Ernst Jünger: un conservatore controcorrente

Ernst Jünger: un conservatore controcorrente


In un contesto di grande livello, come è quello della cultura europea e della cultura di lingua tedesca del Novecento, Ernst Jünger riveste certamente un ruolo di primissimo piano. Vissuto molto a lungo, egli nacque nel 1895, l’anno della nascita del cinema, e morì nel 1998, quando chi scrive era già iscritto all’Università. Jünger ha, dunque, attraversato quel secolo terribile e stupendo che fu il Novecento, come un testimone di eccelsa qualità.

Per i suoi cent’anni, egli ricevette l’invito di Helmut Kohl a recarsi in Germania, quello di François Mitterand ad andare in Francia e quello di Massimo Cacciari, allora Sindaco di Venezia, a recarsi nella città lagunare.

Coincidentia oppositorum

Non solo, ma la sua personalità complessa, sia dal punto di vista letterario che da quello speculativo, ha fatto sì che egli sia stato uno dei pochi ad avere la stima di due figure completamente opposte, come Adolf Hitler e Hannah Arendt. In quel ricercato libriccino che è “I Prossimi Titani. Conversazioni con Ernst Jünger” (Adelphi) di A. Gnoli e F. Volpi, vengono ricostruiti i termini della questione.

Quando Hitler era ancora un illustre sconosciuto, un agitatore politico senza arte né parte, negli anni ’20, bussò alla porta del già famoso Jünger, che non ebbe il tempo o la voglia di riceverlo. Hitler ammirava in Jünger l’eroe pluridecorato della Prima guerra mondiale e l’autore di quel libro stupendo che è “Nelle tempeste d’acciaio” (1920).

Così quando uscì il romanzo “Sulle scogliere di marmo” (1939), in cui si ventilava l’idea del tirannicidio, Goering e Goebbels, tra i massimi gerarchi nazisti, chiesero la testa dello scrittore. Ma Hitler difese Jünger senza esitazioni. In più, Jünger partecipò, segretamente, all’attentato contro Hitler organizzato da Klaus von Stauffenberg nel luglio 1944, ma anche in quel caso riuscì a salvarsi.

Per quanto riguarda il giudizio di Hannah Arendt, esso venne richiesto, a lei che era ed è rimasta tra le massime conoscitrici dell’ambiente culturale e politico del nazismo, dalla “Commission on European Jewish Cultural Reconstruction”. Questo giudizio su Jünger, è presente anche nel libro della Arendt, “Ritorno in Germania” (ed. it. Donzelli). Lo riportiamo per come è citato nel libro di Gnoli e Volpi.

Scrive Arendt: “I diari di guerra di Ernst Jünger offrono forse l’esempio migliore e più trasparente delle immani difficoltà a cui l’individuo si espone quando vuole conservare intatti i suoi valori e il suo concetto di verità in un mondo in cui verità e morale hanno perduto ogni espressione riconoscibile.

Nonostante l’innegabile influenza che i primi lavori di Jünger hanno esercitato su certi membri dell’intelligencija nazista, egli è stato dal primo all’ultimo giorno del regime un attivo oppositore del nazismo, dimostrando con ciò che il concetto d’onore, un po’ antiquato ma diffuso un tempo tra il corpo degli ufficiali prussiani, era del tutto sufficiente a motivare una resistenza individuale”… Nel libro-intervista di Gnoli-Volpi, Jünger si dice lusingato dal giudizio di Hannah Arendt.

Figli di Nietzsche

Nietzsche muore il 25 agosto 1900. Ma la conclusione autentica della sua vita terrena, avviene nel gennaio 1889, quando il grande filosofo è avvolto, senza ritorno, dalle tenebre della follia. Nell’arco di sedici anni, il massimo genio tedesco dai tempi di Goethe, disegna un arco speculativo che, dalla “Nascita della tragedia” (1872) arriva a “Ecce homo” (1888). Il peso, culturale e teorico, sulle generazioni successive, sarà enorme.

