LAMEZIA TERME C’è chi invoca vendetta, chiedendo una “risposta” da tutto il popolo calabrese. C’è chi, invece, si sofferma sul dolore della famiglia. Quello che ai tempi dei social si trasforma in una celebrazione collettiva, un rito che assomiglia ad un fenomeno antropologico ormai incontrollabile il cui sfogo è il noto social network TikTok.
Da giorni, infatti, dopo l’omicidio del 4 settembre avvenuto davanti alla palestra “Testudo” alle porte di Milano, si è scatenato un lutto condiviso con account più o meno reali, nomi criptici e messaggi di cordoglio misti a rabbia. Ma, quando c’è di mezzo l’omicidio di un rampollo di una potente famiglia di ‘ndrangheta, il rischio è che il ricordo assuma contorni più inquietanti. Quanto meno nei contenuti prima che nella sostanza.
Quella a cui stiamo assistendo è una sorta di giostra dell’esibizione del dolore espresso attraverso video da decine e decine di migliaia di visualizzazioni, composti da foto ricordo e musiche per celebrare la vita di Antonio “Totò” Bellocco ma anche per raccogliere i commenti (a centinaia) e la vicinanza da ogni parte di Italia. Tra cuoricini, teste di leone e corone c’è chi rivolge le condoglianze alla famiglia Bellocco da Foggia, da Cosenza, Crotone, dalla Jonica ma anche da Napoli, la Liguria, la Sicilia e da chi dice di aver condiviso con il rampollo della famiglia di Rosarno un periodo di detenzione a Melfi. Tra questi, anche le condoglianze da uno «dei Casamonica». Sul noto social, attraverso diversi account, sono presenti numerosi video che celebrano Antonio Bellocco, e i commenti sono più o meno tutti dello stesso tenore: le condoglianze arrivano da ogni parte della Calabria e d’Italia. C’è scrive «condoglianze da un platioto» oppure di «un altro figlio di Calabria morto tragicamente». E non manca neanche chi, da Tropea, ricorda che la «famiglia Bellocco regna».
Su uno dei profili più “attivi” di un familiare dei Bellocco, tra vari post che ricordano peraltro Giulio Bellocco, padre di Antonio, morto nel carcere di Opera a gennaio di quest’anno mentre stava scontando una pena a 13 anni e sei mesi di reclusione dopo la condanna comminatagli dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nel processo denominato “Tramonto”, nel quale era accusato di associazione mafiosa finalizzata al compimento di una serie di estorsioni.
E non manca neanche chi va oltre invocando vendetta per Bellocco contro Andrea “Berro” Beretta, il classe ’79 responsabile del suo omicidio e detenuto nel carcere di Opera a Milano. «Beretta pochi giorni ti rimangono!» scrive un utente anonimo «condoglianze alla famiglia Bellocco da Verona» e c’è chi risponde: «Che faccia di merda ha berreta (Beretta ndr). Spero che lo trovate fratelo mi metto anche io trovare hanno preso polizia???» e ancora: «Non ti preoccupare te la faccio io fuori poi vediamo» «Mi dai numero della famiglia belloccio mi vendico io». E c’è chi rilancia: «tu non hai idea chi ha toccato! capo ultrà di cosa!» e scrive «Vendetta!».
In uno degli ultimi video apparsi sul social, c’è anche l’esposizione di uno striscione a Rosarno, sorretto da alcuni giovani, con su scritto: «Rip Totò x sempre nei nostri cuori». Lo stesso striscione è poi apparso poi su un altro canale, questa volta legato agli ultrà di Rosarno. Singolare poi un altro video apparso ancora su TikTok dove addirittura un utente scrive: «con grande rammarico devo scrivere, alla famiglia Bellocco le mie più sentite condoglianze, da uomo omertoso e rispettoso…». Un messaggio che assomiglia ad una sorta di apologia della ‘ndrangheta, richiamando i valori dell’omertà e del silenzio, rimarcati anche da qualche replica al post. «la forma di rispetto verso tutta la famiglia è il silenzio», scrive un utente in particolare.
Il mondo “sommerso” di TikTok è già finito sotto accusa nel corso degli ultimi mesi. A dicembre un’inchiesta del Corriere della Calabria aveva permesso di far luce su un profilo che inneggiava a Giuseppe, Diego, Giovanni e Francesco Mancuso, esponenti dell’omonimo clan di ‘ndrangheta di Limbadi. E ancora: insulti ai pentiti rei di aver «tradito i loro fratelli», canzoni per la ‘ndrangheta e formule di riconoscimento ‘ndranghetista. Un caso sollevato dal nostro giornale e che ha trovato poi sponda nel commento dell’ex procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri che aveva parlato di «un servizio importante fatto all’informazione, ma soprattutto avete fatto una denuncia sfuggita anche agli addetti ai lavori. Il vostro scoop giornalistico è la sintesi di quello che noi scriviamo nel libro, cioè che oggi le mafie comunicano attraverso i social». ([email protected])
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www.corrieredellacalabria.it è stato pubblicato il 2024-09-11 07:01:33 da Redazione Corriere
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