“Re” di fiori e sindaco record Biancheri si racconta

“Re” di fiori e sindaco record Biancheri si racconta


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Il profilo del politico capace d’intercettare ampio consenso se l’è costruito con i dieci anni filati da sindaco di Sanremo, il più longevo nella storia della città, dopo un apprendistato da consigliere comunale e assessore, ma Alberto Biancheri è (e resta) soprattutto un imprenditore di successo nel settore floricolo, a capo di un’azienda leader nella produzione di bulbi di ranuncoli e anemoni, che esporta in mezzo mondo e in diverse regioni italiane. E’ una storia appassionante quella della Biancheri Creazioni, che si srotola nell’album di famiglia a cavallo tra due secoli, in un mix di sacrificio e idee, serietà e coraggiosi investimenti legati al valore della ricerca come mantra per allargare gli orizzonti. La sede, il cuore pulsante, è nella piana di Camporosso, ma il risultato delle attività di laboratorio finisce in Sicilia, negli oltre 30 ettari di serre che si distendono nel territorio di Acate (Ragusa). E’ così da 25 anni: al Sud i semi diventano bulbi e meristemi, per tornare al Nord ed essere selezionati e stoccati in contenitori. Il cerchio si chiude con la spedizione: il valore di ciascun “cartone” che parte da questo spicchio di Liguria oscilla fra 3 e 15 mila euro, in base a numero e varietà.

Partiamo dall’inizio, dalla vocazione familiare per la floricoltura.

“Nei primi anni del ‘900, mio nonno Duilio cominciò a riempire sacchi di petali di rose a Borghetto San Nicolò, alle spalle di Bordighera, trasportandoli poi a piedi fino alla stazione di Mentone per salire sul treno in direzione Grasse, con destinazione le celebri distillerie di profumi. I ricavi li utilizzava per acquistare i primi bulbi che dall’Olanda arrivavano in Francia, rivendendoli ai coltivatori della sua zona. Aveva così gettato il seme (è il caso di dirlo…) che mio padre Antonio, nato nel 1925, raccolse dopo la fine della seconda Guerra mondiale, iniziando a commercializzare piantine di rose e bulbi di anemoni, ampliando gradualmente il raggio d’azione: all’inizio aveva l’ufficio a Sanremo e un piccolo capannone a Camporosso. Il mio arrivo risale agli anni ’80, anche perché avevo poca voglia di studiare. All’epoca la floricoltura della Riviera era fatta, principalmente, da rose e garofani. I ranuncoli rappresentavano una piccolissima nicchia di mercato. Decisi di provare a farne un business, con l’aiuto di due dipendenti, cominciando ad acquistare semi in Francia per trasformarli in bulbi e rivenderli nel Ponente, nella prima fase in modeste quantità. Con la crisi energetica che aveva fatto schizzare in alto i costi per riscaldare le serre, spostando (di fatto) la coltivazione delle rose in Africa e Sud America, mentre i garofani subivano il contraccolpo di pesanti problemi fitosanitari, i ranuncoli hanno cominciato a prendere piede, diffondendosi sempre più. Il salto l’abbiamo compiuto abbracciando la ricerca, in particolare aderendo a un progetto meristema dell’Istituto regionale per la floricoltura di Sanremo che altre aziende avevano snobbato: ci ha ispirato e guidato nella moltiplicazione delle piantine in vitro, fino ad arrivare ai primi bulbi da clone di ranuncoli. Ed è stato un crescendo”.

E’ in pieno svolgimento la fase di raccolta, lavorazione e stoccaggio, con l’arrivo dei camion dalla Sicilia.

“Qui, in media, calibriamo e contiamo 500 mila bulbi al giorno, per preparare le prime consegne stagionali nei cartoni. All’estero vanno i secchi, per motivi di conservazione, mentre quelli idratati dal trattamento nelle nostre celle frigo sono invece destinati a produttori italiani e del Sud Europa. In Sicilia inviamo circa 100 milioni di semi l’anno, per arrivare a ottenere una resa intorno a 40 milioni di bulbi e 10 milioni di meristemi”.

Lei è sanremese, come suo padre: perché la scelta di Camporosso, alla quale è seguita quella della Sicilia?

“A Sanremo non c’erano sufficienti spazi in piano per espandere l’azienda, già nella prima fase. Qui disponiamo di serre per circa 5 ettari, ampie superfici per laboratori, celle frigo, aree di lavorazione e stoccaggio, uffici e parcheggi. E ad Acate abbiamo trovato dimensioni e condizioni climatiche ideali per l’ulteriore crescita”.

