Ok al pacchetto sicurezza, stretta sulle truffe agli anziani. Sul s…

Ok al pacchetto sicurezza, stretta sulle truffe agli anziani. Sul s…



Ok al pacchetto sicurezza, stretta sulle truffe agli anziani. Sul s…

Fra equilibrismi politici e timori dell’incombente sciopero dei trasporti, la maggioranza ha vissuto un pomeriggio da brividi al Senato. Fibrillazioni arrivate anche in Consiglio dei ministri, mentre si approvava quello che Giorgia Meloni ha definito “un importante pacchetto” sulla sicurezza, prima di partire per la missione a Zagabria, dove porta l’intesa con l’Albania sui migranti come «modello da replicare».

A un certo punto, il segretario d’Aula ha cominciato a sillabare i nomi rallentando la chiama, mentre da Palazzo Chigi si precipitavano a votare anche i ministri senatori, come Matteo Salvini. E così alla fine è passata con 98 sì (18 meno dei seggi della coalizione) la fiducia al decreto Proroghe.

Il governo ha dovuto porla anche su questo provvedimento omnibus (con misure dal payback sanitario alla rateizzazione dei debiti per le quote latte) perché l’intesa, trovata dopo un tribolato esame in commissione (finito una settimana dopo il previsto), è stata messa in discussione di fronte ai quattro nuovi emendamenti presentati dalla relatrice Antonella Zedda (FdI) a fine discussione generale in Aula.

A quel punto è iniziata «una sfida interna» nella maggioranza, per dirla con il dem Francesco Boccia, che in capigruppo ha assistito a momenti di tensione fra i colleghi di centrodestra e alle critiche del presidente del Senato Ignazio La Russa verso il Mef, perché non aveva ancora inviato la relazione tecnica degli emendamenti. Spazio per mediazioni non ce ne è stato, e il ministro Luca Ciriani ha annunciato la questione di fiducia.

Quindi l’obiettivo della maggioranza è diventato evitare di andare sotto, come 24 ore prima su un voto procedurale. Alla prima chiama qualcuno ha rivissuto l’incubo dello scivolone di aprile sul Def, alla Camera. Alla seconda si è corso ai ripari. I non pochi banchi vuoti erano legati anche ai timori per lo sciopero dei trasporti, minimizzano fonti di centrodestra. “Quella chiesta è una fiducia contro la propria maggioranza», secondo Enrico Borghi (Iv).

Le opposizioni rilanciano anche la tesi che, non potendo avanzare emendamenti sulla manovra blindata, i parlamentari di centrodestra abbiano concentrando le loro pressioni, non sempre allineate, su questo decreto e altri provvedimenti minori. Se fosse così la situazione potrebbe generare pensieri a Meloni, che non vuole incidenti sulla manovra (partita dal Senato), e punta a chiuderla possibilmente il 14 dicembre, prima di Atreju, la kermesse del suo partito.

Anche se i parlamentari più navigati iniziano a ipotizzare che non si riesca a portare a casa anche il voto della Camera prima del 20. Evitare incidenti di percorso, è l’ordine di scuderia.

Fra decreti e disegni di legge, c’è un ingorgo di provvedimenti. E a Montecitorio, sospettano le opposizioni, può essere usato dalla maggioranza per far slittare il voto sulla ratifica del Mes, in calendario il 22 novembre ma in coda all’ordine del giorno.

È un altro fronte che può far emergere disallineamenti. Una voce di maggioranza fuori dal coro è Alessandro Cattaneo. «La ratifica non ci esporrebbe ad alcuna troika ma aiuterebbe il percorso di autorevolezza e credibilità che l’Italia sta portando avanti molto bene in questi mesi» dice l’azzurro. Palazzo Chigi, per ora, non cede: il dossier rientra nella «logica a pacchetto».

“Il tema del Mes non può essere affrontato in maniera isolata” conferma il vicepremier Antonio Tajani: «C’è un tema che riguarda il Patto di stabilità e credo si debba vedere nell’insieme la questione finanziaria. Giorgetti mi auguro possa procedere nella trattativa e poi si procederà con l’esame della questione Mes». Una partita che si intreccia con i negoziati su Pnrr e balneari. Se alla fine si dovesse arrivare a una ratifica, c’è l’ipotesi di una risoluzione di maggioranza che impegna il governo a non accedere mai al Meccanismo europeo di stabilità. Ma ancora è tutto congelato.

