ANCONA – La Corte di Appello di Ancona ha accolto il ricorso presentato da una donna bengalese di 37 anni che aveva chiesto al Comune di Ancona di cancellare lo stato di divorziato del marito, 45enne, che ne aveva fatto richiesta dopo averla ripudiata in Bangladesh a sua insaputa. Un divorzio per ripudio islamico. La coppia ha vissuto e vive ancora nel capoluogo dorico, ha due figli minorenni, e per la donna lei era ancora spostata al coniuge da cui però voleva separarsi legalmente perché lui per anni l’avrebbe maltrattata spesso. Proprio avviando le pratiche di separazione, a giugno scorso, aveva scoperto che per l’anagrafe di Ancona il marito era già divorziato da lei. Così, tramite i suoi legali, gli avvocati Andrea Nobili e Bernardo Becci, è ricorsa alla Corte di Appello che oggi ha sciolto la riserva dopo l’udienza che si è tenuta il 27 gennaio scorso (seconda sezione civile). La Corte di Appello ha ordinato al Comune la cancellazione della registrazione perché “il ripudio è discriminatorio, non riconosciuto nell’ordinamento giuridico italiano, e solo il marito è abilitato a liberarsi del vincolo matrimoniale”. Per la Corte “non è stato rispettato il principio dell’ordine pubblico processuale, non essendo stati garantiti, nell’ambito del procedimenti di divorzio per ripudio, il diritto di difesa della moglie e la garanzia dell’effettività del contraddittorio”. Sono stati dunque lesi i diritti della donna.
Il Comune si era opposto alla cancellazione rivendicando al legittimità del proprio operato. Aveva solo recepito una documentazione già vagliata dall’ambasciata. Gli avvocati della bengalese avevano evidenziato l’iricevibilità dell’ordinamento italiano “di un provvedimento oscurantista perché contrario all’ordine pubblico in quanto discriminatorio e in violazione del principio di parità difensiva tra uomo e donna”. «Si tratta – osservano i legali – di una delle prime pronunce di questo genere in Italia che apre le porte a una riflessione sulla compatibilità di regole appartenenti ad altre culture con i valori della nostra civiltà giuridica». La bengalese si è commossa perché la sua “era una battaglia – aggiungono i due avvocati – a nome di tutte le donne oppresse da un vero patriarcato. Ora che altri enti locali che si troveranno in situazioni simili non potranno non tenerne conto». La difesa del marito, rappresentata dall’avvocato Pietro Sgarbi, valuterà il ricorso in Cassazione. “Finché ci sono i tempi per impugnare – dice il legale – non è finita. Le pratiche fatte dal mio assistito e dal Comune di Ancona erano tutte regolari e non c’è stata alcuna violazione dei diritti fondamentali. L’ufficio Anagrafe non poteva esimersi dall’annotare l’atto di divorzio come richiestogli legittimamente dal mio cliente».
www.anconatoday.it è stato pubblicato il 2025-02-04 20:39:48 da
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