A metà marzo, durante un convegno presso l’Università Cattolica di Milano, il Nr. 2 della Marina Militare italiana, Ammiraglio di Squadra Giuseppe Berutti Bergotto, con enfasi affermava “Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 la nostra Marina invierà una squadra portaerei nella regione dell’Indo-Pacifico per operare con gli alleati. Navigherà fino al Giappone, prendendo poi la via del ritorno. La formazione comprenderà la portaerei Cavour e la sua scorta, un cacciatorpediniere, una fregata e un rifornitore di squadra”. Inoltre, precisava “La missione sarà preceduta dall’invio nel Pacifico del pattugliatore d’altura Morosini, che compirà una crociera addestrativa di cinque mesi”.
In tempi non problematici, una tale dichiarazione avrebbe interessato solo gli addetti ai lavori, ma nel difficile momento storico che stiamo vivendo, è bene che anche noi, persone della strada, dedichiamo qualche minuto per ragionare su questa decisione del nostro Governo, che ha un notevole peso specifico nella politica estera nazionale.
Ma perché l’Italia ha deciso di spingersi con le sue navi da guerra sino all’Indo Pacifico? Non le bastano i tanti problemi di ogni genere che deve fronteggiare nell’area che considera di interesse nazionale, che si identifica nel cosiddetto “Mediterraneo allargato”, che va dalle isole Canarie, alla costa occidentale dell’Africa settentrionale, comprende anche l’area del Sahel ed arriva ad est sino al Mar Nero?
Per cercare di rispondere a questa domanda, partiamo dalle dichiarazioni che hanno salutato la partenza ed il ritorno del Pattugliatore Morosini che, salpato da La Spezia il 6 aprile scorso, è stato in mare per 6 mesi navigando, almeno per 4 mesi, nelle acque non certo tranquille dell’Oceano Pacifico e del Mar della Cina ed è rientrato in Italia il 4 ottobre.
Quando la nostra unità salpò, il Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio di squadra Enrico Credendino affermò che avrebbe dovuto essere testimone del sistema Paese e dell’eccellenza dell’industria nazionale. In effetti, il Morosini ha partecipato a due importanti “Fiere militari” internazionali a Singapore (Indonesia) e a Langkawi (Malesia), per un impegno complessivo di una decina di giorni. Il Nr. 1 della Marina affermò anche che il Pattugliatore avrebbe partecipato anche ad un’esercitazione internazionale di ricerca, salvataggio ed evacuazione di civili nell’ambito di una supposta crisi nella regione.
Poi l’Ammiraglio Credendino è arrivato al dunque, dichiarando che la missione del Morosini in quei mari, da cui mancavamo da molti anni, avrebbe consentito di “sviluppare sinergie addestrative con marine estere quali Giappone, Australia, Regno Unito, Stati Uniti d’America…garantendo un’alta visibilità alla Marina e più in generale al Paese….mostrando la nostra bandiera in acque molto complicate, per certi versi anche più districate di quelle del Mediterraneo”.
Infatti, la nostra nave da guerra ha condotto attività operative in diverse aree dell’Indo-Pacifico, inserita nel “Carrier Strike Group 5” della Marina Militare americana, che è il Gruppo d’attacco aeronavale della 7^ Flotta del Pacifico, composto dalla portaerei nucleare R. Reagan (classe Nimitz), che imbarca 4 squadroni di caccia F 18 e altri squadroni aerei di supporto, 3 incrociatori lanciamissili e varie unità di supporto operativo e logistico. Al riguardo, è importante sottolineare che si tratta di una formazione navale interamente USA, che opera per scopi esclusivamente nazionali americani, nell’ambito di una strategia politico-diplomatica-militare decisa dalla abitazione Bianca.
Pertanto, lo sventolio del Tricolore di una nostra nave in mezzo al “USCSG 5”, agli occhi del mondo, compresa la Cina, ha avuto il significato preciso ed inequivocabile di concordare e di aderire alla posizione che gli Stati Uniti hanno assunto nella regione Indo-pacifica.
Allora c’è da chiedersi se l’Italia sia veramente allineata alla posizione americana in quella parte del globo oppure se si è trattato di una presenza estemporanea, magari decisa con una buona dose di superficialità politica, ma comunque fine a se stessa.
La risposta è affermativa e duplice. La prima ce l’ha data sempre l’Amm. Credendino il 6 di aprile, affermando che la missione si sarebbe svolta “in un’area su cui insiste un forte interesse strategico, militare, diplomatico e politico”. Tenuto conto che un Alto Ufficiale italiano di quel livello non va neanche in bagno senza l’avallo politico, c’è da credere che assumendo una decisione del genere, il Governo italiano abbia effettivamente e consapevolmente voluto dare un segnale forte sulla propria strategia militare, diplomatica e politica nell’Indo-Pacifico.
La seconda risposta, indirettamente ma chiaramente, arriva dalla conferma che la nostra portaerei Cavour, attuale nave ammiraglia della nostra flotta, scortata da un cacciatorpediniere, una fregata ed un rifornitore, alla fine dell’anno seguirà la scia del Morosini. Al momento, sempre per voce del Nr. 2 della Marina Amm. Berutti Bergotto, la missione della nostra Squadra è ancora abbastanza generica, ma già significativa, perché “navigherà fino al Giappone” e soprattutto “opererà con gli alleati nell’Indo-Pacifico”.
Si impongono alcune riflessioni.
A distanza di pochi mesi dal rientro della Morosini, l’Italia “rincara la dose” della sua presenza militare nell’Indo-Pacifico, mandando la sua nave da guerra più importante e meglio armata, visto che il Cavour imbarca i famosi caccia F 35, velivoli di 5^ e ultima generazione. Al momento, oltre all’Italia, sono solo altre due le Nazioni nel mondo in grado di impiegare un gruppo navale con tali assetti: Stati Uniti e Gran Bretagna.
