Si intitola “Da Gaber a Faber” ed è molto più di un semplice spettacolo musicale: è un percorso teatrale e poetico che attraversa l’ironia tagliente di Giorgio Gaber e la profondità lirica di Fabrizio De André. A portarlo sul palco dell’Ariston, venerdì 30 maggio, è Neri Marcorè, artista poliedrico che da anni intreccia musica, teatro e impegno culturale anche nella veste di organizzatore.
Lo fa con rispetto e con emozione, con l’intenzione dichiarata di rileggere il presente attraverso le parole dei grandi, mescolando leggerezza e pensiero, riflessione e disincanto. In questa intervista a SanremoNews, Marcorè racconta il legame con i due cantautori, il suo rapporto con la Liguria e il senso di salire su un palco simbolico come quello dell’Ariston.
Partiamo dallo spettacolo, cosa deve aspettarsi il pubblico dell’Ariston?
“Mi sono esibito spesso come musicista in Liguria, da varie parti. Per cui non è una novità per molte delle persone che vengono in teatro, lo sanno. Qualcuno magari ancora non conosce questa parte del mio lavoro che è diventato tale partendo per scherzo. È uno spettacolo musicale sul repertorio parziale di questi due grandi artisti, un modo per farli un po’ dialogare tra loro. Un tempo è dedicato a Gaber con la sua ironia e le invettive, attraverso canzoni o monologhi. Nella prima parte c’è anche un lato fattoriale. Nella seconda parte porto una selezione di De André con temi che si rincorrono anche con una forma diversa. Potendo scegliere un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, si porta a casa una serie di canzoni, monologhi e riflessioni. Uno spettacolo che è leggero, c’è ironia, ma anche un po’ del pensiero di cui si sente la mancanza, anche il disimpegno e la spensieratezza. Trovare conforto nelle fragilità e nei dubbi che erano da affrontare in epoche diverse. Vedere il presente con gli occhi di grandi autori del passato”
Cosa ti lega a Gaber, De André e al mondo del cantautorato?
“In casa sentivo la radio che mia mamma teneva sempre accesa. Sentivo molta musica, sono sempre stato appassionato. Mi ci sono avvicinato ancora di più quando i miei genitori, a 14 anni, mi hanno regalato una chitarra. Ho iniziato con Bennato, poi De Gregori, Battisti, De André, ma anche Graziani. Un ampliamento costante. Negli ultimi vent’anni frequento Gaber e De André, ho iniziato nel 2007 a Genova al Teatro dell’Archivolto. Mi sono accostato a loro e propongo spettacoli che si basano sul loro repertorio perché trovo sempre degli spunti utili, non si finisce mai di scoprire la loro profondità. Anche in canzoni già sentite puoi sempre fare attenzione a un verso. Spinge a un servizio intellettuale, nel mettersi in discussione per primi se si vuole crescere”
Il mondo del cantautorato è in costante evoluzione, quali sono i tuoi punti di riferimento musicali contemporanei?
“A fronte di network che tendono a trasmettere sempre più o meno la stessa musica mainstream, penso che ci sia una realtà meno visibile che è di sostanza, forte e pregiata. A parte il Tenco, che è il primo festival nel quale vengono valorizzati i cantautori, sono stato anche ad Albenga. Si scoprono giovani che fanno musica e non solo rap, che ora va per la maggiore tra i giovani. Ce ne sono che amano la melodia. Se parliamo di quelli che sono popolari adesso, ho la fortuna di essere amico di Niccolò Fabi, Brunori, Lucio Corsi. Non sono giovanissimi, ma sono comunque artisti di un’altra generazione rispetto a De Gregori o Dalla. Oltre a loro ci sono altri cantautori più giovani, è una realtà che esiste. Se ne sente parlare meno, però ce ne sono”
Tornando a Gaber e De André, ci sono loro canzoni che avresti voluto scrivere tu?
“Di Gaber ce ne sono due che mi commuovono: ‘Il dilemma’ e ‘L’illogica allegria’. Sono quelle che canto più spesso chitarra e voce. Di De André ci sarebbe un elenco infinito, ma penso ‘Se ti tagliassero a pezzetti’ e ‘Verranno a chiederti del nostro amore’”
Che rapporto hai con la Liguria?
“Il mio secondo corso teatrale parte grazie alla collaborazione con Giorgio Gallione che mi era venuto a cercare per lavorare insieme in un monologo di Pennac nel 2005 e poi “Un certo signor G”, e tutti partivano dal Teatro dell’Archivolto di Genova. Per 15 anni sono sempre partito da Genova e, quindi, per me è sinonimo di teatro, di questa parte delle mie tante attività. Se penso al teatro, penso a Genova. La Liguria è una regione con varie province e città dalle quali ricevo ogni anno richieste di fare spettacoli, è una terra che amo. Con la gente c’è un affetto reciproco. Evidentemente abbiamo dei codici e delle valenze che servono a prenderci bene a discapito di quello che poi si dice sull’ospitalità ligure, ho sempre trovato molto affetto e calore e lo attribuisco al fatto che mi rispettano come io rispetto loro”
…e con Sanremo?
“Per la tv e per la musica ha una grande importanza, si vede dai tour che i cantanti fanno dopo il Festival. Per come sono fatto io, è una dimensione nella quale faccio un po’ fatica a trovarmi a mio agio. C’è un’attenzione mediatica gigantesca, i fari che illuminano quel palcoscenico 24 ore al giorno, per una settimana è tutto lì e io tendo a essere un po’ più schivo e a cercare situazioni più ristrette e familiari. Anche se sono passato qualche volta da lì, me lo guardo volentieri sul divano. Mi fa molto piacere esibirmi all’Ariston, è un teatro in cui senti le canzoni del Festival in una maniera che la televisione non riesce mai a restituire. Sono contento di potermi esibire in quel tempio, che non è solo musica e Festival”
“Da Gaber a Faber” si sviluppa su un doppio binario: il teatro canzone di Giorgio Gaber, che alterna monologhi e canzoni, e le poesie in musica di Fabrizio De André.
Con Neri Marcorè (voce solista e chitarra) sul palco saliranno: Domenico Mariorenzi (chitarra e pianoforte), Simone Talone (batteria e percussioni), Fabrizio Guarino (chitarra elettrica e classica), Alessandro Patti (basso e contrabbasso), Alessandro Tomei (flauto e sax), Anais Drago (violino).
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