La dynasty Biancheri prosegue arrivando adesso alla terza generazione, senza contare il primo (e molto limitato) approccio commerciale legato a nonno Duilio.

”Con l’inizio di luglio ci siamo trasformati da ditta individuale intestata a me in società semplice con la partecipazione delle mie figlie Chiara e Giulia. Sono contento”.

Come nasce una nuova linea di ranuncoli e anemoni?

“Ogni anno seminiamo mediamente 4-5 mila incroci mirati, per ricavare delle novità. Poi iniziamo a selezionare il tutto, con un percorso quinquennale, per arrivare a creare una cinquantina di nuove varietà. Ma soltanto 7-8 di queste finiscono nella rete commerciale, dopo un altro paio d’anni. A catalogo ora abbiamo 150 proposte, tra ranuncoli e anemoni. Natura Moderna è l’ultima linea lanciata: sta andando bene al consumo soprattutto negli Stati Uniti, dove arriva la produzione portata avanti in Ecuador”.

Avete creato anche il ranuncolo Giannina, nella collaudata serie di cloni PonPon, dedicandolo all’ospedale Gaslini e presentandolo a Euroflora 2025.

“Ci siamo resi disponibili a sostenere questa importante struttura sanitaria pediatrica con un fiore ad hoc, che sarà posto in vendita nelle piazze a marzo 2026: il ricavato verrà destinato alla realizzazione del Nuovo Gaslini. E’ un piccolo contributo che rinnova l’impegno già manifestato nel 2011, quando l’allora innovativa linea PonPon era stata dedicata ai bambini accolti dall’ospedale, con un primo progetto di fundraising. Anche in quell’occasione, la vetrina era stata Euroflora”.

Quali sono i prodotti più richiesti sul mercato? Quali i colori prevalenti e la durata dei vostri fiori?

“Per le tinte ci si concentra su tre fasce: bianco, pastello e rosa chiaro. Perché sono le più adatte alle cerimonie. Di recente abbiamo lanciato un colore nuovo e un po’ enigmatico: nebbia. Impossibile, al momento, creare ranuncoli blu oppure azzurri. La durata media dei fiori recisi è di 10-12 giorni. Il nostro clone top è Hanoi, dal classico rosa chiaro, di cui vendiamo 2,5-3 milioni di bulbi nel mondo. Piace parecchio anche la linea PonPon”.

In quali paesi esportate? E il mercato italiano?

“Ecuador, Colombia, Messico, Brasile, Usa, Israele, Cina, Corea del Sud, diversi stati europei. In Giappone e Australia soltanto semi, perché le loro regole non consentono l’ingresso di bulbi da esportazione. Per noi è importante anche il mercato italiano: stabile in Liguria, come in Puglia e alcune aree del Lazio, in crescita in Campania. C’è pure un piccolo segmento legato ai papaveri: spediamo i semi soprattutto negli Stati Uniti e nell’America del Sud”.

Quanti sono i dipendenti e qual è il valore del fatturato?

“Ne abbiamo 124 a libro paga, tra Liguria e Sicilia. Siamo riusciti a superare indenni il periodo Covid e adesso il fatturato ha raggiunto quota 19 milioni. La redditività è importante, ma noi siamo molto concentrati anche sulla qualità e sul funzionamento della struttura aziendale”.

Al cliente quanto costano i vostri prodotti?

“I cloni di ranuncoli in media da1 a 1,20 euro; da seme intorno a 25-30 centesimi. E da ciascuno il produttore ricava 8-10 fiori, in riferimento allo scenario italiano, che vende poi al commerciante secondo le quotazioni di mercato. In genere la resa è di circa 6 volte la spesa iniziale, in proporzione maggiore dai semi, senza però considerare i costi produttivi”.

Nei dieci anni da sindaco ha dovuto un po’ trascurare l’azienda, perché amministrare Sanremo richiede molta applicazione.

“La mia forza risiede in un gruppo di lavoro straordinario, con un forte spirito di appartenenza, dal primo all’ultimo dei dipendenti. Nel solco dell’azienda familiare creata da mio padre, al quale volevo dimostrare non solo di aver imparato la sua lezione ma di essere arrivato alla sua altezza”.

Ne avete parlato?

“Alla lunga si è complimentato con me, riempiendomi di orgoglio quando mi ha pure detto di averlo superato. Per me è stato e resterà di grande esempio. Gli ho pure dedicato il ranuncolo Antonio, quand’era ancora in vita. Voglio ringraziare poi Fabio Brusco, al mio fianco dal primo momento di questo lungo percorso, la famiglia Brea per la ricercata collaborazione sul fronte della ricerca, fondamentale nella nostra attività, e ovviamente tutti i dipendenti per il loro impegno quotidiano”.