Pertanto, l’Italia intende dare un segnale forte. Infatti, va rammentato che nella storia, la Marina Militare ha sempre costituito uno degli strumenti più efficaci della politica estera di una Nazione, che spesso utilizza le navi da guerra per dare forza ai propri messaggi. Più grande e potente è la presenza navale, più forte e deciso è il messaggio.
E’ chiaro che si dovrà vedere nel dettaglio quali saranno queste “attività operative” e chi saranno questi “alleati” a cui si affiancherà il Cavour. Al momento, gli unici Alleati che sono presenti in quell’area sono sicuramente gli Americani, sempre con il famigerato “USCSG 5” e forse i Britannici. Ma la probabilità che possano essere i primi è molto elevata, viste i recenti impegni assolti dalla nostra portaerei, che è fresca di esercitazione NATO nel Mediterraneo, proprio con un gruppo portaerei statunitense.
Inoltre, ulteriore prova di questo rinnovato feeling italo-americano, soprattutto se si tratta della regione asiatica, è la recente partecipazione della Fregata Bergamini alla prima esercitazione navale congiunta USA-UE, proprio nel Pacifico.
In riferimento all’area Indo-pacifica, bisogna considerare un altro aspetto, ma di natura economico-industriale. Recentemente, l’Italia ha contribuito al lancio di un importante programma multinazionale di procurement, denominato Global Combat Air Programme (GCAP), in collaborazione con Giappone e Regno Unito. L’iniziativa, che riguarda direttamente la nostra industria della Difesa, che si identifica in Leonardo, è stata promossa addirittura dalla Presidenza del Consiglio, bypassando il Ministero della Difesa, istituzionalmente competente per questo genere di intraprendenza. Probabilmente, per non esporre troppo un Ministro della Difesa che, prima della carica, era Presidente della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (una sorta di Confindustria dell’industria Difesa) e anche del Consiglio di Amministrazione di Orizzonte sistemi navali, società controllata da Fincantieri e Leonardo, che lo retribuiva per questi incarichi.
Tale programma è finalizzato alla progettazione congiunta di un nuovo caccia di 6^ generazione che, teoricamente, dovrà equipaggiare in futuro la nostra Aeronautica. Indubbiamente, lascia perplessi il fatto che una Nazione come la nostra, inventrice dell’Unione Europea e suo Membro tra i più importanti, si avventuri in un Programma di elevata valenza strategica con due Paesi che non solo nulla hanno a che fare con la UE, ma ne sono addirittura competitors. Con l’aggravante, a mio parere, di trasferire Know-how tecnologico nazionale di elevatissimo livello, in una delle aree più instabili del mondo, cosa che non hanno fatto gli Stati Uniti, visto il recente rifiuto di Lockheed Martin di offrire ai Giapponesi l’accesso al source-code del programma di sviluppo della 6^ generazione di aerei da combattimento. Questo nonostante gli USA siano i “tutor militari” della storia moderna del Giappone ed abbiano nell’area interessi molto più grandi e radicati dei nostri.
Ma se si considera la situazione attuale nell’Indo-Pacifico e le sue possibili evoluzioni, l’approccio di autotutela americano risulta plausibile.
Infatti, anche se molto probabilmente è noto a tutti, vale la pena rammentare che il Pacifico è il palcoscenico principale in cui si sta sviluppando il confronto, sempre più muscolare, tra gli Stati Uniti e la Cina, in cui la problematica della sovranità di Taiwan è il principale motivo di contrasto, ma non è il solo.
L’atteggiamento cinese appare chiaro, basti pensare che le Forze di Pechino, poco tempo fa, hanno terminato un’esercitazione sin troppo evidente nelle sue finalità, che simulava il blocco di Taiwan con forze aero-navali e la condotta di attacchi aerei multipli ad obiettivi terrestri. Inoltre, evento raro, l’attività ha ricevuto la visita del Nr. 1 Xi Jinping il quale, senza troppi giri di parole, ha commentato affermando che le unità devono “rafforzare l’addestramento nella direzione di combattimenti veri”. Praticamente, le Forze Armate cinesi devono prepararsi seriamente e convintamente ad una guerra.
Oltre a ciò, non più tardi della fine dello scorso anno, la Russia ha svolto attività navali congiunte con la Cina, sia operative di pattugliamento che addestrative di interoperabilità, dando un segnale molto chiaro e forte del suo orientamento ad un eventuale possibile supporto, in caso di difficoltà. E per ribadire ulteriormente la propria volontà in tal senso, Putin ha recentissimamente effettuato, proprio nel Pacifico, la sperimentazione dei suoi missili ipersonici antinave P 270 Moskit, che costituiscono una delle principali preoccupazioni del momento per il mondo occidentale, visto che gli Americani in questo settore non stanno conseguendo i risultati attesi.
Ma i motivi di tensione nell’area non si esauriscono con l’atteggiamento di questi due attori, per quanto principali, perché il quadro generale è ancora più complesso e lo tratteremo nel prossimo articolo, esaminando tutti gli altri protagonisti, che rendono la regione indo-pacifica tra le più instabili del mondo.
Una scacchiera caratterizzata da molteplici e seri fattori di rischio, ma su cui, nonostante tutto, il nostro Governo ha deciso di giocare, schierandosi apertamente con uno dei due contendenti. E di questo è bene e giusto che il contribuente italiano, che è quello che finanzia l’iscrizione al gioco, ne sia consapevole e cosciente.
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