Il centrodestra affossa il salario minimo, ira delle opposizioni

Niente salario minimo per legge. Il centrodestra affossa, via emendamento, la proposta unitaria del centrosinistra di introdurre una soglia di 9 euro lordi l’ora per legge. Non solo: intesta al governo l’iniziativa in materia di «equa retribuzione» e rafforzamento della contrattazione collettiva oltre che una stretta sui contratti pirata.

Il testo del centrodestra, firmato da tutti i capigruppo in commissione Lavoro alla Camera sopprime e sostituisce l’intera proposta avanzata dal centrosinistra e in discussione alla Camera a prima firma del leader M5s Giuseppe Conte.

L’opposizione si vede, di fatto, scippata del proprio disegno di legge unitario, portato avanti, tra l’altro, nell’ambito delle proposte della quota parlamentare riservata all’opposizione. E va su tutte le furie. Per il Pd, con il capogruppo in commissione Lavoro Arturo Scotto, si tratta di «un colpo di mano» di chi «usa il Parlamento come un soprammobile». “Umiliano il Parlamento», accusa Conte e «lo fanno per perdere tempo e sfiammare questa ondata che si è alzata nel Paese».

“Dovevano occuparsi di lavoro povero quando erano loro al governo», è la replica di Fratelli d’Italia con il capogruppo alla Camera Tommaso Foti. La delega, nella proposta della maggioranza, è di sei mesi dall’entrata in vigore della legge per emanare i decreti legislativi. L’obiettivo è quello di garantire a tutti i lavoratori una «retribuzione proporzionata e sufficiente», come sancito dall’articolo 36 della Costituzione.

Ma a criticare la mossa, che ha oltretutto ricompattato la maggioranza, sono anche i sindacati. «Così – accusa il leader della Cgil Maurizio Landini – il salario minimo non si farà mai». Sotto accusa delle parti sociali anche la parte del provvedimento che prevede che sui contratti scaduti e non rinnovati entro «congrui termini» o per i settori che non sono coperti da contrattazione di riferimento a intervenire possa essere il ministero del Lavoro. Non solo. Ad esacerbare gli animi è anche un passaggio della delega che non sembra troppo distante rispetto alla proposta avanzata la scorsa settimana dalla Lega e che chiedeva di considerare il costo della vita tra i parametri per la contrattazione a livello locale.

La proposta del centrodestra prevede tra i principi quello di «favorire lo sviluppo progressivo della contrattazione di secondo livello» anche «per fare fronte alle diversificate necessità correlate all’incremento del costo della vita e alle differenze dei costi su base territoriale». Un riferimento nel quale le opposizioni non vedono altro che il ritorno delle cosiddette ‘gabbie salarialì. «Nell’emendamento – accusa Conte – parlano di salari differenziati in relazione alle varie parti d’Italia, quindi tra nord e sud, è una prospettiva scellerata che reintroduce le gabbie salariali».

La stessa accusa che arriva dal leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. «Riesumano le gabbie salariali», attacca bollandolo come «un vero ritorno indietro». Niente di tutto ciò, replica il presidente della commissione Lavoro, Walter Rizzetto: «Nessuno ha parlato di ‘gabbie salarialì, piuttosto molto semplicemente di contrattazione di secondo livello, argomento che va sempre più approfondito anche grazie all’impegno sindacale quotidiano».

«Al presidente della commissione Lavoro della Camera – è la controreplica del leader M5s – dico: legga bene l’articolo 1, secondo comma, lettera d) dell’emendamento perchè delle volte capita, quando si è distratti, di non leggere quello che si scrive». Le opposizioni sono dunque pronte alle barricate a partire dalla prossima settimana quando inizieranno i voti sugli emendamenti al provvedimento in commissione. Non trattandosi di una proposta di relatore o governo i gruppi non hanno potuto fare le proprie contro-proposte attraverso sub-emendamenti ma c’è da scommettere che si faranno sentire il 28 novembre quando il provvedimento è in calendario in Aula a Montecitorio.

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gazzettadelsud.it è stato pubblicato il 2023-11-16 20:18:39 da


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