Si è guadagnato, di recente, l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. Qualcuno ha preso a chiamarla con il titolo appena acquisito, dato che quello di sindaco è ormai decaduto?

“No. Mi ha fatto molto piacere ottenere questo riconoscimento, ma confesso che non mi sono ancora abituato”.

Quanto e come è cambiata la floricoltura rivierasca negli ultimi decenni, dal suo punto di osservazione?

“Ci sono ancora dei giovani che, per fortuna, si approcciano a questo mestiere. Bisognerebbe però creare una rete, fare sistema tra i vari attori del comparto, per far crescere la voglia di floricoltura nelle nuove generazioni, specie in quelle che non hanno una specifica base familiare dalla quale partire. Ranuncoli (in maggioranza) e anemoni si piantano a fine agosto, cominciano a fiorire a novembre e vanno avanti fino ad aprile. Oggi abbiamo più di 300 clienti soltanto nel Ponente. I bouquet del Festival rappresentano un buon veicolo promozionale. Quanto al mercato dei fiori, già da assessore alla floricoltura avevo spinto molto sulla creazione dell’asta e del deposito frigo, soprattutto come garanzia di pagamento per i produttori, elementi che oggi rappresentano l’asse portante dell’attività gestita da Amaie Energia e Servizi. Poi, da sindaco, ho avviato il processo di parziale trasformazione della struttura sfruttando grandi spazi disponibili per realizzare palestre e un polo scolastico, con la decadenza del vincolo mercatale”.

E’ stato come scendere da un treno in corsa, un anno fa, quando ha passato la fascia tricolore all’attuale sindaco Alessandro Mager.

“Ma non è stato traumatico. Perché la mia vera vita è questa. Certo, quei dieci anni sono stati intensi e con tanti momenti difficili: appena insediato ho dovuto affrontare, mio malgrado, l’emergenza-bilancio ereditata (risolta, alla fine, con la vendita dell’ex palazzo di giustizia) e insieme la vicenda “furbetti del cartellino” che aveva quasi dimezzato il personale comunale. Poi, perfino il Festival che ha rischiato di saltare in pieno Covid. Ma ho sempre cercato di avere ben chiara una visione di città, di prospettiva, a cominciare dal piano Pigna-mare impostato a suo tempo dall’amministrazione Borea, completando così il progetto di riqualificazione di via Matteotti (primo tratto) e piazza Borea d’Olmo, spostando finalmente i chioschi dei fiori in piazza Muccioli e successivamente il cantiere nautico che era posto all’ingresso di porto vecchio, pensando appunto al centro storico con l’importante piano Pinqua in fase di attuazione, a piazza Eroi, al mercato annonario ristrutturato dopo decenni, alla nuova sede della polizia municipale acquisita e ora in attesa dei lavori da appaltare. Il tutto senza dimenticare scuole, impianti sportivi, interventi sulla viabilità e altri aspetti. Oggi Casinò, Sinfonica e Amaie Energia godono di ottima salute e ho lasciato in eredità un “tesoretto” di 11 milioni. Si poteva fare meglio? Forse, se si pensa che tutto sia perfettibile. Ma mi sento di affermare che oggi Sanremo ha enormi potenzialità. Quanto alla vicenda-Festival, a mio giudizio bisognerebbe cercare di stringere un rapporto stretto e di lunga durata con la Rai, cominciando a immaginare il Palafestival da realizzare nei prossimi dieci anni”.

Non le manca la politica? Il suo gruppo di riferimento, Sanremo al centro, oggi ha tre rappresentanti in Comune (nessuno, però, in giunta).

“No. Ogni tanto chiacchiero con qualcuno che mi viene a trovare, ma nulla di più. Giro il mondo per l’azienda, che è il mio presente e insieme il futuro. E, ovviamente, dedico del tempo alla famiglia”.

A proposito di famiglia, vi siete lanciati anche nella produzione di vino. Soltanto uno sfizio, un diversivo rispetto ai fiori, o nasconde un’altra sfida imprenditoriale?

“Nel 2015, per i vent’anni di matrimonio, come regalo mia moglie Monica ha chiesto di trasformare in vigneti appezzamenti di terreno che erano in stato di abbandono al confine tra Camporosso e Ventimiglia. Qualche anno dopo è iniziata la produzione di vino, Pigato e Granaccia, con l’etichetta La Consorte, dedicata a lei. Produciamo 10 mila bottiglie l’anno e le vendiamo ai ristoranti. Non è propriamente un business, ma non lo dica a mia moglie”.



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