Processo “Doppia curva”: ultrà non sempre criminali, ma i primi a liberarsene devono essere gli ultrà in buonafede

Processo “Doppia curva”: ultrà non sempre criminali, ma i primi a liberarsene devono essere gli ultrà in buonafede


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Mica sempre, ci mancherebbe. Non è che tutte le tifoserie organizzate, o i loro leader, siano necessariamente dediti ad attività criminali. Fino addirittura a essere collusi con famiglie mafiose in piena regola, come in questo caso i Bellocco di Rosarno. Ovvero la ‘ndrangheta.

Ma la connessione c’è eccome. E i primi che dovrebbero riconoscerla, per rifiutarla e liberarsene, sono gli ultrà in buonafede.

Quelli che hanno come unica ragion d’essere il sostegno della loro squadra del cuore e che, quindi, non sono per nulla interessati, o disposti, a strumentalizzarla ad altri fini. Trasformando la propria passione in un pretesto per arricchirsi a suon di reati. O di altri abusi “minori”, a cominciare dal bagarinaggio.

Che cosa succede, invece?

Succede che anche quelli che non delinquono in prima persona Proseguono a solidarizzare con chi lo fa, sull’onda di una malintesa fratellanza. Che si impernia sulla stessa fede calcistica ed è sempre pronta, perciò, ad anteporla a qualsiasi altro giudizio. Finendo con lo sconfinare in un’acquiescenza indiscriminata che tutto tollera e tutto asseconda.

La formula proverbiale recita “è un cretino, ma è mio amico”.

Qui sfocia in una variante ancora peggiore: “è un delinquente ma è mio fratello (di tifo)”.

Autodifesa boomerang

L’ultimo esempio è pura attualità. A Milano si è celebrato il processo “Doppia curva”, a carico di esponenti di spicco del tifo organizzato di Inter e Milan e delle relative camarille di complici assortiti. Fuori dal tribunale, che per l’occasione si era spostato nell’aula bunker del carcere di San Vittore, non sono mancate le manifestazioni a sostegno degli imputati. E a tutela di sé stessi.

La motivazione ufficiale, in linea di principio, sarebbe anche condivisibile: evitare che le accuse a carico di alcuni si risolvano automaticamente in una demonizzazione generalizzata. Sancendo nell’immaginario collettivo, se non nelle sentenze giudiziarie, l’equivalenza fra ultrà e criminalità.

La rivendicazione è corretta. Ma è troppo parziale. E allontana dal vero nocciolo della questione: la tendenza a enfatizzare il significato dell’essere tifosi della stessa squadra, come se questo singolo aspetto fosse sufficiente a prevalere su tutti gli altri, assorbendoli in un’affinità complessiva e prioritaria. Un entusiasmo condiviso che suscita un’immediata corrente di simpatia e che può accendere, negli stadi reali o in quelli virtuali, un’identificazione potentissima e travolgente.

Nessun problema, fintanto che si rimanga sul piano di una sorta di gioco. Tanto appassionato mentre vi si partecipa quanto capace di tornare nei ranghi della razionalità e della consapevolezza, non appena sia venuto il momento di uscire da quella specifica ebbrezza.

La festa è finita, andate in pace.

Ma se al contrario si va oltre – e si perde il senso delle proporzioni, e se quel vincolo particolare si espande a dismisura, inducendo a convincersi che il legame tra ultrà sia l’asse portante dell’intera esistenza – allora il fenomeno cambia. E diventa patologico.

Il piacere degenera nella dipendenza. La contiguità diventa ambiguità.

La comunanza diventa connivenza.

L’esigenza è giusta, la risposta è sbagliata

Lo sfondo è arcinoto. Perché in un modo o nell’altro è esperienza quotidiana e concreta, più o meno diretta e più o meno sofferta.

Lo sfondo è che viviamo nell’epoca dello sradicamento e della, crescente, estraneità reciproca. Come è stato sottolineato un’infinità di volte, gli stessi vicini di casa sono in pratica degli emeriti sconosciuti. Con i quali ci si scambia a malapena un saluto.

Questa condizione, a dirlo molto semplicemente, è sbagliata di per sé. E cozza contro delle necessità primarie, che di sicuro non si dissolvono solo perché i modelli dominanti spingono altrove.

Primo: gli esseri umani hanno bisogno di riconoscersi in un’appartenenza di gruppo. Che non si esaurisce in uno status giuridico, come avviene nelle società odierne sempre più prosciugate dei fattori identitari, ma che va molto oltre, facendo sì che i diversi membri si riconoscano gli uni con gli altri con un’intensità spontanea e viscerale. Un dato antropologico, non meramente legale.

Secondo: venute meno le comunità originarie, che certo non erano dei mondi perfetti ma che tuttavia andavano nella direzione, sana, di un amalgama tra individuo e collettività, quegli impulsi e quelle necessità sono rimasti senza il loro approdo naturale. Incanalandosi in ogni genere di rivoli, sino ai raduni frenetici dei rave o a quelli grotteschi dei cosplay, o viceversa spegnendosi nell’isolamento di chi sprofonda nella sua mancanza di relazioni.

Ed è proprio qui che si situa (anche) il tifo sportivo. Il bisogno insoddisfatto di comunità a più ampio raggio, e di maggiore profondità, si accontenta di un surrogato. Tanto più facile da accettare perché non viene percepito come tale. E perché si incardina su uno slancio che di solito sorge già da bambini, dopodiché rimane immutato per tutta la vita.

«La curva – ha detto in un’intervista pubblicata ieri sull’edizione milanese di Repubblica Lamberto Ciabatti, autore di Ultras. Ogni maledetta domenica vincere o perdere non conta – è, e rimane ancora, un centro di aggregazione importante dove si creano forti legami di solidarietà. (…) Un movimento dall’enorme portata, capace di aggregare milioni di persone. È un peccato che scandali o inchieste che riguardino pochi individui diano un’interpretazione approssimativa e limitata del mondo ultras.»

Ma il peccato ancora più grande, anzi: la colpa ancora più grande, è che non si riconosca quello che c’è dietro.

Se i “forti legami di solidarietà” bisogna cercarseli nel mondo del pallone vuol dire che non li si trova negli altri ambiti della propria vita. E se questo non sembra un’anomalia, e pure grossa, è il caso che ci si domandi come mai.

Gerardo Valentini – Movimento Cantiere Italia

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www.romait.it è stato pubblicato il 2025-06-20 07:32:39 da Redazione


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