Un incidente sugli sci riduceva in condizioni critiche il campione di Formula 1. Neppure i più moderni ritrovati della medicina sono riusciti a restituirlo ai suoi tifosi. Ne abbiamo parlato con giornalista modenese Leo Turrini
MODENA – “Da dieci anni sempre nei cuori, continua a lottare”: così la Scuderia Ferrari sui social media, a dieci anni esatti dall’incidente sciistico di Meribel dal quale Michael Schumacher non si è più ripreso. Sette Campionati del Mondo vinti, di cui cinque col Cavallino Rampante: Schumi, oggi 54enne, rimane uno dei più grandi di tutti i tempi al volante ma il suo ricordo è cristallizzato a quel momento terribile, la roccia affiorante sui cui batte la testa dopo un banale scivolone sulle piste. Un contrappasso terribile. Per dieci anni le reali condizioni di salute di Schumacher sono state – giustamente – protette da una barriera impenetrabile. Ad oggi sono noti pochi dettagli in più, che agli occhi dei tifosi di Schumi suonano come una condanna.
Quel che resta della legacy motoristica di Schumacher è negli esordi del figlio Mick, che tuttavia ha avuto sin qui poca fortuna in Formula 1. Il fratello Ralph descrive come “impossibile” il tentativo di restituirgli una vita normale, persino l’ex rivale Damon Hill rivolge alla moglie Corinna e alla famiglia un pensiero di vicinanza. Gli altri, da Alonso a Hamilton, vivono del ricordo, dell’influenza che ha avuto su ciascuno di loro come pilota. Schumi è sempre Schumi: presente ovunque e in qualche modo assente al tempo stesso.
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