L’eutanasia della aree interne e il «percorso di cronicizzato decli…


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COSENZA L’obiettivo numero 4 del Piano Strategico nazionale delle aree interne è dedicato «all’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile». Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa e secondo il Piano «hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita». Questo passaggio ha scatenato la reazione veemente di chi non si rassegna ad un’inesorabile destino, ma preferisce rilanciare i borghi soggetti a spopolamento e all’abbandono con azioni mirate in grado di ridare vita e speranza. «Non si può pensare che un quinto dei cittadini italiani che vive nelle aree interne possa essere condannato all’estinzione, come dichiarato in maniera incommentabile dal Governo. Le aree interne rappresentano la spina dorsale del nostro paese, non sono un peso ma un’opportunità per tutti», dice Massimiliano Presciutti, vice presidente di Autonomie locali italiane. «Il governo Meloni condanna alla morte dolce interi territori, proclamando senza pudore come obiettivo l’accompagnamento verso una lenta e inesorabile scomparsa» per effetto del nuovo Piano strategico per le aree interne 2021-27, lo «strumento di questo vero e proprio killeraggio», sostengono i responsabili nazionali Enti Locali di Europa Verde Francesco Alemanni e di Sinistra Italiana Enrico Panini.

Le aree interne in Calabria

Per quanto concerne la Regione Calabria, vi è la conferma nel Piano di quattro aree interne già presenti nel ciclo di Programmazione 2014-2020. “Versante Ionico – Serre” (comprendente 16 comuni); ” (11 comuni); “Reventino – Savuto” (14 comuni) e “Sila e Presila” (19 comuni). Due, invece, le nuove aree interne ubicate nella Regione Calabria inserite nel ciclo di Programmazione 2021-2027 tra le 43 aree oggetto di finanziamento nazionale: “Alto Jonio Cosentino” (18 comuni) e “Versante Tirrenico Aspromonte” (16 comuni).

La bocciatura di Vito Teti

Tra chi boccia il nuovo Piano c’è anche Vito Teti, antropologo e scrittore, che lo ha definito il «requiem prima della morte». «Corrado Alvaro aveva raccontato i paesi che si dissolvono come polvere al sole. Marando, con cinismo, quando, dopo le grandi alluvioni degli anni Cinquanta, fuggivano via, diceva: in buona sostanza che volete? Tutti i paesi nascono e, prima o poi, muoiono. Franco Costabile aveva fatto un dolente planctus di paesi che dicevano addio alla geografia dei luoghi. I pochi che, dagli anni Settanta, abbiamo scritto che, con le nuove fughe di intere generazioni, con le nascite vicine allo zero, interi luoghi si sarebbero desertificati, venivamo indicati come apocalittici, nostalgici, passatisti, antimoderni. Adesso siamo a quelle infinite cronache di morte annunziate. Nel silenzio, nell’indifferenza generalizzata, anche degli intellettuali che vivono o tornano nei paesi. Mariano Meligrana, negli anni Settanta del Novecento, aveva parlato di organizzazione della dimenticanza, adesso siamo all’ organizzazione dei funerali dei paesi», scrive Vito Teti.

Quali soluzioni

Il Mezzogiorno sta andando verso un maggior declino della gente e maggiori squilibri demografici perché nelle dinamiche degli ultimi decenni il processo di degiovanimento risulta più accentuato. «Parliamo di oltre 1.500 comuni destinati a sparire su circa 4mila, di circa 5milioni di persone su 13 milioni che vivono nelle aree interne». Il messaggio è chiaro, questi territori non sono vuoti da riempire o da cancellare ma comunità preziose. Ma cosa si può fare? Andrea Cerrato, Community e Destination Manager, suggerisce alcune soluzioni. «Dovremmo forse smettere di cercare di “salvarle” con logiche da centro urbano, e cominciare a ripensarle con uno sguardo nuovo». E ancora, «serve un approccio differente. Anche (e soprattutto) in chiave turistica. Non più interventi a pioggia o storytelling patinati, ma progetti veri, integrati, legati ai bisogni delle comunità locali e capaci di attrarre nuovi residenti, professionisti, imprese, studenti, viaggiatori». Appare necessario «un turismo di relazione, di prossimità, di presidio. Un turismo che non consuma, ma custodisce. Che non sfrutta, ma co-costruisce. Oggi non possiamo più permetterci narrazioni passive. Le aree interne non sono il passato che svanisce, ma il futuro che (ri)comincia dalla terra, dalle persone, dal coraggio di restare».
Stefano Carli, in un articolo su Linkiesta, suggerisce altre possibili variabili per dare ossigeno alle aree interne. «Il lavoro da remoto, le cooperative di comunità, l’agricoltura di precisione, il turismo esperienziale». E «la montagna può tornare ad attrarre cervelli e braccia, ma solo se il capitale umano è messo in condizione di restare». Pensando alla montagna calabrese, il legno potrebbe diventare una risorsa per ridurre l’import di materia prima. «Ancora oggi importiamo materiali dall’estero, mentre le nostre foreste crescono e si abbandonano. Riattivare queste filiere significa creare occupazione, tutelare il territorio, generare valore a chilometro zero». (f.benincasa@corrierecal.it)

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www.corrieredellacalabria.it è stato pubblicato il 2025-07-06 06:38:46 da Redazione Corriere


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