BARI – «Non mi piace parlare di razzismo, è più ignoranza. Se non riesco a trovare un locale idoneo per avviare la mia attività di cucina etnica è solo per l’ignoranza di pochi, unito ad un pizzico di speculazione». Ana Estrela al quartiere Libertà non avrebbe quasi bisogno di presentazioni, per anni il suo bistrò sociale Ethnic cook dall’interno del Redentore ha creato cibi e costruito integrazione. Un modello culturale multietnico dove si sono intrecciate storie, esperienze e tradizioni che hanno unito le persone.
«Purtroppo alla fine dell’anno scorso ho dovuto lasciare la vecchia sede e mi sono messa alla ricerca di un locale mio dove riprodurre il modello Ethnic cook. Con il bistrò, i corsi di cucina, gli eventi culturali. Un luogo dove donne e uomini si possano ritrovare, ma sembra che il colore della mia pelle non piaccia ai proprietari di locali…».
E’ amara Ana mentre racconta, anche se nulla potrà abbattere la sua energia. «Ho dovuto subire una serie di esperienze che non faccio fatica a definire shockanti – spiega -. Io sono italiana, vivo qui da oltre 27 anni. Quando mi si chiede di dove sono, rispondo con orgoglio: “Di Bari”. Ormai le mie radici brasiliane sono il passato, il mio presente è qui».
Ma questo sembra non bastare se devi affittare un locale. «C’è chi mi ha chiesto prezzi fuori da qualsiasi mercato e mi ha apostrofata dicendomi: “se lei non può pagare, ho persone ricche che mi pagano”. Inutile dire che il locale è ancora lì sfitto – racconta -. Oppure un avvocato che mi ha portata avanti per una lunghissima trattativa, avevo persino consegnato una caparra, ma alla fine pur di non darmi il locale ha chiuso il contratto con l’agenzia immobiliare, spiazzando tutti. Oppure un agente immobiliare che quando mi ha vista arrivare all’appuntamento è sbiancato e continuava a ripetermi: “è un luogo troppo piccolo per quello che vuole avviare”. O ancora: mi hanno chiesto proprietà a garanzia per un affitto da 700 euro, un altro che mi ha detto che preferiva dare priorità ad un italiano che lo aveva chiesto… Ho visto e subito di tutto».
Il risultato è che in 8 mesi Ana Estrela e la figlia non sono riuscite a trovare nulla per ripartire. «E dire che ho anche vinto il bando comunale di Impresa prossima con il mio progetto. Ho risorse disponibili, ma non riesco a venirne fuori da tutti questi “no”. Peccato per la mia vecchia sede: l’ho lasciata perché dovevano fare lavori urgenti, ma ancora nulla si muove. A saperlo, avrei potuto continuare e pagare regolarmente il mio affitto e lavorare in questi mesi».
Ana è innamorata di Bari, ma le difficoltà che sta avendo le hanno fatto balenare l’idea di andar via. «Ho ricevuto tante proposte. Da Torino a Valencia, persino di ricominciare a Sheffield».
Il modello Ethnic cook piace molto, è stato riprodotto in diversi comuni. Una di quelle buone prassi che tanti ci invidiano e no, non merita di spegnersi così. Meriterebbe più attenzione magari anche istituzionale.
«Ora con mia figlia sto collaborando in cucine di altri. Ho tanti amici che si sono subito mobilitati per sostenermi. Ma io voglio un locale mio, voglio riprendere a costruire quelle relazioni che sono sempre state la mia vera ricchezza – dice con forza -. Ho avuto e continuo a ricevere proposte per andar via, ma è qui a Bari che voglio il mio futuro. Non mi posso arrendere così».
No, i semi di Ethnic cook non si possono sperdere così, dietro la stupidità di pochi, dietro l’indifferenza. Non è possibile per Ana Estrela e il suo sorriso, per sua figlia, per tutte le donne e le persone che attraverso i suoi corsi e piatti hanno costruito relazioni. «Qui ho tanti amici che mi vogliono bene, ma sono impotenti come me dinanzi a questa situazione. Devo trovare una soluzione e il locale che sogno diventerà realtà: uno spazio per tutte le donne rifugiate che vogliono ricostruire la loro vita».
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www.lagazzettadelmezzogiorno.it è stato pubblicato il 2024-09-02 12:23:56 da
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