Ma se l’influenza su di un poeta come D’Annunzio sarà soltanto esteriore e di facciata, in uno scrittore che aveva sacrificato la totalità della realtà alla dimensione estetica, il peso spirituale e filosofico sulla cultura di lingua tedesca, sarà incalcolabile.

Karl Löwith, grande storico della filosofia allievo di Heidegger, all’inizio del suo libro “Nietzsche e l’eterno ritorno” (1935, ed. it. Laterza) fa un rilievo importante. Ossia che nel 1884, cinque anni prima di precipitare nell’oscurità di quella malattia psichica che lo avvolgerà senza scampo, Nietzsche previde che, per la comprensione autentica della sua opera, sarebbero stati necessari cinquant’anni.

Puntualmente, negli anni ‘30 del Novecento, Karl Löwith e Karl Jaspers, C. G. Jung e Martin Heidegger elaborano o pubblicano le loro grandi interpretazioni del pensiero di Nietzsche. Se, con Cassirer e Croce, il lavoro di scavo sul pensiero europeo si era fermato a Kant e Hegel, con il lavoro di scavo su Nietzsche, l’ermeneutica filosofica europea compie un balzo in avanti.

Ma l’influenza del pensiero di Nietzsche oltrepassa la cerchia dei filosofi e degli storici della filosofia, per arrivare ad investire la cultura europea nel suo complesso. Tra i molti casi significativi, oltre a quello di Karl Kraus, c’è l’esempio di Thomas Mann. Già nel suo primo grande romanzo, “I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia” del 1901, l’influenza di Nietzsche è presente in modo significativo. E sarà proprio Thomas Mann, molti anni dopo, a fare un’affermazione decisiva sul pensiero di Nietzsche: “chi lo prende alla lettera e gli crede, è perduto”.

Jünger, meno umanista e meno europeo di Thomas Mann, è – sotto questo profilo – meno avvertito e la sua assunzione del pensiero di Nietzsche è massiccia. Temi come il superuomo, la volontà di potenza, il pathos della distanza sono costantemente presenti e visibili nella sua opera. Anche in un testo, particolarmente felice sul piano letterario, come “Il cuore avventuroso. Figurazioni e Capricci” (1929, ed. it. Guanda, a cura di Q. Principe).

Nipoti di Goethe

L’affinità di Jünger con Thomas Mann può essere estesa e ampliata se si prende in considerazione Goethe. Come ogni discorso sulla letteratura italiana non può essere fatto senza tirare in ballo il nome di Dante, analogamente non è possibile parlare di letteratura tedesca senza fare il nome di Goethe. Il grande poeta autore del “Werther” e del “Faust”, innamorato di Roma, aveva due caratteristiche: la natura superiore del suo spirito contemplativo e il conservatorismo in politica.

Esattamente le due caratteristiche che emergono nel “Cuore avventuroso” di Jünger e che è possibile ritrovare nel primo Thomas Mann, quello dei “Buddenbrook” cui si accennava, della “Morte a Venezia”, di “Tristano” e “Tonio Kröger”, prima della svolta umanistica e democratica, compiuta da Mann durante i drammatici avvenimenti della storia europea.

Se si restringe lo sguardo al “Cuore avventuroso”, un’altra affinità può essere postulata, ancora sotto il segno di Goethe, quella tra Jünger e Walter Benjamin. L’accostamento può suonare insolito, ma ha le sue ragioni, allo stesso modo di quello di Heidegger con Adorno. “Il cuore avventuroso” di Jünger è un libro di aforismi, divagazioni, pensiero non sistematico.

Nel 1928, un anno prima che Jünger pubblicasse il suo libro, Benjamin dava alle stampe “Strada a senso unico” (ed. it. Einaudi), altra opera di aforismi, divagazioni, pensiero non sistematico. È vero che il taglio di Benjamin è marxista e messianico, ma quel superiore spirito contemplativo che proviene da Goethe, è presente anche in lui. Ed è forse la cosa più ricercata che è possibile ritrovare nelle opere della letteratura tedesca.

L’articolo Ernst Jünger: un conservatore controcorrente
www.romait.it è stato pubblicato il 2023-12-06 19:51:01 da Daniele Lorusso


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