di Alessandro Soli
CIVITA CASTELLANA – Scrivere fa bene, sempre, perché mettere nero su bianco sentimenti, emozioni, sensazioni e soprattutto ricordi, non è facile, ma bisogna farlo.
Caro amico ti scrivo (Quanno nun sò che fa)
“Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un pò“. Quante volte l’abbiamo sentito e cantato, questo che è l’inizio della canzone di Lucio Dalla “L’anno che verrà”. Il mio intento non è però l’analizzare i contenuti e i significati, peraltro stupendi, che il motivo ci propone, ma l’azione stessa dello scrivere.
E’ una azione che aiuta la mente (almeno per quanto mi riguarda) ad una distrazione o meglio evasione, che attraverso la fantasia riesce a volte a renderti felice e a farti sognare. Ogni volta che leggiamo un libro, che ci lasciamo prendere, pagina dopo pagina, dalla storia in esso narrata, raramente ci immedesimiamo in chi, quelle parole le ha scritte, a chi ha voluto fissare su carta pensieri, sentimenti, nati personali ma messi a disposizione di un prossimo che magari non riesce ad esprimerli. La capacità di scrivere è riservata purtroppo solo a persone che lo fanno per passione, per lavoro, per motivi più vari e disparati, e per chi, come il sottoscritto, lo fa per diletto. A me piace scrivere, comporre poesie, e come dicevo sopra trovare una “distrazione” ad una esistenza segnata da una età che ti porta a coltivare gli hobby che per anni hai sognato e che sempre hai sperato di realizzare. Non considerate questa mia riflessione frutto di presunzione o senso di protagonismo, ma la voglia che da sempre pervade lo scrittore ed il poeta, lo porta a strafare.
Ogni artista in qualunque campo esso operi, si sente inconsciamente un gradino sopra gli altri. Ed ecco allora che quella voglia diventa ansia, quasi angoscia; il voler trasmettere agli altri il frutto dei suoi sentimenti il più delle volte lo rende antipatico e superbo. Il grande Checco Durante attore del teatro romanesco, che oltre a calcare le scene, scriveva poesie dialettali, in un suo libro esordisce così: Sta attento a dì a un poeta de parlà, pensece bene prima de ‘nvitallo, che si con sòrdo lo fai ‘ncomincià, nun basterà un mijone pe’ azzittallo. Chiudo con questa mia poesia, poco nota, scritta più di dieci anni fa, undici per l’esattezza
Quanno nun sò che fa
Quanno nun so che fà
pijo un fojo e ‘ncomincio a scarabbocchià.
Tiro fora ’a rabbia che ci’ò drento…
Quella che me porto appresso già da prima,
pe’ fa sti quattro versi co’ la rima.
Aripenzo ar monno che me gira ‘ntorno :
a chi ci’à li sòrdi e nun te vede,
a chi piagne giorno doppo giorno,
e la fame je passa co’ la fede.
Filosofo nun so poeta manco,
me toccherà morì…povero e stanco?
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