val d’Orcia, dove un tempo si coltivavano cereali, si sta trasformando e produce sempre più olio e vino. E viti e olivi hanno bisogno di tanta acqua. Inoltre i bacini diventano decisivi quando scoppiano incendi, per il rifornimento di acqua degli elicotteri».
Detto tutto questo, ora l’Ombrone è più sicuro?
«Adesso è assai più sicuro di 58 anni fa, senza dubbio. Ma solo con i bacini a monte, con il clima che è cambiato, avremo la sicurezza assoluta».
www.maremmaoggi.net è stato pubblicato il 2024-11-04 18:26:34 da Guido Fiorini
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